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La penna di Camila scorre velocemente sulle pagine bianche del quadernino che porta sempre con sé. Lei stessa lo definisce "il diario degli orrori", basti solo leggere il titolo che ha dato: "Non parlare, non mangiare, non respirare. Sono una codarda e per questo scrivo"

E così intenta a liberare la sua mente da quei pensieri che urlarno, strillano, da estraniarsi completamente dal resto del mondo. Dimentica dove si trova, dimentica cosa le sia successo. Il vociare delle persone è quasi impercettibile al suo udito, esiste solo lei, esistono solo quei demoni che la fanno impazzire.
Una mano si poggia sulla sua, sul pugno che tiene ben stretto, e delle scosse, delle forti vibrazione, percuotono il suo corpo. Non può non riconoscere quel tocco. Non è un tocco qualsiasi, di una persona qualsiasi, è proprio il suo tocco. Quello che per anni le è mancato, come l'ossigeno che riempie i polmoni.
Ritrae subito la mano, alza lo sguardo e, tremando si trova davanti due occhi verdi che la scrutano e un enorme sorriso che la vuole solo rassicurare. Lentamente abbassa lo sguardo e imbarazzata nasconde il quadernino, così come le sue mani piene di cicatrici e i suoi polsi fasciati.

«Camila»
Quella voce. Ha passato giorni, mesi, anni con la speranza di risentirla. Sicuramente, anche tra mille, l'avrebbe riconosciuta.
Una voce calda, roca.
«Camila» ripete nuovamente la donna
Non ha il coraggio di risponderle.
Come può solo guardala in faccia dopo quello è successo. È ovvio che lo sa. La dottoressa Jauregui sa cosa è successo pochi giorni fa. Sa sicuramente del suo ricovero in ospedale, ed ora eccola, nuovamente con lei, in clinica. L'unico posto che Camila abbia mai associato come casa. Entrò a quindici anni e non uscì prima dei diciotto, grazie alla dottoressa Jauregui che, negli ultimi due anni della sua permanenza, ha creduto sempre in lei ed era sempre pronta ad aiutarla, raccogliere i cocci della sua anima mentre si frantumava. Ed ogni bacio sui suoi tagli, ogni abbraccio che le dava forza e speranza.
Ora è di nuovo qui. Davanti a lei. Come se nulla fosse cambiato.

«Dottoressa» farfuglia
«Dottoressa?» ridacchia un po' sorpresa «Mi hai sempre chiamata Lauren, da quando tutta questa formalità?»
Camila non risponde. Si limita a stringersi tra le spalle e sospirare, provando un senso di amarezza.
«Mi hanno riferito cosa è successo, volevo assicurarmi tu stessi bene» cambia discorso «Ho saputo che mi hai cercata quella notte, mi dispiace, Camila, mi dispiace di non esserci stata»
«Sto bene così» taglia corto, troncando la conversazione

****

Poche ore più tardi Camila si reca nello studio della sua psichiatra. Ogni cosa è rimasta al suo posto, nulla è cambiato lì dentro. La cosa che la colpisce di più, in pieno petto, è quel profumo. L'odore intenso che una volta la metteva di buon umore e la faceva stare bene. Quando entrava nello studio, magicamente, ogni problema non esisteva più. Era al sicuro.

La dottoressa l'accoglie con quel solito sorriso, uno di quelli particolari che non si possono dimenticare, e le fa cenno di sedersi.
Con passi incerti e insicuri, Camila si accomoda di fronte alla scrivania e rimane in silenzio. Un piede batte freneticamente sul pavimento, facendo capire di non essere per nulla tranquilla e a suo agio.
«Allora, torniamo a noi» sospira Lauren «È strano vederti lì, sai?» continua con lo stesso tono «Parlami di quella notte, perché?»
«No» deglutisce rumorosamente
«Sei qui per questo»
«Lo sa meglio di me il perché» controbatte «Può leggere direttamente la mia cartella»
«Non mi interessa la stupida cartella, Camila, voglio sapere cosa ti ha spinto. Dobbiamo lavorarci insieme e impedire che possa accadere una seconda volta»
«Cosa c'è da dire? Sono una fottuta malata con il disturbo borderline della personalità. Tentare il suicidio e impazzire così, per nulla, rientra tra i sintomi, no? E allora, cosa c'è da dire!»

La giovane ragazza smette di interessarsi alla parole insistenti di Lauren, focalizzando la sua attenzione su quelle grandi e morbide mani, le uniche che potessero sfiorarla. Aggrotta le sopracciglia e fa una specie di smorfia non appena nota che manca qualcosa, la fede.
«Dov'è l'anello?»
«Il che... Ah» biascica «L'ho dimenticato»
«Menti, Lauren?» inclina la testa, marcando bene il suo nome «Non puoi farlo con me»
«Siamo qui per te o sbaglio?» risponde abbastanza infastidita «Quando mi hanno detto che eri qui, sono andata su tutte le furie. Abbiamo lavorato durante, hai fatto un bellissimo percorso! Cosa è successo»
«Evidentemente non sei così brava come dicono. Non ti sei mai accorta di nulla» afferma con tono aspro «Sennó non mi avresti lasciata andare»
«Di cosa stai parlando?»
«Ho fatto finta di stare bene, Lauren» ammette tranquillamente «Solo per andare via»
«Camila»
«Lauren sono...»
«Tu sei» sospira impazientemente «Su, dimmi»
«Non puoi capire»
Non lascia il tempo di ribattere che è già schizzata fuori dalla studio, lasciando ancora più domande e dubbi.

Disrupted ||CAMREN||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora