chapter five

1.1K 88 9
                                    

Quando John tornó nella stanza con una pezza, una ciotola d'acqua e dell'ibuprofene, trovó Sherlock intendo a fissarlo ironicamente. Si bloccó sulla soglia della porta alla vista di quegli occhi pallidi nella luce del mattino, rischiando di rovesciarsi l'acqua gelida addosso.
"Sei sveglio."
"Dov'eri?" chiese Sherlock con tono vagamente accusatorio. La sua voce era resa assurdamente profonda dal mal di gola.
"E così parli di nuovo inglese." commentó attraversando la stanza e poggiando gli oggetti sul comodino.
"Di che stai parlando?"
John si sedette sul bordo del letto.
"Stavi delirando." prese la pezza e la intinse nella ciotola d'acqua.
Sherlock gli si avvicinó per farsela posare sulla fronte. I suoi occhi erano annebbiati dalla febbre.
"Allora, quante lingue parli?"
"Hm? Oh." al contatto della stoffa bagnata con la sua pelle tornó un attimo in sè "Parlavo nel sonno, quindi." alzó il sopracciglio destro in una silenziosa richiesta della conferma che la sua deduzione fosse accurata.
"Sì, ma... in almeno cinque lingue diverse."
"Solo cinque? Deludente."
"Solo?"
"Ricordi qualcosa di quello che ho detto? Magari posso tradurlo."
Le orecchie di John divennero rosse. L'unica cosa che ricordava non aveva bisogno di traduzione.
"No. Ma sul serio, Sherlock, quante lingue parli?"
"Dodici fluentemente, ma riesco a dire qualcosa in altre otto, dipende."
"Di-dipende da cosa?"
Sherlock mostró il poso con un gesto eloquente.
"Da quando ne ho bisogno."
John aprì la bocca ma non riuscì a dire niente.
"A volte è estremamente necessario per il lavoro saper parlare più di una lingua."
"Sei incredibile, lo sai questo?"
"Me lo ripeti spesso."
"Sì, te lo ripeto e continueró a ripeterlo perchè è così. È assurdamente, completamente, insopportabilmente così, maledetto idiota."
"Hai uno strano modo di complimentarti con me."
"Hai uno strano modo di meritartelo."
L'angolo della sua bocca si piegó in un sorrisetto. John scosse la testa e riprese a bagnare la pezza, strizzandola per eliminare l'acqua in eccesso. Quando si giró per poggiargliela sulla fronte vide che lo stava guardando intensamente.
"Che c'è?"
"Cosa stiamo facendo, John?"
Aveva quel solito sguardo che lasciava intendere "sappiamo entrambi a cosa mi riferisco" e John, come sempre, non ne aveva idea.
"Cerco di abbassarti la temperatura."
"Già, questo lo posso vedere."
"Sei un po'... delirante, Sherlock."
Il detective sospiró chiudendo gli occhi per un momento.
"Forse."
"Tieni l'ibrupofene." disse prendendo la bottiglietta ed il bicchiere d'acqua che aveva usato lui stesso in precedenza e infilandogli due pillole in bocca.
"Non riuscivo a trovare il termometro. Hai idea di dove sia?" chiese mentre l'altro ingoiava le medicine. "L'hai usato in un esperimento, non è vero?" aggiunse.
"È possibile."
"Ero convinto di averti detto di lasciare il mio kit. Come dovrei sapere se devo portarti all'ospedale?"
"È molto facile. Presumi che io non vada mai all'ospedale."
Sherlock gli ripassó il bicchiere ancora pieno ma John lo riavvicinó alle sue labbra, costringendolo a bere.
"Sei disidratato."
"Ti comporti come se io fossi l'unico ad essere malato. Anche tu deliravi. Forse dovrei portarti all'ospedale."
"Io... uhm, cosa?" chiese John passandosi le mani fra i capelli mentre i sogni gli tornavano alla mente in modo frammentario.
"E sei stato molto eloquente."
"Almeno io parlavo inglese!" si difese alzando la voce. Prese due pillole e le ingoió senza l'aiuto dell'acqua, cosa di cui si pentì immediatamente.
"E mormoravi il mio nome con molta enfasi."
John sentì le guance avvampare.
"Oh, per favore. Non è la prima volta che parli durante un incubo. Anzi, ti capita spesso." disse, con un tono che voleva chiaramente essere confortante. John incroció le braccia indignato.
"Non fare l'idiota, John. Ti assicuro che grazie ai tuoi sforzi la mia febbre è decisamente sotto controllo. Dormire è nel tuo interesse. Adesso vieni a letto o..."
"O cosa?"
"O giuro su dio che ti tiro un pugno."
John sorrise a mezza bocca, imbarazzato.
"Ehi, quella è la mia battuta."
"Lo so. Ora-"
John riuscì a mantenere un'espressione severa per qualche secondo, ma il suo corpo cedette all'allettante idea di un letto comodo. Sherlock spostó la coperta e gli fece spazio accanto a sè.
In circostanze normali John sarebbe stato stupito da quel gesto ma in quel momento tutta la sua attenzione era concentrata sull'idea del caldo e del sonno. Non appena si sedette, tuttavia, le scosse ricominciarono: tentó di ignorarle ma servì solamente a peggiorarle.
"John."
"Mh?"
"Se ti ricordi, il motivo per cui sono qui è di condividere il calore corporeo."
"Vieni, allora." sospiró.
Senza esitazione, Sherlock gli si avvicinó, appoggiandosi al suo petto. John decise di ignorare la vocina nella sua testa che continuava a ricordargli "te ne pentirai domani mattina!".
"Hai detto che avevi bisogno di me." disse dopo un lungo momento di silenzio "In francese."
"J'ai besoin de toi? Non pensavo parlassi francese."
"Qualcosa lo capisco."
"Ero addormentato, John."
"Lo so. Quindi non è vero? Non hai bisogno di me?"
"Credo di avertelo già detto, sarei perso senza il mio blogger."
Anche in quello stato di dormiveglia, un timido sorriso si dipinse sulle sue labbra.
"Anche tu hai bisogno di me." aggiunse Sherlock impassibile.
"Ah sì?"
"Oui, oui. Plus que tout."
"Buono a sapersi." biascicó John senza prendersi la briga di tradurre. Era ormai scivolato in un sonno tranquillo.

                                      ***
John si sveglió con un gemito di dolore; la sua mano corse al proprio collo prima di aprire gli occhi. Aveva un doloroso groppo in gola e si sentiva come se gli avessero spezzato il collo durante il sonno.
Si mise a sedere reggendosi contro la testiera del letto, ignorando il braccio di Sherlock che si tese a quel movimento, e prese il bicchiere mezzo vuoto sul comodino accanto a loro.
Prima che potesse bere, fu interrotto dalle familiari dita di una mano affusolata e sottile che si intrecciarono alle due sfilandogli il bicchiere. John ricadde sul cuscino, girandosi per trovarsi di fronte la bizzarra vista di uno Sherlock assonnato e spettinato intento a bere avidamente dell'acqua. Quando ebbe finito anziché poggiarlo sul tavolo come una persona normale lo lasció cadere a terra. John sbuffó: sapeva che sarebbe toccato a lui pulire tutto.
"Vieni qui." ordinó. Sherlock eseguì e stranamente non disse niente quando il biondo avvolse le mani intorno al suo collo, cercando inutilmente di apparire professionale. Premette le dita sui linfonodi, avvertendo la loro irritazione attraverso la pelle.
"Beh, le ghiandole si stanno decisamente ingrossando." disse togliendo le mani. Constató per un attimo come la propria voce fosse decisamente più profonda del solito prima di ricordarsi di essere malato.
Sherlock aprì la bocca per rispondere ma anziché il suo solito tono sarcastico ne uscì solo  un grugnito indecifrabile.
John non riuscì a trattenersi e scoppió a ridere; il secondo tentativo fu ancora più ancora meno proficuo.
"Sherlock Holmes, ho ragione di credere che tu abbia perso la voce." commentó divertito.
"No." mimó silenziosamente, fulminando l'altro con lo sguardo.
"Qual è il numero atomico del Magnesio?"
Sherlock rispose con un gemito a dir poco pietoso e John irruppe in una risatina che non duró nemmeno al metà di quanto avrebbe voluto a causa del mal di gola.
"Scusa, non ho resistito. Ora vieni qui, fammi controllare la temperatura."
Sherlock scosse la testa energicamente.
Il dottore alzó gli occhi al cielo e tese la mano per sentire la sua fronte, ma il moro si allontanó prontamente. John si morse il labbro e riprovó, fallendo.
"Finiscila." ordinó, suonando più severo di quanto non fosse sua intenzione.
Con un unico movimento fluido John gli si alzó, bloccandolo contro il muro e mise la mano sulla sua fronte, sussultanti nel notare che scottava.
"Non si è abbassata." mormoró dopo un momento di silenzio, guadagnandosi come risposta uno sguardo
Dopo essere riuscito nel proprio obiettivo, il suo cervello realizzó la loro posizione. Se non avesse passato tutta la notte fra le braccia dell'unico uomo da cui si fosse mai sentito attratto, forse quel contatto non lo avrebbe fatto rabbrividire. Decise di incolpare la febbre.
"Io vado a prendere dell'acqua e... fare del tè... tu non ti muovere."
Sherlock si spostó dal muro contro cui era ancora schiacciato.
"Non ti muovere, dico sul serio." ordinó con voce molto più forte di quanto non fosse necessario, voltandosi prima che Sherlock potesse rispondere. Non che avrebbe potuto farlo in ogni caso. Prese il bicchiere vuoto e uscì dalla stanza dirigendosi verso la cucina.
E durante il tragitto non potè fare altro che sperare di essersi solo immaginato il sorrisetto che aveva intravisto attraversargli le labbra.

The temper between Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora