No Longer Human

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"Tutto passa

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"Tutto passa. Questa è la sola e l'unica cosa che a parere mio s'avvicini alla verità, nella società degli esseri umani, dove ho dimorato sin oggi come in un inferno rovente."
(Osamu Dazai, Lo squalificato)

Yokohama quella notte fu così tranquilla. A vederla sembrava un dipinto. Ciò che la rendeva ancora viva erano le luci che illuminavano la città, creando delle piccole fonti luminose che scaldavano lo sfondo blu e freddo della notte. Un po' come fossero stelle. La brezza, tipica delle sere estive, rinfrescava la città, giocando con i capelli castani di Dazai, muovendoli delicatamente da una parte ad un'altra, ripetendo quei movimenti all'infinito. Il ragazzo osservava con sguardo perso la città dal terrazzo del palazzo dell'Agenzia. Il mento era appoggiato sul palmo di una mano, con i gomiti che si reggevano sul parapetto del terrazzo.
«Quindi questa è l'ultima volta che vedo questa città, eh?», disse con un'espressione a tratti nostalgica. Non avrebbe mai pensato che la città gli sarebbe mancata. Eppure lì trascorse la maggior parte della sua vita. Si portò una sigaretta in bocca e l'accese, aspirando il fumo. Approfittò di quei pochi minuti che gli rimanevano per ricordare i momenti e le persone più significativi della sua vita.
Pensò ad Atsushi, a Kunikida, ad Akutagawa e anche ad Odasaku, che se l'esito del tentato suicidio fosse andato a buon fine, l'avrebbe rivisto. Volle dedicare a loro il suo ultimo pensiero come segno di gratitudine. Improvvisamente, gli tornò in mente Chuuya. La mente umana era strana e questa per Dazai era l'ennesima conferma. Accennò un sorriso spontaneo.
«Chissà perché adesso mi vieni in mentre proprio tu», disse il ragazzo appoggiando sul palmo della mano il suo viso. E se in realtà l'avesse sempre considerato come un amico?
Gli tornò in mente un evento in particolare. Al termine di una delle tante missioni da svolgere, Chuuya si accasciò a terra, stremato dalla sua abilità, Corruzione. Così stanco da non riuscire a mettere a fuoco ciò che gli stava davanti. Nonostante ciò, notò con fatica che Dazai stava sorridendo.
«Allora Chuuya», disse Dazai. La sua mano portò all'insù il viso del compagno,
«sei messo in condizioni pietose. Cosa si prova a morire? Sono curioso»
L'espressione di Chuuya fu visibilmente infastidita. Non aveva mai capito perché Dazai fosse così attratto dalla morte. Di solito le persone lottano per sopravvivere, soprattutto in casi estremi, grazie all'istinto di sopravvivenza. Per Dazai, però, non era così. Aspettava in modo morboso quel momento. Entrargli in testa e decifrare i suoi pensieri era completamente impossibile, tutti avevano perso le speranze, Chuuya compreso.
«Tu piuttosto. Si può sapere perché vuoi così tanto ammazzarti?», chiese a sua volta.
Quella domanda lo fece riflettere. Ormai era da così tanto tempo che lo voleva che si era dimenticato quale fosse l'origine di questo desiderio.
«Be', non saprei in realtà», si limitò a rispondere.
«Allora fammi il favore di non provare a suicidarti durante le missioni»
Quello fu il modo di Chuuya per dire "non morire".
Nonostante le numerose litigate, era un duo perfetto il loro, il Doppio Nero. Nel periodo in cui ancora apparteneva alla Port Mafia, non fallirono mai, nemmeno una missione. Insieme erano così forti da incutere paura a chi aveva la sfortuna di scontrarsi contro di loro.
Chissà come avrebbe preso la notizia della sua morte. Probabilmente avrebbe festeggiato, come fece quattro anni prima, una volta appresa la notizia che il suo collega aveva abbandonato la Port Mafia. Nonostante ciò, l'odio che provava Chuuya verso Dazai aumentò; del resto era pur sempre un traditore. Avrebbe voluto ucciderlo, ne era sicuro.
Nonostante Dazai desiderasse così tanto morire, non gli piaceva l'idea di essere ucciso da qualcuno, soprattutto da Chuuya. Piuttosto, preferiva essere lui a decidere quando terminare la sua vita, avere il controllo anche della morte. E quel giorno, finalmente era arrivato. La notte del 19 giugno, Osamu Dazai si sarebbe tolto la vita. In ventidue anni aveva pensato a tanti modi per suicidarsi, la maggior parte erano quasi creativi a parer suo. Ma alla fine, optò per la tecnica più banale e immediata. Si sarebbe buttato dal terrazzo dell'Agenzia. Probabilmente da quell'altezza nessuno si sarebbe salvato, nemmeno lui. Quella volta non ci sarebbe stato né Kunikida, né nessun altro a fermarlo.
Era vicinissimo al suo obbiettivo, così vicino da sentirsi vivo. Vivo dopo ben quattro anni. Quei pochi minuti furono più intensi di una vita intera.
Tra un tiro ed un altro la sigaretta era completamente consumata. Capì che era arrivato il momento di andarsene da quel mondo che odiava. Si mise in piedi sul parapetto. Fece un respiro profondo e si buttò, cercando disperatamente di cadere tra le braccia della Morte che tanto cercava.
Una volta toccata terra sentì le ossa rompersi, un dolore così allucinante da togliergli quasi il respiro. Sperava di morire il più presto possibile. Il dolore che stava provando era addirittura maggiore rispetto a quello che provava vivendo. E se avesse fallito di nuovo?
Non riuscì ad emettere nemmeno una parola. Rimase immobile a terra, con lo sguardo dritto al cielo stellato. Le stelle gli sembravano in quel momento le luci della città.
«Sembra Yokohama», pensò.
La sua vista divenne sempre meno chiara, la frequenza dei battiti era sempre meno regolare. Prima di morire, provò la paura. La paura della morte, dell'ignoto. Ma questo fu solo momentaneo, subito dopo il suo respiro cessò e la sua vista divenne completamente buia. Era questo ciò che voleva dire morire?

Il suono del cellulare interruppe il sonno tormentato di Chuuya.
«Chi è che mi chiama a quest'ora?»
Si alzò dal letto sbruffando. Notò dal display del cellulare "Akutagawa". Si domandava il motivo per cui lo stesse chiamando.
«Dimmi Akutaga-»
«Chuuya, è successa una cosa terribile», lo interruppe, «Dazai è morto»
Il rosso spalancò gli occhi a sentire quella frase.
Ciò che provò in quel momento era un misto di emozioni che lo portarono alla confusione più totale. Prima o poi lo sapevano tutti che sarebbe successo, ma nessuno si aspettava che quel giorno fosse così vicino. Il cellulare gli scivolò dalle mani, cadendo a terra.
«Chuuya?», sentì la voce metallica di Akutagawa. Era in panico quanto lo era lui.
Uscì dal piccolo appartamento in cui abitava, prese la macchina e si diresse verso l'Agenzia. Aveva le lacrime agli occhi, il cuore che batteva. Era come se stesse lottando contro il tempo, dimenticandosi che aveva già perso in partenza, era morto da ore.
Tra le lacrime che gli offuscavano la vista, riuscì a vedere un gruppo di persone. Riconosceva i membri dell'Agenzia, che in silenzio guardavano il corpo di Dazai. Uscì dalla macchina e corse verso l'ex compagno.
«Perché cazzo l'hai fatto!?», lo rimproverò, dimenticando che non poteva più ascoltarlo.
Le sue lacrime salate cadevano sul volto pallido e freddo dell'amico, come una leggera pioggia. Dentro il petto aveva solo rabbia, così tanta da poter distruggere il mondo. Non avrebbe mai immaginato di stare così male per Osamu Dazai, ex dirigente della Port Mafia ed ex partner. Strinse il corpo a sé, cercando di sentire ancora qualcosa di umano in quel corpo senza vita. Eppure d'umano aveva solo l'aspetto. Dentro non aveva più un'anima, si era spenta insieme alla sua vita.
Se desiderava così tanto ucciderlo, come mai stava così male nel vederlo morto?
Gridò con tutto il fiato che gli rimaneva, con lo sguardo verso il cielo, come volesse rimproverare Dio per quello che era appena accaduto. Di sottofondo sentiva persone parlare, dire "prima o poi sapevamo tutti che ce l'avrebbe fatta". Ma ignorava tutti, in quel momento erano in un mondo popolato solo da loro due, nessun altro.
In quel momento capì il motivo per cui odiava così tanto vivere e con sé il mondo. Era ingiusto. Si domandava per quale assurdo motivo aveva deciso di tradire la Port Mafia per diventare un membro dell'Agenzia. Qual era il senso di tentare di migliorare quando fare del bene o del male dava lo stesso risultato, ovvero tanta sofferenza?
Ovviamente non sapeva nulla.
Abbassò lo sguardo verso le sue bende che coprivano le sue braccia segnate dalle innumerevoli volte in cui aveva tentato di togliersi la vita. Eppure dopo infiniti tentativi dove fallì alla fine ci riuscì, proprio nel momento dove nessuno se l'aspettava.
Notò una frase scritta sulle bende. Come aveva fatto a non accorgersene prima? Strofinò gli occhi con il braccio per asciugare le lacrime che gli appannavano la vista. Finalmente riuscì a focalizzare la frase, "la mia è stata una vita di grande vergogna".

 𝐍𝐎 𝐋𝐎𝐍𝐆𝐄𝐑 𝐇𝐔𝐌𝐀𝐍 | 𝐁𝐔𝐍𝐆𝐎 𝐒𝐓𝐑𝐀𝐘 𝐃𝐎𝐆𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora