Era quasi ora. Murdoc aspirò la sigaretta rapidamente, quasi fosse l’ultima, poi la gettò a terra e salì in macchina. Accese l’autoradio e mise su una cassetta, la prima che trovò frugando nel cruscotto. Una leggera pioggerellina batteva sul parabrezza, mentre l’uomo si avvicinava sempre più al luogo che avrebbe potuto decretare la fine della sua vita o la difesa e conferma della sua acquisita reputazione alle corse clandestine.
Mentre gli AC/DC suonavano, Murdoc era piuttosto preoccupato. Non per sé, quello mai, era preoccupato che quella pioggia avrebbe potuto frenare la sua corsa verso il limite.
La cercava tutte le notti, quella linea invisibile.
Quella che, quando la si raggiunge, ti fa saggiare quella effimera sensazione di libertà assoluta che si prova nel fare le cose più assurde e imprudenti, solo per placare la fame della nostra coscienza, per farla tacere. Correre, correre era diventata la sua nuova ragione di vita.
Prima era suo padre, poi egli credeva sarebbe divenuta sua sorella, ma la droga era assai più persuasiva, alla droga non occorreva un pasto caldo, perché era lei a sfamarlo, e non servivano le attenzioni quotidiane, poiché era lei che te ne dava senza mai rifiutarsi, e alla droga non serviva l’affetto, perché lo inghiottiva nel suo magico vortice nero, e quando sei lì, a cosa ti serve l’affetto?
E poi c’erano le corse clandestine. Si guadagnava bene, anche se in palio c’era la vita. E visto che secondo Murdoc la sua vita non valeva più un cazzo, tanto vale scommettersela in cambio di qualche centinaio di sterline! Così aveva iniziato a correre, ed era anche piuttosto famoso, soprattutto per via del fatto che mentre correva aveva sempre come sottofondo musicale i Beach Boys con Bird, e ogni volta che la metteva su vinceva sempre, o se non vinceva, beh... Diciamo che accadeva qualcosa di inspiegabilmente brutto al suo avversario, tipo vinceva, quella ma era la sua ultima corsa. Nessuno se ne accorgeva, comunque, e nessuno dava la colpa a Murdoc, però cominciavano a girare storie strane sul fatto che Murdoc avesse venduto l’anima al suo adorato Satana, il che poteva benissimo essere vero... Arrivò suo posto, dove il suo avversario era già arrivato. Era un uomo molto più vecchio di lui, circa sulla quarantina, capelli tinti biondi e un sorriso stampato in faccia, quel sorriso di quando stai per fare una grande stronzata e ne sei cosciente, eppure la fai lo stesso, per dimostrare qualcosa agli ALTRI. Murdoc, guardandolo, aveva capito che anche stavolta i soldi sarebbero andati a lui. Lui non aveva ALTRI, del resto non gli importava proprio nulla, neanche di se stesso, quindi doveva pensare ad altro che non fosse la corsa. Scese dall’auto e si accese un’altra sigaretta, mentre il gruppo si avvicinava a lui.
“Ehi, guardate chi c’è, Murdoc!”
“Pensavamo non saresti più arrivato, amico.”
“Bello quell’adesivo, posso vederlo?”
Erano un gruppetto di criminali-spazzatura, e Murdoc gli salutò senza troppo entusiasmo. Aspettava l’arrivo del Boss, quello che organizzava tutto, quello a cui andava il 50%. Solo con lui poteva parlare apertamente, negli ultimi tempi. Prima di ogni gara andava da lui e gli diceva:
“Ti prego, se vedi che non ce la fai, inchioda. Non ce la farei a perderti, sono troppo vecchio per perdere un caro ragazzo come te! Se torni indietro, ti offro un tiro di coca per festeggiare, ok?”
Ovviamente scherzava, ma Murdoc apprezzava molto chi, come lui, scherzava apertamente sulla morte e sulla droga. Per cui il Boss aveva trovato in Murdoc un silenzioso sostenitore della sua politica criminale, benché Murdoc non aveva mai preso parte a qualche azione criminale tranne le sue amate corse.