«Il numero da lei chiamato è inattivo o inesistente.»
Chiude gli occhi mentre stringe la sigaretta tra le dita. Aspira un po' di nicotina, ma non lo calma. Rialza le palpebre solo per guardare un'ultima volta quel nome prima di bloccare lo schermo e posarlo sul davanzale della finestra, nonostante dentro di sé senta l'istinto di lanciarlo contro un muro. Avendone già rotto uno in questo modo, però, preferisce evitare.
Le lacrime iniziano a scorrere senza che possa fermarle, le sue spalle vengono scosse da un singhiozzo e Rinald è subito al suo fianco. Lo abbraccia, gli accarezza i capelli, prova a farlo calmare, ma l'unico risultato che ottiene è l'aumento del suo pianto disperato.
È sempre così, ma oggi fa più male. Sono passati due anni da quando lui è scomparso. Sono due anni che ogni mattina appena si sveglia non fa altro che premere il dito sul suo contatto e se all'inizio aveva avuto in risposta svariati squilli, dal terzo giorno non c'erano più stati neanche loro. Al loro posto era subentrata la segreteria, quel messaggio automatico che per quanto lo aveva ascoltato ormai lo sapeva a memoria. E poi avevano disattivato il suo numero, così, da molto tempo a quella parte è costretto a sopportare quella lama nel cuore.
Oggi, due anni fa, lui ha smesso di esistere per tutti.
Quando chiude gli occhi riesce ancora a sentire le urla devastate di Anita, il pianto sommesso di Libero, l'espressione stravolta di Giada. Sente ancora sulle spalle le nottate passate a casa di lei per cercare di calmare i bambini, senza mai riuscirci.
Adesso, dopo ben settecento trenta lune, tutti sono andati avanti.
Giada si è trovata un nuovo compagno, i due cuccioli sorridono un po' di più, mentre cercano di andare avanti senza il loro padre.
Tutti sono andati avanti tranne lui.
Da quel giorno le sue occhiaie non sono mai svanite, i suoi ricci si sono ammosciati, i suoi occhi non brillano più.
Ha smesso di vivere insieme a lui e se non fosse per Rinald che continua a sostenerlo si sarebbe già lasciato andare. Non ha più motivo di essere. Lo ha perso quella mattina di due anni prima, con la chiamata che proprio Giada aveva fatto partire dopo aver ricevuto l'ultima chiamata da quel fottutissimo numero a cui aveva addirittura legato una scorciatoia.
«Ermal, ti prego.»
La voce di Rinald arriva al suo orecchio come una supplica, ma lui è lontano, lui è perso nei ricordi.
Lui é perso in tutti quelle emozioni che da due anni ha smesso di provare e sa che non dovrebbe, sa che così annegherà sempre di più, ma non ci riesce. Ripercorrere ogni singola mattina i loro ricordi felici è un'esigenza, è davvero l'unica cosa che lo riesce a tenere in piedi e lo odia, lo odia davvero. Perché può esser stato stronzo quanto vuole, ma non si merita tutto questo, non si merita questo dolore, non si merita solo memorie.
Rinald gli cinge i fianchi, se lo tira addosso, cerca di calmarlo come può, mentre ogni lacrima, ogni singhiozzo le lacerano l'anima.
Gli accarezza la schiena, lo culla lentamente sussurrandogli dolci parole all'orecchio e così, dopo mezz'ora, lo sente rilassarsi tra le sue braccia.
Ermal ha finalmente smesso di piangere, si asciuga gli occhi con una mano, mentre l'altra rimane aggrappata alla maglietta del fratello e si sente piccolo, dannatamente piccolo.
Gli sembra di esser tornato quel bambino fragile e debole, che si chiudeva nella sicurezza della sua stanza a piangere, per fare il forte davanti al padre quando cercava come poteva di aiutare la madre. Ma così com'erano inutili i suoi sforzi allora, sono inutili adesso.
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La Strada || MetaMoro
Fanfiction«Il numero da lei chiamato è inattivo o inesistente.»