Capitolo 17.

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Il giorno successivo all'incontro con Ernest, Nate si sentiva diverso. Se fino al giorno prima non gli importava più nulla della propria esistenza, ora era determinato ad andare avanti. Era convinto che solo la morte lo avrebbe liberato da quell'inferno, ma dopo quella sera, sentiva che c'era un motivo  per continuare a vivere.
Sapeva che gli aspettava un'altra terribile giornata di sfruttamento, ma ormai sapeva anche che poteva contare su di Ernest. 
Mentre con il suo gruppo Nate si avviava al cantiere, vide un albero, lo stesso che notò con Gilb il primo giorno. Un'espressione malinconica si dipinse sul suo viso. Nate si diede uno schiaffo. Gilbert non c'era più adesso, doveva accettarlo.
Quella mattina, con lo stomaco più pieno del previsto e con un'aria più pulita Nate si sentì meglio.

A fine giornata Nate si assicurò di fare esattamente ciò che Ernest gli aveva chiesto di fare: arrivare nella sua cuccetta prima del compagno. 
Inizialmente non vide niente, ma guardando meglio vide che nell'angolo infondo era sistemata una coperta che avvolgeva a mo' di fagotto delle cose. Nate si apprestò ad aprirla e dentro vi erano tre pagnotte, delle gallette e qualche pomodoro.
Nate avrebbe voluto divorare tutto immediatamente, ma non poteva. Aspettò impazientemente che il suo compagno affianco a lui si addormentasse. Non appena ne fu certo, prese una a una le provviste e si rifocillò silenziosamente. Il pane era soffice, fresco, non era stantio come quello che gli servivano a cena, Nate ne fu lieto.
Una volta finito, srotolò la coperta e la sistemò in modo tale da coprirsi interamente. Lo aiutò a non soffrire troppo il freddo anche se era piuttosto fine, ma meglio così, doveva essere il meno ingombrante possibile.

Le giornate a venire furono tutte identiche, il lavoro, la fatica e le morti si susseguivano in un circolo vizioso da cui Nate però si era estraniato. Non vedeva Ernest da quattro giorni o forse cinque, ma ogni sera nella sua cuccetta trovava delle provviste. L'unica sua vera fonte di sostentamento e l'unica ragione per cui era più facile affrontare l'affaticamento cui lui e tanti altri erano sottoposti quotidianamente. Non solo la quantità, ma anche la qualità del cibo che Ernest gli procurava erano nettamente superiori. Il cibo avariato dei detenuti non era certamente lo stesso dei soldati. 

Una notte, successe ciò che Nate sperava. Ernest si avvicinò e fece cenno a Nate di seguirlo. 

Nate scivolò fuori dal cubicolo e camminò con Ernest, quando sentirono dei strani versi, dei lamenti, che ben presto si tramutarono in urla. Non di rado, succedeva che qualcuno in preda all'esasperazione e alla fame desse di matto durante la notte.
Ernest scattò verso Nate e lo prese per un braccio per poi trascinarlo verso una porta. -Sbrighiamoci, di lì si esce!- esclamò Ernest sottovoce. Una SS uscì dalla stanza in cui Ernest aveva portato Nate qualche giorno prima, si guardò intorno confuso, aveva l'aspetto di qualcuno che si era appena svegliato di soprassalto.

Ernest si bloccò.
-Cazzo!- Ernest entrò in uno stato di allerta.

L'altra guardia cercava di capire da dove provenissero quelle grida,  fece per prendere la lampada. Sia Nate che Ernest sapevano che l'avrebbe puntata nella loro direzione e li avrebbe sicuramente visti.

-Urla, fai quei lamenti.-

-Cosa?- replicò Nate.

-Tu fa' come ti dico!- insistette Ernest.

Nathan obbedì. Si obbligò ad urlare e a simulare dei lamenti di esasperazione. 
Ernest spinse Nate a terra, lo afferrò per la maglia, assumendo una posizione minacciosa, come se stesse per picchiarlo.
La luce della lampada ora li illuminava, e si avvicinava sempre di più, insieme all'uomo che la portava in mano. 
La guardia esclamò qualcosa in tedesco, aveva un tono tutt'altro che tranquillo, sembrava più che altro un tono di rimprovero. Lui ed Ernest si scambiarono qualche parola che Nate non fu in grado di capire, soprattutto perché il rumore delle sue grida coprivano le voci delle due SS.
Improvvisamente Ernest cambiò espressione, corrugò la fronte e socchiuse gli occhi. Sollevò la mano destra per poi chiuderla in un pugno che assestò a Nate in pieno viso.
Gliene diede un secondo, e poi un terzo. Ernest continuava a colpirlo, incitato dall'altra guardia. Ora Nate gridava veramente di dolore.
Realizzò che anche l'altro si era unito quando ricevette un potente calcio nella schiena. 

Nate capì cosa doveva fare: doveva tacere. 
Si sforzò di non gemere di dolore e di tenere la bocca chiusa. Pugni e calci smisero di colpirlo, ma altri lamenti più striduli sembravano provenire dall'altra parte della baracca. 
Ernest disse qualcosa all'altro, che si allontanò a passo spedito. Quando fu lontano dalla loro vista Ernest sollevò Nate e lo aiutò a camminare fino all'uscita. Era confuso e dolorante, alzò lo sguardo e notò che gran parte degli altri detenuti si era svegliata e lo stava osservando, mentre in lontananza poteva sentire terribili gemiti di dolore simili ai suoi. 

Una volta fuori, l'impatto con il freddo fu tremendo.
-Mettiamoci qui.- indicò a Nate un punto dove potevano nascondersi. Si infilarono in uno spazio stretto tra un carro e il muro della baracca. 
-Mi dispiace tanto.- disse Ernest tremando, e non solo per via del gelo. Aiutò Nate a sedersi, poi tirò fuori una borraccia.

-Perchè?- Nate quasi strillò.

-Shh! Non dobbiamo farci sentire!- lo ammonì Ernest. -Devi credermi, io sono stato costretto. Non volevo, scusa...ti prego.-  Era nervoso, agitato, la sua voce esprimeva angoscia, dispiacere. 
Con un po' d'acqua gli ripulì nervosamente il viso dal sangue, come se questo potesse porre rimedio al dolore.

La flebile luce lunare fece sì che Nate potesse leggere negli occhi cerulei di Ernest un senso di afflizione e sconforto. In quel momento capì tutto. Ricacciò indietro le lacrime.
-Lo so. Ho capito, se non l'avessi fatto lui avrebbe sospettato.- 

Ernest si inginocchiò di fronte a lui e avvolse le sue braccia intorno a Nate. -Perdonami, era l'unico modo per uscirne.- la sua voce singhiozzava.  

-Dov'è andato lui? Perché mi ha lasciato stare?-

-Gli ho fatto credere che fossi tu quello che stava dando problemi, quando ha sentito l'altro gli ho detto che mi sarei occupato io di te e lui è andato da quello che stava davvero dando di matto.  Però lui voleva che io ti dessi una lezione. E' così che loro fanno di solito per farli stare zitti. Credimi non l'avrei mai fatto se non fossi stato sicuro che ci avrebbe visto. 
Il mio piano era quello di portarti fuori e di risolvere il problema, lui non avrebbe dovuto svegliarsi. Ma dal momento che si è alzato ho dovuto inventarmi qualcosa in fretta.-

-Non devi giustificarti, lo hai fatto per entrambi.- 

Ernest sciolse l'abbraccio. -Lo so che sembra contorto ma l'ho fatto per proteggerti. E' da quando ti ho visto la prima volta che ho capito che non potevo sopportare di stare in questo lager e che questo lavoro andava contro la mia indole. Da quel giorno ho capito che non potevo più stare a guardare. Ti prometto che non accadrà più, io non voglio farti del male.-

-Ma non si può continuare così, lo sai vero? Prima o poi ti scopriranno.- 
Ernest rimase in silenzio. Sapeva anche lui che non poteva durare ancora a lungo, che non avrebbe avuto più il coraggio di prendere di nuovo a pugni Nate, prima o poi la verità sarebbe venuta fuori, tutto quello che aveva fatto per Nate si sarebbe rivelato inutile. Era conscio di tutto questo ma non riusciva ad ammetterlo a se stesso. Di fronte a quella consapevolezza fu pervaso da un indomabile desiderio. Si avvicinò e posò dolcemente le sue labbra su quelle di Nate. Quel bacio impulsivo e prolungato li riscaldò. In quel momento, tutta l'agitazione, l'adrenalina e la paura si mitigarono. 

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Eccolo qui! Bye💕

1943. Tre Passi per Sopravvivere.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora