Fatti e misfatti

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L'ultima parete da sgomberare era davanti a me e non sapevo se sarei stata in grado di portare a termine il compito che mi ero imposta.
Mi ero detta che per un po' sarebbe stato meglio non avere davanti agli occhi il costante ricordo che d'ora in avanti sarei stata sola al mondo. Sono solo foto, in fondo. O questa era la storia che cercavo di raccontarmi.
La realtà era un'altra: ero in piena fase di negazione. Rifiuto.
Mia madre non mi aveva detto addio in una stanza d'ospedale. L'infermiera non mi aveva stretto in un abbraccio e non mi aveva portato fuori dalla stanza mentre il medico constatava il decesso. L'operatrice non mi aveva allungato un depliant sulle agenzie funebri. Non avevo visto i becchini portare via il feretro.
Non era vero nemmeno che mia madre d'ora in avanti potrà sorridermi solo da queste foto. Ecco perché le stavo togliendo dalle pareti e sistemandole nelle scatole con l'attenzione che un curatore in un museo riserverebbe ad un'opera inestimabile. Negare. E ancora negare.
Ma negare non cambiava i fatti. Studio medicina, io. Vivo di fatti. Numeri. Statistiche. Causa e effetto.
"Solo i Fatti servono nella vita. Non piantate altro e sradicate tutto il resto. Solo con i fatti si plasma la mente di un animale dotato di ragione; nient'altro gli tornerà mai utile." Questo brano della mia copia di Tempi difficili di Dickens è stato sottolineato talmente tante volte da risultare illeggibile. Ma io lo conosco a memoria, non mi serviva consultarlo.
"Attenetevi ai Fatti, signore!" Ma non per oggi. Oggi non c'era niente di razionale in me.

Ho visto degli uomini seppellire la mia mamma ieri, e ora io volevo seppellire il suo ricordo con le mie mani. Non sapevo cosa stavo facendo. Sapevo solo che lei avrebbe voluto che facessi qualcosa, qualunque cosa. "Noi ragazze mandiamo avanti il mondo, stella mia" mi pareva di sentirla sussurrare "se ci fermiamo è un disastro. Alzati e fai qualcosa". E allora spogliavo i muri di casa mia, quasi inciampando sullo scatolone perché le lacrime mi riempivano gli occhi sono talmente copiose da accecarmi, e dentro mi sentivo come queste pareti vuote.

Più tardi, non avrei saputo dire esattamente quanto, è così che mi trovò Joanne. Rannicchiata sul divano del salotto, le lacrime avevano smesso di scorrere solo perché non avevo più liquidi in corpo, ma lo stesso senso di vuoto mi pervadeva. Era così totale che quasi sembra qualcosa. Quasi aveva una forma. E qualsiasi cosa fosse faceva male. Un male d'inferno.
Doveva aver usato la mia copia delle chiavi che le avevo dato, io ho cominciato ad usare quelle di mamma quando l'hanno ricoverata. Non disse niente e la ringraziai per questo, mi conosceva bene. Eravamo amiche da due anni ma sembrava molto di più. Non sapeva ogni cosa di me, e io non sapevo ogni cosa di lei, ma ci capivamo come non mi era mai capitato con nessuno. Frequentavamo la stessa facoltà di Medicina ed eravamo in un numeroso e affiatato gruppo studio (e di bevute). Siamo subito diventate amiche, tanto in fretta e in modo così naturale come solo i bambini sanno fare.

E fu proprio lei, senza chiedere nulla, che mi aiutò a rialzarmi.

HOLA! Piccolo spoiler: la sottoscritta è fissata con la simbologia e l'etimologia delle parole

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HOLA! Piccolo spoiler: la sottoscritta è fissata con la simbologia e l'etimologia delle parole. Ogni nome di persona (e non solo) è attentamente studiato e suggerisce qualcosa di molto importante per la trama di tale personaggio.
Nulla è casuale. Prendete Carina ad esempio. Il suo nome c'entra con le stelle...
#StayTuned!

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