capitolo 1

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"Dio se era tutta matta. Ogni giorno mi svegliavo accanto a una donna diversa,⠀⠀⠀ Una volta intraprendente, l'altra impacciata.
Una volta esuberante, l'altra timida.
Era mille donne, lei.
Ma il profumo era sempre lo stesso,
inconfondibile.
Era quella la mia unica certezza.
Era il profumo dei viaggi che doveva ancora fare, mi diceva.
Le chiedevo cosa volesse dire ma non me lo spiegava mai.
Mi sorrideva, sapeva di fregarmi con quel sorriso.
Quando sorrideva io non capivo più nulla.
Non sapevo più parlare ne pensare.
Niente, zero.
C'era all'improvviso solo lei!
Era matta, tutta matta.
A volte si perdeva a guardare un mappamondo o un quadro, ci volevano ore perché tornasse in sé.
E quella sua mania di mettersi sempre i pantaloni... Non l'ho mai vista con una gonna, sai?
A volte piangeva,
dicono che in quel caso le donne vogliono solo un abbraccio.
Lei no,
lei si innervosiva a starmi vicino in quei momenti.
Si vestiva e stava in giardino tutta la notte e guai a raggiungerla. Mi ordinava di lasciarla sola.
La sentivo piangere, ancora oggi sono convinto che parlasse con qualcuno, in quelle notti terribili.
C'era qualcosa in lei, amico mio.
Non so che cosa, ma non era una ragazza normale.
C'era qualcosa in lei, o c'erano altre ragazze in lei, ancora oggi non te lo so dire.
Non so dove si trova adesso ma scommetto che è ancora alla ricerca di sogni.
Era matta tutta matta,
ma l'ho amata da impazzire."

Bukowski

18 Novembre 1943, Lodi.

Amo la mia città, o per meglio dire, la amavo. È difficile dirlo ora, ha cambiato forma, è diventata un altro posto, non la riconosco più.

Ho sempre vissuto a Lodi, con mia madre, mio padre e mia sorella minore. Da quando le truppe tedesche sono dilagate in Italia, la situazione è cambiata drasticamente.

L'esercito occupante ha fatto presto conoscere come intendeva rapportarsi con la popolazione: il proclama del comandante delle truppe germaniche, datato 14 settembre 1943 affisso sui muri, imponeva il coprifuoco notturno, la consegna di tutte le armi e munizioni, la presentazione di tutti i militari già in servizio, il divieto di ogni riunione.

La tranquillità, la pace, l'armonia di questa città è stata spazzata via in un batter d'occhio. Per tutte le cose che ho visto, per le cattiverie che si sono consumate su persone innocenti, mi sembra di aver vissuto molto più dei miei ventidue anni.

Vivo con il terrore che possa accadere qualcosa alla mia famiglia, soprattutto a mia sorella Alessia: è troppo piccola per riuscire a difendersi da sola. Ha compiuto da poco dodici anni, avrei voluto organizzarle una festa di compleanno, come quelle che piacciono a lei, ma ovviamente non è stato possibile farla.

Come tutte le mattine ormai, qualcuno bussa alla porta insistentemente. Mia madre si accinge ad andare ad aprire, sistemandosi il vestito.

《Buongiorno, abbiamo urgenza di parlare con Herr Ferretti》dice una voce autoritaria riferendosi a mio padre.

Rimango seduta al tavolo in cucina, osservando la scena da lontano. Mia madre è evidemente spaventata, anche se non vuole darlo a vedere. Percorre il corridoio in fretta, mentre il tedesco rimane all'uscio.

Poco dopo mio padre lo raggiunge, cominciano a discutere.
《Mamma...》dico quando mia madre entra in cucina. Va al bancone e si versa un bicchiere d'acqua, il suo colorito è più pallido del solito.

Mi alzo preoccupata e vado di fianco a lei.
《Va tutto bene?》 domando posandole una mano sulla spalla.

《Sì, tesoro...》 risponde per poi fare una piccola pausa. 《Vogliono cibo, scarseggiano i rifornimenti.》conclude infine.

《Cosa?》 esclamo. Mio padre è un agricoltore, prima i terreni rendevano bene e avevamo una situazione economica stabile, ma ora sono stati in gran parte distrutti e riusciamo a mala pena a soddisfare i nostri bisogni.

《Questo non è possibile, mamma, non ne abbiamo abbastanza per noi.》 continuo.
《Lo so, Anastasia, ma non possiamo negarglielo.》dice posando il bicchiere.

Mi dirigo velocemente verso mio padre ignorando i richiami di mia madre.

《Mi scusi》 azzardo avvicinandomi.
《Anastasia, va da tua madre》 mi attacca subito mio padre, evidentemente infastidito dalla situazione. Ignora il fatto che ho ventidue anni, sono una donna, non più una bambina.

《Vorrei parlare con il vostro comandante》dico sistemandomi di fianco ai due. Il soldato mi guarda incredulo, come se avessi detto una cosa assurda.

《Non credo sia possibile.》 risponde riportando l'attenzione di nuovo su mio padre.
《Desidererei parlargli》 insisto.

《Ho detto che non è possibile》ripete con fare minaccioso. Mio padre mi cinge con un braccio invitandomi ad andare in cucina, ma io lo scosto.

《Schneider》una voce dall'esterno richiama il soldato, il quale si ricompone subito. Un ragazzo biondo sulla trentina lo raggiunge sull'uscio.

《C'è qualche problema?》dice atono, scrutandomi il viso. È effettivamente molto giovane per essere un comandante, ma data la reazione dell'altro deve avere sicuramente più potere. Annuisco intimorita.

《Suppongo mi debba far entrare allora, così può parlarmene》 dice mantenendo lo sguardo sul mio. Mi faccio da parte, supplicando mio padre con lo sguardo di non fare nulla, sembra capire, di fatti lo fa passare.

Mi dirigo poco più lontano da loro, nel salotto, il tedesco mi segue senza dire una parola. Quando arriviamo al centro della stanza, prendo coraggio.

《Mi scusi, non abbiamo alimenti a sufficienza per tutti, ne abbiamo appena per sfamare la nostra famiglia, se dovessimo darli anche a voi ci ridurremmo alla fame》 dico mantenendo lo sguardo basso, so di aver osato troppo, ma ci devo provare per la mia famiglia.

《Queste sono le condizioni e non possono essere infrante》risponde freddo, guardandomi con occhi che sembrano fatti di ghiaccio. Sapevo che era una battaglia persa, ma non mi do per vinta.

《Se mi posso permettere, ci sono famiglie molto più agiate della nostra, non dovreste prendere a chi è già povero》 continuo, in un tono un po' infastidito.

L'uomo di fronte a me non si scompone, deve aver sentito questa storia numerose volte.

«Questo era ciò che aveva da dirmi?» chiede dopo attimi di silenzio, lanciando qualche sguardo al nostro umile soggiorno.

«So che i viveri scarseggiano, è così per tutti ormai, ma non abbiamo nulla da offrirvi.» ammetto, cercando di mantenere un atteggiamento severo.

«Mi dispiace, abbiamo incarichi rigidi da seguire e questo è uno di essi. Può rivolgersi al nostro comandante, ma glielo sconsiglio vivamente.» conclude, la voce ferma e imperturbabile.

«Non è lei?» chiedo, evidentemente confusa. Di tutta risposta alza un sopracciglio, quasi come se la cosa fosse ovvia.

«No, non lo sono.»

«Mi scusi, ma io avevo intenzione di parlare con lui dal primo momento.» ribatto, allontanandomi di qualche passo.

Lui si volta, controllando il corridoio. Poi fa qualche passo verso di me, riacquistando la vicinanza di prima.

«Dovrebbe ringraziarmi, lui non sarebbe stato altrettanto clemente davanti ad un rifiuto.» dice, abbassando la voce di qualche tono.

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