«... Da me, da solo, solo con l'anima, con la piccozza d'acciar ceruleo, su lento, su anelo, su sempre; sprezzandoti, o gelo!
E salgo ancora, da me facendomi da me la scala, tacito, assiduo; nel gelo che spezzo, scavandomi il fine ed il mezzo».
Giovanni PascoliAl finire dall'incessante bufera di neve, che aveva tormentato il nostro cammino il giorno prima, il sole donò alla mia vista un panorama fantastico, le vette dell'Himalaya erano ricoperte da un bianco paradisiaco, il cielo aveva un azzurro profondo. Uscii dalla tenda dove avevo dormito stringendo tra le mani un ciondolo, col pendente raffigurante l'usignolo indiano, lo misi ricordando il sogno che avevo fatto. Mi ritenevo una donna fortunata dopo quel sogno, quando i miei occhi si erano chiusi il giorno prima, subito davanti a me apparve la mi vecchia abitazione, mia madre era malata, il suo nome era Elena poiché mio nonno amava i nomi europei. A prendersi cura di me vi era la nutrice Isotta, ciò che ricordo chiaramente di lei sono i suoi occhi verdi, nonostante la situazione a casa sapeva come farmi sorridere. Mi raccontava delle storie assurde sul Nepal, l'Himalaya e sugli Sherpa. Ero certa che prima o poi sarei arrivata qui, dove mi trovo adesso, quando mia madre morì mio padre fu colpito da una profonda crisi esistenziale. Quando compii l'età di diciannove anni decisi di studiare la cultura della mia India, scoprendo tantissime cose a me prima sconosciute. Promisi a mio padre che avrei sparso le ceneri di mia madre sulla vetta più alta dell' Himalaya ovvero l'Everest, formai una sorta di squadra con il mio insegnante Christopher, un americano venticinquenne amante degli sport estremi. Eravamo ancora all'inizio della catena montuosa, le provviste non mancavano, avevo fatto in modo di entrare in questa squadra di scalatori per il mio scopo, li conoscevo però da due anni. La squadra era formata da otto persone tra cui due coppie di pazzi innamorati. Ognuno di noi aveva un obiettivo, raggiungere l'Everest non rientrava però nella testa di tutti. Eravamo solo in tre intenti a raggiungere quella vetta che un pò spaventava, era il terzo giorno della mia avventura tra le nevi, man mano riuscivo a sentire in me lo spirito combattivo di mia madre.
Di notte riuscivo a diventare una piccola Thalika, immaginavo nei cieli stellati tra quelle meravigliose montagne la leggendaria Dea delle Nevi, Isotta mi raccontava spesso di lei, mi diceva sempre che durante un burrascoso viaggio innevato con mia madre, aveva aiutato quest'ultima guidandola tra i sentieri del bosco in Nepal. Mia madre la descriveva come un angelo che col movimento delle mani leggiadre nel cielo riusciva illuminare il mondo. Inizialmente pensavo fossero tutte fantasie, la notte in cui mia madre venne a mancare, qualcuno fuori dal normale mi svegliò, era una sorta di usignolo nel mio sogno mi indicò la strada verso la luce. Quel usignolo, forse, voleva indicarmi che mia madre era arrivata in Paradiso.
Tolte le tende decidemmo di partire immediatamente, i miei scarponi erano pieni di neve così pensai a toglierne un pò prima di intraprendere di nuovo il cammino. Con noi c'era anche uno Sherpa pronto ad aiutarci in caso di smarrimento, Christopher era il solito sapientone, ogni volta che guardava la cartina faceva il "so-tutto-io", menomale che lo sherpa Lhakpa sapeva il fatto suo.
<<Tu sei indiana vero Thalika?>>- Disse lo sherpa Lhapka.
<<Io si, anche se non sembra per via del colore dei miei capelli neri e degli occhi azzurri>>- Dissi sorridendo.
<<Io sono induista, il mio popolo di solitamente segue la religione buddista. Ora dovremmo raggiungere la prossima destinazione.>>- Disse seriamente.
<<Quale sarebbe?>>- Dissi con molta curiosità.
<<Siamo a Kangtega, più avanti dovrebbe esserci un tempio buddista lì potremmo sostare per la notte, è prevista un'ennesima bufera di neve.>>- Disse con una voce abbastanza preoccupata.
Il cammino fu assistito dal bel tempo, per fortuna ancora non vi era nessuna nuvola in cielo, quando si fece mezzogiorno e mangiammo il Dal Bhat una zuppa nepalese composta da: Riso, Zuppa di Lenticchie, del Curry alle Verdure e dei pezzi di carne per condire. Lo aveva preparato Lhapka, a quanto pare vivendo con sei sorelline e due fratellini aveva imparato bene a cucinare, poichè veniva da una famiglia non benestante sapeva come cavarsela.
Una volta mangiato tutto, facemmo un giro di ricognizione, gli altri facevano tante foto, io invece prendevo spesso la teca con le ceneri per lucidarla, non volevo che si rovinasse, l'avrei rimasta sull'Everest e sarebbe stata ricoperta dalla neve più bella del mondo. Osservavo Christopher mentre costruiva una sorta di lancia, avrebbe voluto pescare ma Lhapka glielo sconsigliò vivamente. Verso le cinque del pomeriggio raggiungemmo il tempio buddista, i monaci ci accolsero a una condizione: dovevamo fare silenzio durante le ore di mediazione. Io e Lhapka ci vestimmo con gli abiti tipici del paese di provenienza, per meditare assieme agli altri monaci. Di notte andammo a dormire con la squadra di scalatori. Stavo di nuovo per sognare la mia vecchia balia...
-CONTINUA-
Angolo autore
Come continuerà il viaggio di Thalika?
Al prossimo capitolo🏔🏛⛺🌌
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Rinascere Tra Le Nevi
AdventureGiovane scalatrice con l'obiettivo di raggiungere le vette dell'Himalaya. Il padre le impartisce uno dei valori "Superare i propri Limiti", trovare soprattutto a propria forza interiore. Grazie alle emozioni delle leggende indiane raccontatele dall...