capitolo 11

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20 aprile 1944, Lodi.
Sono trascorsi ben 10 giorni, la situazione è peggiorata ulteriormente.

I soldati tedeschi sono più aggressivi nei nostri confronti, segno che le cose debbano andare davvero male.

Oggi, 10 innocenti cittadini sono stati giustiziati perché un soldato è stato ucciso.

È stato orribile, sopratutto perché è avvenuto in piazza, davanti a tutti. Nel pomeriggio, mi dirigo in città per fare delle piccole commissioni.

Per non vedere quello scempio, decido di non passare per la piazza, scelgo delle scorciatoie.

Cammino per un po', fino a quando non sento una voce che mi chiama. Mi volto, vedendo Albrecht un misto di ansia e rabbia si impossessa di me. Noto alcune cicatrici in viso, deve essere stato coinvolto in qualcosa. «Ciao» gli dico un po' freddamente. «Scusa se sono sparito all'improvviso, ho molto lavoro da fare ultimamente» dice, come a leggermi nel pensiero. Annuisco semplicemente in risposta. «Devo fare delle commissioni in centro» aggiungo, come a sottolineare il fatto che non ho tempo da perdere. «Sono ospite dei Dalmasso, stasera la signora con suo marito saranno fuori, mi chiedevo se volevi passare un po' di tempo insieme» rimango un po' stupita, più che tutto per la famiglia con cui sta. È una delle più influenti e agiate, qui. La loro casa è grande, nulla a che vedere con la mia. Ci penso su, vorrei passare del tempo con lui, d'altra parte dovrei pensare ad una scusa da raccontare ai miei. «Ci vediamo dopo» annuncio, strappandogli un sorriso. «Ti passo a prendere verso le 20» conclude, per poi andarsene. Mi affretto a fare le commissioni e a tornare a casa. «Mamma..» comincio, sedendomi al tavolo in cucina. «Stasera Letizia mi ha invitata a passare un po' di tempo con lei» mento. Mi guarda stranita, ma dopo varie mie insistenze finalmente cede. Mi inizio a preparare, quando scoccano le 20 mi precipito fuori. Giro l'angolo della strada e lo vedo appoggiato ad un albero. «Signorina Ferretti» dice con un ampio sorriso. Il suo bipolarismo mi stranisce, come sempre, ma non posso fare a meno di sorridere. Mi accompagna fino alla grande villa, ci accomodiamo in salotto e beviamo un po' di vino. «Cosa sta succedendo, Albrecht?» chiedo dopo un po' di tempo, togliendomi finalmente il pensiero. Si massaggia le tempie e rabbuia tempestivamente. «Non volevo parlare di questo stasera» tenta di sviare il discorso. Gli prendo le mani, intuendo che non deve essere una cosa facile per lui. «Sono solo preoccupata per te» dico dolcemente. Si alza di scatto con fare rabbioso. «Non c'è nulla di cui ti debba preoccupare, perché non ti basta il fatto che sia qui?» risponde alzando la voce. Rimango sconcertata dalla sua reazione, così mi prendo un po' di secondi per rispondere. «Non ho detto questo, Albrecht, sei sparito per 10 giorni!» ribatto alzandomi a mia volta. «Di questo non ti deve importare, non ho alcun obbligo con te!» rimango spiazzata per una seconda volta. Mi blocco completamente, sentendo gli occhi inumidirsi. Ha ragione, non ho il diritto di comportarmi in questo modo. Faccio per andarmene, ma lui mi blocca per un braccio. Mi dimeno, sentendo le lacrime scorrere sulle guance. «Lasciami andare!» urlo, mentre lui mi stringe fra le sue braccia. «Mi dispiace» mi sussurra, poggiando il mento sopra la mia testa. «Voglio solo stare con te, Anastasia, non voglio che qualcosa rovini questo momento» Alzo il capo per guardarlo in viso, mentre ancora mi cinge fra le sue braccia. «Lo voglio anch'io, ma vorrei anche che tu me ne parlassi. Non voglio che tu sparisca di nuovo, devo sapere qualcosa, per favore» mi poggia una mano sulla guancia, guardandomi negli occhi. «D'accordo» conclude, sollevandomi da terra e portandomi in una camera al piano di sopra.

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