Capitolo 16.

422 40 2
                                    

Cercava di dormire, ma non ci riusciva. Come poteva prendere sonno dopo quello che era successo? Nella sua mente scorreva continuamente l'immagine della SS divertita e sorridente fare fuoco contro Gilb, che, immobile e indifeso, veniva trafitto da quell'arma micidiale.
Le parole di Ernest gli tornarono alla mente : "Migliaia di detenuti facevano avanti e indietro con dei grossi carichi. Un ragazzo contrassegnato col triangolo rosa era tra questi, si reggeva a stento e cercava di non barcollare. Non poteva farlo, non di fronte a noi, sapeva che se fosse caduto avrebbe attirato la nostra attenzione, e per lui sarebbe stata la fine. "

Ernest glielo aveva detto, ma in quel momento Nate non poteva credere ad una cosa simile. Solo ora che lo aveva visto con i suoi occhi era in grado di capire.
A Gilbert era successa la stessa cosa del ragazzo di cui gli parlò Ernest.
Nate trasse le sue conclusioni e continuava a ripetere sottovoce "Qui si lavora fino alla morte.",
accucciato nel suo cubicolo, nel cuore della notte, accanto ad un completo sconosciuto.

"Qui si lavora fino alla morte." Anche se Nate questo lo aveva già capito, viverlo in prima persona lo aveva traumatizzato. Le disgrazie fino a quel momento avevano sempre colpito gli altri ma ora che il suo migliore amico, una parte di lui, gli era stato portato via brutalmente, si sentiva ancora più perso. Mai la realtà gli sembrò così dura.
Fu afflitto dai più profondi sensi di colpa. "Avrei dovuto salvarlo" ; "Avrei dovuto prestargli le mie scarpe" , "Non avrei dovuto farmi trovare dalla Gestapo e coinvolgere Gilb".
Pensava continuamente al fatto che fosse colpa sua. Si incolpò di ogni brutta cosa che era capitata a Gilb, e quella notte si incolpò anche di essere omosessuale.

Le scarpe che Ernest si era preoccupato di far trovare A Gilb nel cubicolo erano nuovissime e non avevano un difetto. Nate le scambiò con le sue, voleva evitare che il nuovo compagno che gli era stato assegnato se ne impossessasse.
Era stupito che Ernest aveva mantenuto la promessa, gli aveva dato prova di potersi fidare di lui. Ernest non si vedeva in giro, ma anche se fosse comparso Nate non avrebbe sentito il bisogno di parlare con lui per ringraziarlo, era troppo scosso per farlo. Passò i tre giorni successivi alla morte di Gilb senza rivolgere parola a nessuno. Lavorava di giorno e piangeva la notte, senza riuscire a chiudere occhio.

La terza notte, Nate era sveglio e come sempre si tormentava su ciò che era accaduto a Gilb.
Nate sobbalzò quando avvertì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Alzò lo sguardo e capì subito nonostante la poca luce che si trattava di Ernest.

Ernest portò l'indice sinistro tra le labbra e il naso, segno di fare silenzio, e con un gesto invitò Nate a uscire dal cubicolo. Nate annuì e seguì Ernest cercando essere silenzioso il più possibile.
Lo condusse verso una porta dalla quale Nate aveva sempre visto uscire diverse SS. Quando entrarono Nate vide una branda posta in un angolo, un piccolo mobile su cui poggiavano un kit medico e un ombrello, e altri oggetti di proprietà comune delle SS.
Ernest chiuse la porta dietro di sé e accese una vecchia lampada a petrolio. -Siediti.- indicò la branda a Nate, che però lo ignorò. Non si sentiva per niente al sicuro. -Che posto è questo?- chiese.

-La stanza dove dorme chi ha il turno di notte. Non tutte le baracche ce l'hanno, solo quelle più grandi, come questa.-

Nate lo guardò confuso.

-Siamo in due qui. Non è facile restare svegli tutta la notte perciò facciamo cambio, mentre uno è in postazione di guardia l'altro si riposa qui.-

-E dovrei sentirmi al sicuro qui?- disse Nate ancora scettico.

-Il mio compagno ha rinunciato a riposare oggi per andare dalla sua donna...anche se tecnicamente non è la sua. Lo fa spesso, ed è l'ora migliore per farlo.-

Nate si lasciò cadere sulla branda che paragonata al suo duro cubicolo legnoso gli parve essere morbidissima e confortevole.
Ernest lo osservò attentamente. I suoi occhi loquaci fecero capire a Nate che non doveva avere un bell'aspetto. Ed era vero, era dimagrito, il suo volto era grigio e il suo sguardo cupo e assente.

-Mi dispiace per quello che è successo.- affermò Ernest intristendosi. Nate lo guardò come se fosse stato colpito nuovamente in una ferita non ancora rimarginata. -Ho visto il tuo nuovo compagno, nel cubicolo, e le scarpe che gli ho procurato le indossi tu...può voler dire solo una cosa.-

-Già.- si limitò a dire Nate con un fil di voce.

Ernest tirò fuori da una tasca della sua divisa un piccola pagnotta di pane e la porse a Nate, che non solo la afferrò rapidamente ma la divorò voracemente. Ernest distolse lo sguardo da lui, e aspettò che finisse.
Mentre Nate raccoglieva le briciole cadute sul suo grembo domandò : -Perché lo stai facendo? Perché dai da mangiare a un uomo morto?-

-Tu non sei morto.- replicò Ernest.

-Ma lo sarò presto. Come Gilb.-

Ernest, che fino a quel momento era rimasto in piedi, prese posto vicino a Nate nella branda, ma lui evitava il suo sguardo. Così il soldato portò la sua mano sulla guancia pallida di Nate e con un gesto spinse lievemente il suo viso di fronte al proprio.
-Guardami Natahan.-

Gli occhi di Nathan incontrarono la luce fioca della lampada e sembrarono mutare, ora luccicavano.
-Fosse per me aiuterei tutti. Ma non posso.- sospirò.
-Però qualcuno posso aiutarlo. Io...non me lo perdonerei mai se non lo facessi.-

Delle lacrime cominciarono a rigare il viso di Nate.

Ernest non poteva sopportare di vederlo in quello stato. Gli fece tornare in mente il fratello, così giovane e innocente, era morto per causa sua e non era riuscito a fare niente per proteggerlo. Gli venne in mente quella volta in cui l'aveva incontrato al casolare, si era preoccupato per lui e per le sue ferite. E adesso, lo aveva seguito senza battere ciglio.
Nate ormai non aveva più niente, neanche Gilb, ma voleva comunque fidarsi di lui, perché sapeva che non aveva nient'altro da perdere.
Ernest voleva davvero dargli speranza, fargli credere che non tutto era perduto. Fece scivolare la mano dietro la nuca di Nate mentre avvicinava le labbra al suo orecchio sinistro, e bisbigliò : -Finché ci sarò io tu non morirai, te lo prometto Nathan.-

Nate non lo conosceva, ma lo aveva aiutato, questo significava tanto. E ora che non aveva più Gilb, sentiva di aver perso davvero tutto. Fidarsi di Ernest era l'unica cosa che poteva fare.

Nate istintivamente si lasciò andare in un pianto ininterrotto, seppur soffocato, e abbracciò il soldato, aggrappandosi forte a lui, quasi come un naufrago fa con qualsiasi cosa lo tenga a galla e non lo faccia affondare.

Ernest prese il kit medico e cerco di porre rimedio a qualche piccola ferita, poi gli diede dell'acqua, con la quale Nate si diede anche una superflua ripulita. Dopodiché dovette allontanarsi, non era più sicuro rimanere lì.

-E' vero, io non ci sono tutte le notti qui, ma farò in modo di esserci. Controlla sempre il tuo angolo sul cubicolo e assicurati di arrivare sempre prima del tuo compagno, potrei riuscire a lasciarti cibo o qualsiasi altra cosa. Intesi?-

-Va bene.-rispose Nate, che non ci pensò troppo prima di ritornare silenziosamente nella sua postazione.
Quella notte, seppur per le poche ore rimaste, riuscì finalmente a dormire.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Salve! Grazie per il sostegno che state dando a me e a questa storia💕

1943. Tre Passi per Sopravvivere.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora