Riflessi Nascosti

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Dicono che la propria camera sia un tesoro tutto da vivere.
La si può riempire dei segreti più preziosi, conoscere il proprio disordine e vivere ciò che la vita non riesce a dare.
La mia la condivido con lei.
Mattino. Questo è il momento che preferisco. I raggi del sole che furtivamente si fanno strada imbucandosi tra le fessure della finestra ripagano di ogni notte passata in attesa come un'ombra tra le ombre dei vestiti sparsi per la stanza. Ora posso finalmente guardarla: dorme ancora, con la bocca aperta; i capelli disordinati sul viso e sul cuscino. Mi chiedo quali siano i suoi sogni, a volte ci penso così profondamente da viverli con lei. Non ci conosciamo davvero bene, viviamo ognuno nei nostri mondi obbligati a seguire le proprie regole e divieti.
La sveglia è suonata da un pezzo ma lei non si alza. Ah, no. Eccola che mi viene a bussare come se fossi io a dovermi svegliare. Col tempo ho imparato a capirla, forse non siamo così diversi: la sua giornata deve iniziare con una carica di energia, la stessa sensazione di quando da bambina infilava di nascosto le dita nel barattolo di cioccolata. Mette un po' di musica e comincia la sfilata. Conosco ormai a memoria tutte le sue canzoni preferite, le ha sempre scelte in base all'umore o ai programmi della giornata. A giudicare dal ritmo, oggi sarà bella.
Canticchia stonando e dondolando, usando la spazzola come microfono invece di pettinare i capelli che continua a scuotere. È contagiosa la sua allegria e rivedo me stesso nel suo sorriso. Si veste, si spoglia... A volte non riesco a vederla: si nasconde dietro a un'anta dell'armadio, dietro a una stampella o a un'altra; sceglie la camicia azzurra piuttosto che quella rossa. Alla fine chiede il mio parere ma ride e dice che non capisco niente di moda. Un attimo dopo si diverte a mettersi il rossetto e a guardarmi in modo strano, poi però se lo toglie, dice che non le piace; si guarda di nuovo, guarda gli occhi. Al suo posto sarei già arrossito.
Mi sono innamorato di lei in una giornata di pioggia; stava rannicchiata sul letto e leggeva. Ad un tratto, veloce come il tempo che fugge, ho visto una lacrima scenderle sulla guancia rossa. In quell'attimo ho capito che era come la pioggia che scendeva e faceva rumore battendo sull'asfalto là fuori. Non era triste perché si sentiva leggera, libera, a volte fredda ma al contempo esplosiva trovando gioia nella sua meta. In quel momento ho capito che infondo, infondo, noi due eravamo uguali. Anche se divisi, abbiamo sempre condiviso le stesse abitudini. Ci teniamo in contatto guardando dentro a una finestra. Se guardasse bene all'interno, potrebbe scoprire se stessa. In una semplice immagine sono espresse le sue emozioni, le gioie, le paure, le parole che ha sempre nascosto dentro di sé e nel riflesso dei suoi occhi riuscire a leggere quei pensieri che nessuno è in grado di interpretare perché è un discorso solo tra me e il suo cuore, tra me e la sua mente, tra me e il mondo misterioso che è dentro di lei... Siamo due vite parallele che scorrono senza mai incontrarsi. Una porta, uno strato, è solo questo a dividerci, quel luogo oscuro che non potrò mai oltrepassare e dove ogni giorno la vedo scomparire.
E poi arriva quel momento in cui senti tutto il mondo tra le tue mani, quell'attimo in cui sei a contatto tra la realtà e il mito; quel momento in cui non sai se stai sognando o se stai cominciando a vivere. Eccola, torna da me. Allunga la mano come a voler afferrare qualcosa che è al di qua di questo mondo, consapevole che non potrà mai averlo. Resta triste nel non poter attraversare la barriera che ci divide.
Vorrei essere la brezza che dolcemente soffia e accarezza. Vorrei poter avvolgerla così e accompagnarla in ogni suo passo. Ma sono troppo fragile per meritarmi il suo amore. La mia paura è che possa farle male: non voglio che soffra, non voglio cicatrici d'amore a causa mia. Devo starmene qui, nascosto in un angolo a guardarla da lontano perché non posso abbracciarla. Bloccato tra sabbia e vetro resto un mostro impaurito con il cuore intrappolato nel ghiaccio, un oggetto inutile e banale, inanimato e senza voce, pronto a prendere la forma di chi mi si presenta davanti. Io esisto solo se i suoi occhi mi guardano.
Ma anche nei miei sogni noi siamo lontani: una voce la chiama, sparisce chiudendo la porta ed io resto qui ad aspettarla fino a sera.

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