chapter two

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Mentre John era perfettamente consapevole che avrebbe fatto meglio a ignorare Sherlock a sua volta come rivalsa per il suo comportamento, il suo lato vendicativo ebbe la meglio. Prima che quella frenesia finisse, si diresse verso la sua stanza. Non c'era dubbio che il detective sarebbe praticamente andato in corto circuito se avesse saputo che il killer si era costituito e John pensava che lo sguardo sulla sua faccia una volta appresa la notizia sarebbe bastato a ricompensarlo. "Dirglielo gentilmente" non era una carità che aveva intenzione di concedergli.
"Sherlock!" lo chiamó, incrociando le braccia e battendo i piedi impazientemente. Attese una risposta per qualche istante prima di bussare sulla porta. "Ho ricevuto un messaggio da Lestrade sul caso..." si voltó e poggió l'orecchio sulla superficie legnosa della porta.
Silenzio.
"Sherlock?" non riuscì a nascondere la nota di preoccupazione nella propria voce. La visione dell'amico oscillare sulle rive del fiume gli tornó alla mente e immediatamente afferró la maniglia della porta.
"Stai bene?" chiese aprendola.
Il cuore gli balzó in gola.
"Sherlock!" urló, correndo verso la figura del suo coinquilino a terra accanto al letto. Si inginocchió accanto a lui, poggiando le mani sul suo collo e sul petto. Il suo istinto di medico prese il sopravvento, valutando e catalogando quante caratteristiche fisiche riuscisse a memorizzare.
Sherlock era a petto nudo, evidentemente si stava preparando per la doccia. Il bottone dei suoi pantaloni era slacciato ma la cerniera era ancora chiusa. La sua faccia era pallida, priva di colore a eccezione delle due mezzelune bluastre sotto gli occhi. Non c'erano tracce di sangue, quindi la caduta non doveva avergli fatto troppo male. John si permise infine di respirare dopo aver controllato il battito del polso, che era regolare.
John si rimproveró. Ovviamente Sherlock era svenuto. Era esausto, affamato e aveva già cominciato a mostrare i primi sintomi della malattia. Sei un idiota, John pensó aspramente.
Giró il corpo dell'amico con delicatezza prima di riprovare. "Sherlock" lo chiamó calmamente ma con fermezza.
Gli occhi del detective si spalancarono, il riflesso della luce fredda della lampada nelle iridi mostrava le domande che gli balenavamo in mente. John sospiró sollevato.
"Cos-" la voce gli si spezzó; ricadde a terra ma rifiuró l'aiuto dell'amico per alzarsi.
"Ehi, vacci piano. Devi essere svenuto." constató quest'ultimo in tono professionale. Sherlock aprì gli occhi, lo sguardo lampeggió in diverse direzioni prima di posarsi su John.
Il dottore deglutì, notando che entrambi scottavano dalla febbre.
"Non hai una bella cera."
"Non mi sento molto bene..."
"Questo lo vedo" John tolse le mani dalle spalle dell'uomo, improvvisamente imbarazzato. "Adesso vediamo di alzarti. Ti farei andare a dormire, ma prima devi mangiare qualcosa. E poi farti una doccia perché i tuoi capelli sono letteralmente ricoperti di fango e la cosa è disgustosa."
"Ordini del dottore?"
"Sì e questa volta li ascolterai davvero"
"Altrimenti?"
"Per una dannatissima volta nella tua vita, puoi smettere di essere un imbecille e ascoltarmi?"
L'angolo della bocca di Sherlock si piegó in un sorrisetto. John si schiarì la voce.
"Credi di riuscire a reggerti in piedi? Per quanto io sia preoccupato non penso che sarebbe una buona idea che io ti aiuti a lavarti."
"Perchè no?"
John per poco si strozzó e cominció a tossire, rosso in viso. Sherlock lo guardó con un ghigno.
"Rilassati, John, sono abbastanza capace di farmi una doccia."
"Lo so. Solo... non voglio che ti rompa l'osso del collo." ribattè sulla difensiva, sperando che le parole "farmi una doccia" non creassero scompiglio alla sua già compromessa sanità mentale.
Prese Sherlock per le braccia e lo aiutó ad alzarsi. Il malato barcolló solo una volta ma, determinato a non svenire, riuscì a non cadere.
John cercó di apparire professionale, ma si sorprese a fissare la pelle marmorea del petto del detective.
"Lo sai che ho tutte le ragioni di portarti all'ospedale date le tue condizioni fisiche?"
"Non oseresti."
"Lo faró se non mi ascolti."
"È così che tratti i tuoi pazienti, minacciandoli di ricoverarli?"
"Solo quelli senza maglietta."
"Io vado a farmi una doccia." dichiaró Sherlock alzando il mento ostinatamente con orgoglio. Fu totalmente inutile dal momento che non appena fece un passo cadde rovinosamente a terra. John si affrettó a sorreggerlo, prendendolo per i fianchi; il moro tentó inutilmente di sottrarsi alla sua morsa ma ció servi solo a compromettere il suo equilibrio.
Nuovamente il dottore dovette accorrere, sostenendolo.
"Sei bagnato." constató Sherlock, la cui testa era poggiata nell'incavo fra il collo e la spalla dell'amico.
"E tu sei malato." ribattè questi facendolo sedere. Notó che i suoi occhi erano lucidi, febbricitanti.
"Posso... posso farti un toast?" chiese pacatamente. Sherlock gli scoccó uno sguardo confuso, come se stesse cercando di capire che diavoleria fosse un toast, e annuendo con la testa.
John lo condusse lentamente in salotto, aiutandolo a sedersi sulla propria poltrona, e gli spettinó impacciatamente i capelli prima di dirigersi verso la cucina attentamente evitando i frammenti di vetro.
Sapeva che avrebbe dovuto spazzarli via ma semplicemente non ne aveva l'energia o la voglia. Gettó un asciugamano a terra per coprirli ripromettendosi di farlo più tardi.
Dopo aver infilato due fette di pane nel tostapane, tornó dal coinquilino.
"Saranno pronte fra un minuto." annunció. Sherlock alzó le gambe e le strinse a sè, cercando disperatamente di non tornare ma con ben poco successo.
John sospiró e prese una coperta dal retro della propria poltrona. Dopo essersi schiarito la voce la avvolse intorno alle sue spalle, accorgendosi in quel momento di quanto l'amico stesse tremando.
"John..." mormoró fra le ginocchia.
Prima che potesse rispondere la quiete venne interrotta dal rumore del tostapane. John accorse scuotendo la testa per scacciare i pensieri.
"Marmellata o confettura?" chiese. L'unica risposta che gli giunse fu un grugnito indecifrabile. Era in ogni caso una domanda stupida, aveva iniziato a comprare la seconda solo perché Sherlock la preferiva. Per quanto John odiasse ammetterlo, la sua conoscenza delle abitudini alimentari del detective era pari a quella di quest'ultimo della cenere.
Dopo aver finito di ricoprire il pane con un sottile strato di confettura, tornó in salotto e glielo porse.
"Mangia." disse con l'autorità di un ufficiale. Sherlock, con quello che sembrava essere uno sforzo sovrumano, alzó la testa e prese il piatto.
John cercó di non sembrare troppo scioccato guardandolo mangiare un piccolo morso senza protestare.
Incroció le braccia e lo guardó mentre il pane tostato spariva fra le sue labbra. Cominciava a sentire le palpebre pesanti, stremato dal continuo tremare nei vestiti ancora bagnati. Doveva sbrigarsi a prendersi cura di Sherlock, farsi una doccia e mettersi a letto quanto umanamente possibile.
"Finito?" domandó mentre l'altro ingoiava l'ultimo pezzo di toast.
"Ovviamente." mormoró.
John ci mise un momento a tornare alla "modalità dottore", soffocando le proteste del proprio corpo malato.
"Non riesco a credere che sto per dirlo, ma..." cominció a dire, stropicciandosi gli occhi "dovró controllarti mentre ti fai la doccia. Non in quel senso, idiota." aggiunse notando il sorrisetto di Sherlock.
"So cosa intendi, ma mi piace vederti imbarazzato."
"Il mio coinquilino è un sadico." disse fra sè e sè.
"Dovresti davvero toglierti quei vestiti prima." constató Sherlock, con un tono che sembrava preoccupato.
"Non fare battute. Per citarti, prima dovrai portarmi a cena."
"Intendo che ti ammalerai."
"Dice uno con l'influenza."
"Non ho l'influenza."
"Beh è questo che succede quando ti trastulli sotto il diluvio universale."
"Non mi stavo trastullando, stavo-"
"Sì, lo so, il più grande e potente detective al  mondo, l'ho già sentita questa."
John prese il piatto e lo portó in cucina, poggiandolo nel lavello. Trovó un bicchiere pulito, lo riempì d'acqua e lo portó al malato.
"Tieni, bevi prima di andare a farti una doccia."
Sherlock guardó il bicchiere come se avesse fatto personalmente un affronto alla dinastia degli Holmes ma infine decise che era innocuo e bevve.
"Devo ancora finire il caso, John." disse sottovoce dopo essersi asciugato la bocca con il dorso della mano.
"Beh... in realtà no."
Sherlock alzó lo sguardo per incontrare quello del medico, confuso.
"Hai ricevuto un messaggio da Lestrade." chiese. Non era una domanda. John non si sentì soddisfatto dalla vendetta quanto sperava, ma annuì ugualmente.
Sherlock si morse il labbro inferiore riconciando a tremare con rinnovata intensità. John mantenne il contatto visivo, nonostante potesse vedere e percepire il furore nascosto sotto quegli occhi grigi.
Poi, senza alcun preavviso, Sherlock scaglió il bicchiere dall'altra parte della stanza, mandandolo a infrangersi contro il frigorifero.
"Perchè diavolo l'hai fatto?"
Sherlock alzó le sopracciglia, la silente beffa del "senti chi parla" fieramente scritta sulla sua fronte.
"Sentì, Sherlock, mi spiace per il caso, ma... anzi, no, cancella. Non mi spiace affatto. Adesso tu ti calmi, ti alzi, ti fai una dannata doccia e vai a dormire. Fine della storia."
"Non puoi davvero credere che-"
"Ora, o giuro su dio che ti trascino lì io stesso."
Sherlock spalancó gli occhi scetticamente. John poteva capire esattamente cosa si celasse dietro quell'espressione: riconosceva la severità nel suo tono e stava valutando fino a dove si potesse spingere. Sembrava un bambino disobbediente.
John colse l'opportunità e gli si avvicinó, afferrandolo e tirandolo su dalla sedia. Sentì una dolorosa fitta alla spalla ma la ignoró.
"J-John che cazzo stai facendo?"
"Ti avevo avvertito."
"Mettimi giù immediatamente! Ti stai facendo male alla spalla."
"Prometti."
"Cosa?"
"Prometti che farai tutto ció che dico fino a quando non starai meglio"
"Oh, per- John, finiscila! E va bene, va bene!"
"Dì lo prometto."
"Lo prometto, ora mettimi giù!"
Gradualmente, John lo adagió per terra con delicatezza, lasciando il braccio intorno alle sue spalle per sostenerlo.
"I tuoi metodi sono estremamente non ortodossi."
"Ma funzionano."
Una volta arrivati nel bagno, John lo lasció andare. Sherlock aprì la doccia attendendo che l'acqua diventasse calda.
"Te lo assicuro, non serve che-"
"Lo so, lo so" John sospiró "Vado a prendere il tuo pigiama, tu lavati ma lascia la porta aperta. E chiamami se ti senti male, seriamente. Lo hai promesso."
"Mi hai ricattato."
"Conta lo stesso."
"Lo so."

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