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Dominic decise di smetterla di fissare le travi in legno del soffitto e si mise seduto, appoggiando la schiena contro la testiera del letto. Rabbrividì quando la pelle nuda venne a contatto con la struttura in ferro battuto.
All'improvviso, la sensazione di malessere che lo aveva tenuto sveglio per tutta la notte, si fece prepotente e gli impedì quasi di respirare.
Accese la lampada sul comodino, permettendo a una luce tenue e calda di illuminare la stanza. Afferrò il cellulare e, con un sospiro pesante, lo accese. Non arrivarono altro che messaggi della sua segretaria, che lo teneva aggiornato sulla riunione del giorno prima, a cui non era stato presente. Niente da parte di Daniel.
Un nuovo sospiro e il telefono gli scivolò di mano, finendo sulla moquette con un tonfo. Dominic non vi fece neppure caso, nuovamente preda di pensieri angosciosi che si erano fatti strada nella sua testa. Il silenzio fu un loro complice perfetto.
Un singulto silenziò per un attimo la quiete della stanza. Si coprì la bocca e impedì a un "Daniel" frammentato di venire fuori. Con uno strattone, allontanò il piumone trapuntato e si sedette sul bordo del letto.
Se solo fossi stato più uomo.
«Basta... per favore... basta» Si coprì il viso con le mani e si lasciò sopraffare dal dolore.
Il quarantatreenne sfrontato e sicuro di sé, lasciò il posto all'uomo fragile e innamorato.
Sono scelte e le scelte si pagano.
Un bussare improvviso lo fece sussultare. Si voltò lentamente verso la porta, fissandola con occhi rossi e sgranati all'inverosimile. Il battito del suo cuore corse frenetico, prigioniero del timore che il suo incubo fosse divenuto realtà.
«Chi è?» Si asciugò velocemente il viso con il piumone.
«Sono io», rispose Dante, prima di socchiudere la porta e permettere a due furie di quasi cinque anni di lanciarsi sul letto.
Dominic tornò finalmente a respirare.


«Thomas, siediti composto», disse Dominic, seduto a capotavola, con un tono che avrebbe dovuto essere di rimprovero, ma che suonava tanto come il contrario. Nascose un piccolo sorriso dietro la tazza di caffè, mentre suo figlio continuava a muoversi sulla sedia alla ricerca di una posizione più comoda.
«Papino», piagnucolò l'altro, richiedendo le medesime attenzioni.
«Elias, siediti composto anche tu». Il figlio accolse il rimprovero con un grande sorriso.
Il maggiordomo sorrise dal fondo del lungo tavolo, osservando quella scena con il cuore più leggero ora che finalmente i bambini erano tornati a casa.
«Perché non ti siedi con noi, Dante?» domandò Dominic e si versò la seconda tazza di caffè di quella mattina, ascoltando il concitato chiacchiericcio dei figli.
Dante sollevò le mani e scosse il capo con forza.
«Come preferisci». Sorrise nel posare lo sguardo su Elias che allontanò i ricci biondi dal viso, prima di lottare con l'ennesimo biscotto che, invece di cadere direttamente dentro la tazzona di latte, finì sulla maglietta di Spiderman, sporcandola di zucchero a velo.
Elias sbuffò sonoramente e riafferrato il biscotto, lo buttò nel latte. Poi passò le mani sull'immagine del supereroe, sotto lo sguardo scettico del gemello.
«Se ti fossi messo quella di Aquaman non sarebbe successo», iniziò Thomas, infilandosi in bocca l'ultimo pezzo della sua ciambella e mettendosi in piedi sulla sedia, mostrò orgoglioso la maglia che indossava. «La vedi la mia?» Elias annuì e lui riprese. «Tutto quello che cade su Aquaman scivola via», concluse, incrociando le braccia sul petto tutto soddisfatto della sua spiegazione.
«Ma tu non eri con me e io non sapevo cosa fare», bisbigliò Elias, abbassando lo sguardo. Parole che attirarono l'attenzione dei due uomini. «Mi mancavi», piagnucolò, stropicciando l'orlo della maglia.
Dominic e Dante si scambiarono una veloce occhiata, ora consapevoli di quanto fosse avvenuto in realtà.
«Che sciocco», borbottò Thomas, salendo sul tavolo e, dopo aver afferrato l'altra ciambella ancora sul piatto, gliela allungò. «Guarda che i gemelli hanno un unico cuore, quindi siamo sempre stati assieme». Quando il fratello la prese, se ne tornò tutto sorridente al proprio posto.
Elias le diede un grosso morso. «È buonissima!» All'improvviso si girò verso suo padre. «Papà», lo richiamò, mentre Dominic cercava di scrollarsi di dosso la brutta sensazione di come sarebbero potute andare le cose se non avesse deciso di tornare a casa. «Perché non sei venuto a prenderci?»
Dominic avvertì una fitta al petto, accentuata dallo sguardo triste di suo figlio. Aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente.
«Io ti ho aspettato tanto.»
Quella per Dominic fu l'ennesima stilettata al cuore. Cos'avrebbe dovuto rispondergli?
«Scemo, papà stava lavorando», si intromise Thomas, prima di bere un sorso del suo latte al cioccolato.
«Ma la mamma ha detto...»
Thomas rimise giù la tazza e lo guardò storto. «La mamma dice solo bugie», riprese a bere il latte, senza staccare gli occhi azzurri da quelli del fratello, sfidandolo a contraddirlo. «Lo fa sempre, scemo!»
Un silenzio innaturale calò all'interno della stanza, infranto a tratti dal borbottio di Thomas e dai sospiri di Elias, che però permisero a Dominic di ricostruire il puzzle degli eventi: Abigail, con la scusa di una gita, aveva portato i bambini fuori città, sistemandoli in due luoghi diversi.
Avrebbe potuto farli sparire, fu il pensiero che lo riportò al presente con una forza tale che tutti riuscirono a vedere la paura riflessa nei suoi occhi.
«Papà, ti senti bene?» chiese un titubante Thomas, mentre Elias scese di corsa dalla sedia, rovesciandola.
«Papino», pianse nell'afferrare il braccio di Dominic, che lo abbracciò di getto per accertarsi che fosse davvero lì, con lui.
L'uomo sospirò con forza e se lo mise sulle gambe. «Penso di aver esagerato con i biscotti», mormorò, prendendogli il viso tra le mani e baciandogli varie volte il viso.
Elias lo guardò per nulla convinto da quella risposta. «Papà, tu non mangi i biscotti», asserì e lanciò uno sguardo a suo fratello per averne conferma. Questi si avvicinò e facendo leva sulla gamba destra del padre, lo scrutò con intensità.
«Mangi i biscotti di nascosto, papà?»
Dominic sbatté le palpebre un paio di volte, poi gonfiò le guance sotto lo sguardo divertito dei figli. «Cavolo, mi avete scoperto», e scoppiarono tutti e tre a ridere.
Dante osservò la scena con un sorriso che scemò nel realizzare che, finché ci sarebbe stata la presenza ingombrante di quella donna, non avrebbero mai potuto essere veramente felici.


Daniel afferrò il proprio bagaglio - un piccolo trolley che usava sin dai tempi del college -dal nastro trasportatore, e si diresse verso l'uscita. Inesorabilmente il pensiero non poté che tornare a Dominic e a quel loro ultimo viaggio assieme.
Lasciò andare un respiro pesante e, tra i volti sconosciuti di chi aspettava amici o parenti, si ritrovò a cercare quello di Dominic. Si bloccò di colpo quando gli parve d'incrociare un paio di occhi neri. I suoi occhi neri.
Sgranò gli occhi e avvertì una fitta al cuore. «Dominic...» disse in un bisbiglio, lasciando andare il trolley.
Un uomo gli finì quasi addosso. «Brutto imbecille, perché cazzo ti sei fermato?!» gli urlò contro, riafferrando il proprio bagaglio che, per evitarlo, si era rovesciato. E continuò a lanciare improperi, facendosi largo tra gli altri passeggeri a suon di spintoni.
Daniel si guardò velocemente attorno alla ricerca di quegli occhi, ma non trovò nulla oltre alla consapevolezza che era stato tutto frutto della sua fantasia.
«Te lo sei immaginato», si disse con un sorriso amaro, riafferrando il trolley.
Che senso aveva sperare di trovarlo tra la folla se lui stesso aveva fatto in modo che nessuno dei suoi conoscenti a Chicago sapesse del suo rientro ad Harleyville?
«Amore miiooo.»
Sollevò di scatto la testa e intravide la figura minuta di sua madre farsi largo tra la folla. Le corse incontro.
«Daniel, tesoro», sorrise, dopo aver assestato una gomitata al costato di un energumeno che, colto alla sprovvista, non poté far altro che rimanere impalato a fissarla allontanarsi.
«Mamma», e quando l'abbracciò, ebbe quasi la sensazione di poter tornare a respirare. Si era ripromesso di non piangere e invece si ritrovò a singhiozzare come un bambino.
«Sei a casa, amore. Sei a casa», gli disse, stringendolo a sé con calore. Rimasero così per un tempo che parve interminabile, mentre tutto intorno a loro continuava a muoversi.

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