Run

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Non mi sarei mai aspettata di incontrarlo lì.
Capelli arruffati, il corpo scosso dagli innumerevoli singhiozzi che rilasciava di continuo e gli occhi sicuramente rossi e gonfi anche se non potevo vederli, dato che teneva la faccia nascosta tra le ginocchia tremanti. Se ne stava lì, rannicchiato contro il muro di quella vecchia edicola chiusa da anni, abitata solo da piccioni e insetti, dimenticata dal mondo in attesa di essere buttata giù. Di tanto in tanto tirava un sospiro, quasi fosse in procinto di smettere, ma subito dopo le lacrime ricominciavano a bagnare i suoi pantaloni ormai mezzi fradici.
In qualunque altra situazione mi sarei avvicinata, gli avrei chiesto cosa non andasse e magari mi sarei fermata a fargli compagnia; non serve a molto, ma avere qualcuno vicino a volte aiuta ad alleviare la sofferenza, come se la sola presenza dell'altro bastasse a far diminuire il dolore. Ma non questa volta. Non con lui. Ero immobilizzata sul posto, tutti i nervi tesi pronti a scattare per scappare il più lontano possibile dal mio peggior nemico, Charlie Reed, colui che si divertiva a rubare la merenda ai più piccoli, che ti prendeva in giro non appena gli si presentava l'occasione, che ti chiudeva a chiave nel bagno della scuola se solo i collaboratori si giravano...
Stavo per fare una lunga lista sui motivi per cui non avrei dovuto fermarmi, quando l'ennesimo singhiozzo, che riecheggiò a lungo nel silenzio della strada, mi distrasse dai miei pensieri. Di fatto stava piangendo e questo diede molti punti a favore della nuova lista "perché invece dovrei fermarmi".
Mi alzai in punta di piedi e feci un passo, poi due, giusto per trovarmi alla corretta distanza per lanciare il pacchetto di fazzoletti che avevo in tasca, ancora praticamente nuovo, che atterrò ai suoi piedi con un tonfo sordo.
Lui alzò lo sguardo e incrociai i suoi occhi grigi, spenti e infinitamente tristi. Aprì la bocca, ma se per gridarmi contro o ringraziarmi non lo saprò mai, perché corsi via finalmente verso casa.