Capitolo 14.

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-Sapevo che eri tu.- Ernest sussurrò per non farsi sentire dagli altri detenuti.

-Sembri sorpreso.- affermò Nate con lo stesso tono di voce appena percettibile del soldato.
-Pensavi forse che non ce l'avrei fatta a restare vivo dopo...- Nate si bloccò, quanto tempo era trascorso da quando i due si erano visti? Aveva perso la cognizione del tempo, anche se aveva promesso a se stesso che avrebbe tenuto il conto dei giorni, si accorse che non era in grado di farlo. In quel maledetto luogo il tempo sembrava essersi fermato. Le giornate erano tutte uguali e la sofferenza a cui si stava lentamente abituando gli teneva la testa impegnata da ben altri pensieri.

-Dopo due settimane intendi? No, non sono sorpreso. Sono solo felice di vedere che sei vivo.- Ernest rispose mantenendo un sorriso malinconico.

-Due settimane eh?- ripeté Nate incredulo, gli erano parse un'eternità. -Felice? Se fossi dalla tua parte anche io lo sarei.- Nella voce di Nate, Ernest scorse un tono di disprezzo.

-Ti capisco.- rispose Ernest con aria risoluta.

Nate cominciò a squadrarlo dalla testa ai piedi. Nonostante la luce scarsa, poté notare una grossa differenza dal soldato sporco, insanguinato e dai vestiti laceri che aveva visto dentro quel casolare. Ora appariva rigido, pulito e autoritario. Era uguale a tutte le altre SS in giro per il campo. Nate ne fu impressionato. Ernest lo notò e si tolse il berretto, sperando che qualcosa cambiasse nello sguardo sprezzante di Nate.

Ora Nate lo guardava dritto negli occhi che la flebile luce in lontananza rendeva grigiastri.
-Perché mi stai parlando?- gli chiese.

Ernest rimase in silenzio a lungo in cerca di una risposta che non trovò.

-Dovresti essere da questa parte, insieme a noi.- disse Nate indicando il resto della baracca occupata da soli triangoli rosa.

Ernest scosse la testa contrariato. -Siete voi che non dovreste essere qui. Quelli come voi... cioè quelli come noi, non hanno nulla a che fare con questa guerra!- esclamò per poi portarsi una mano alla bocca e, guardandosi intorno, si assicurò che nessuno l'avesse sentito.

Nate lo guardò un po' amareggiato. Sospirò e poi capì che non poteva biasimare Ernest per per la posizione di vantaggio che gli era capitata, proprio come Ernest non biasimava Nate per la sua posizione di svantaggio. Ernest sapeva che gli omosessuali erano senza colpa.
Ancora una volta, Nate sentì di essere stato sfrontato con il soldato. Si girò verso il suo amico Gilb, che dormiva profondamente, e gli venne in mente qualcosa.

-Dimostra quello che dici aiutandomi. Puoi fare una cosa per me?- chiese Nate.

-Sì.- Ernest non esitò a rispondere.

-Procurati un paio di scarpe buone per il mio amico. Ne ha bisogno.-

-Non si può fare adesso, i magazzini dove tengono certe cose sono chiusi di notte, ci proverò domani e se ci riuscirò te le darò.-

-Bene.- disse Nate.

-E' rischioso continuare a parlare, vado alla mia postazione. Ciao Nathan.-
Ernest si rimise il berretto e si allontanò.

Nate lo guardò allontanarsi, rimase un po' attonito e non rispose al saluto. L'aveva chiamato Nathan. Nessuno, a parte Gilb, in quel posto conosceva il suo nome. Anzi, nessuno in quel posto conosceva il nome di nessuno. Nate per due settimane era stato un numero, quello sul suo avambraccio. E ora una SS non solo lo aveva appena chiamato per nome ma gli aveva anche promesso di aiutarlo.
Nate chiuse gli occhi e per la prima volta dopo tanto tempo trovò la forza di abbozzare un piccolo sorriso tra le sue labbra. Un sorriso che svanì molto presto, quando in lui affiorò il pensiero che l'indomani avrebbe dovuto faticare ancora per guadagnarsi da vivere.

La sirena arrivò puntuale come ogni mattina e ciò che causava ogni volta era il caos più totale. Il frastuono assordante che provocava non solo funzionava da sveglia, ma anche come avvertimento, non appena la si udiva bisognava scendere tempestivamente dal proprio cubicolo e precipitarsi fuori dalla baracca, non era consentito farlo un minuto dopo il suono della sirena così come non era consentito farlo un minuto prima, pena un pestaggio istantaneo da parte di qualsiasi SS nei paraggi. Nate e Gilb ne avevano visti parecchi nel corso di sole due settimane, e capirono che il suono della sirena era il primo ordine da seguire della giornata, onde evitare ulteriori maltrattamenti.
Subito dopo la sveglia vi era poi la lotta per riuscire ad accaparrarsi un'insulsa pagnotta. Non ce n'erano abbastanza per tutti perciò gli ultimi rimanevano senza.

Dopo la solita conta mattutina di controllo nella gelida e ventosa piazza centrale dove migliaia di detenuti venivano radunati, le diverse divisioni vennero condotte, come ogni giorno, nel loro posto di lavoro, nel caso di Nate e Gilb, una specie di cantiere.

-Ti ripeto che non le voglio le tue scarpe, domani ne avrò di nuove, posso resistere per un altro giorno!- disse Gilb rifiutando per l'ennesima volta la richiesta dell'amico di poter prendere le sue scarpe malconce.
Gilb aveva saputo dell'incontro di Nate della notte prima, e pur essendo un po' diffidente nei confronti di Ernest, era contento di sapere che Nate aveva chiesto aiuto per lui.

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1943. Tre Passi per Sopravvivere.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora