EROS CAPITOLO 3

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Capitolo 3

Il mare era bello, la temperatura ideale, il posto era sempre quello da tanti anni, eppure nell'aria c'era qualcosa di diverso.

Lo vedevo da come i miei genitori mi guardavano, da come parlottavano tra di loro.

Io invece ero serena, certo, mi sarebbe piaciuto moltissimo averti lì con me, in costume. Ti avrei mangiato di baci avrei morso la tua larga schiena. Poi avvertivo un desiderio incredibile di toccarti dove avevo sentito quella durezza, ma questo non te lo potevo dire, non stava bene...

Rimanevo delle ore sdraiata al sole, con gli occhi chiusi a ripassare con la memoria ogni millimetro della tua pelle che avevo visto, immaginando che la carezza del sole di settembre fosse una tua carezza, che il caldo che sentivo all'inguine fosse la tua mano a darmelo che il bacio caldo del sole sulla mia bocca fosse un tuo bacio.

Agli occhi dei miei genitori dovevo sembrare catatonica in certi momenti e forse questo aumentava le loro preoccupazioni, ma non sapevo che farci.

C'erano ancora dei ragazzi in spiaggia, molti guardavano mia sorella, ma a me non fregava più niente, erano acerbi e a volte insulsi, non mi attraevano.

In compenso, sarà stata l'aria, il cibo, il sole o il riposo ma mi era tornato un appetito da squalo, non avevo più acne e i miei capelli tra bagni in mare e sole avevanono preso riflessi mogano.

Di quella sera non si fece mai parola, come aveva detto mio padre. Alle volte pensavo che anche mia madre avesse cancellato la cosa sotto l'effetto dell'alcool.

Mia sorella doveva essere all'oscuro di tutto, così almeno pensavo.

I giorni passavano sereni, ma io cominciavo a sentire fame di te.

Era qualcosa d'imperioso, che si faceva largo nel mio corpo anche nei momenti meno opportuni. Sentivo dei vuoti che solo tu potevi riempire e quel desiderio della tua bocca mi struggeva da togliermi il fiato.

Allora non c'erano i cellulari e poi non avevo nemmeno il tuo numero di telefono.

Dovevo rassegnarmi ad aspettare il ritorno a casa.

Una sera mi attardai sola sulla grande terrazza dell'hotel. La mia camera era lì vicino, quella dei miei un po' più in là.

Seduta su una poltroncina di vimini con una comoda imbottitura, come ogni sera davo vita con la fantasia a tutte le cose che sognavo di fare appena ti avessi avuto tra le mani. Il guaio era che ero talmente inesperta che non andavo più in là dei baci e di quelle grandi mani che mi toccavano i seni. Come sarebbe stato toccare le tue braccia nude, il tuo torace così grande eeeee...più giù? Socchiusi gli occhi: una figura imponente avanzava verso di me, il cuore si fermò di botto per riprendere al galoppo, tu eri lì veramente, con una camicia bianca che faceva risaltare una splendida abbronzatura, gli occhi che brillavano di luce.

Come facevi a sapere dov'ero? Non ti avevo scritto neanche una cartolina, non avevo l'indirizzo.

Ti guardavo sbalordita, mentre ti avvicinavi, forse il mio sogno ad occhi aperti era diventato realtà?

Mi guardavi con quei meravigliosi occhi azzurri, il tuo viso si avvicinava sempre più al mio, il profumo caldo del tuo dopobarba mi avvolse come una seta e la tua bocca trovò la mia. Misi le mie braccia intorno al tuo collo e strinsi con tutte le mie forze, mentre ti baciavo gli occhi, la fronte e tornavo alla tua bocca che mi aspettava. La tua lingua mi penetrò con furia, come un affamato che trova il cibo dopo giorni di digiuno. Mi sollevasti dalla poltroncina come se non pesassi niente.

Le tue grandi mani s'infilarono sotto la mia corta gonnellina e trovarono le natiche coperte solo dalle leggere mutandine di cotone. Emettesti un mugolio soddisfatto. Misi le mie gambe attorno ai tuoi fianchi, sorretta da forti braccia che mi stringevano, le dita si insinuarono sotto i bordi degli slip e come i tentacoli di un polipo iniziarono la loro esplorazione. Ero avvolta dal tuo corpo, dal tuo calore, dalla tua bocca, dalle tue mani, mi sembrava che non ci fosse un centimetro di me che mi appartenesse, ti eri preso tutto con avidità.

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