4. Signore decaduto

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nei quali tu ti trovavi come una regina e allora avevamo spento insieme le candeline e io ti avevo dato un bacio un bacio lungo e appassionato ed eri così bella che avevo dimenticato di portarti il regalo quindi siamo corsi a casa sotto la pioggia battente e quando siamo di nuovo usciti col tuo regalo per le mani si era messo a nevicare e tu avevi quel cappotto nero lungo e io ti avevo stretto e tu mi avevi detto Jacopo.

Trasale, alzando lo sguardo di colpo. È Erica.

"Sì?" chiede a mezza voce, riassettandosi gli occhiali sul viso col dito medio della mano aperta.

"Volevo chiederti se avessi il libro da prestarci per la prossima ora. Sai, in fondo siamo in tre e non ne abbiamo nemmeno uno."

Ovvio che no. Che cosa vuoi che me ne faccia, quando solo prendendo appunti e studiando il libro solo a casa ho sempre capito tutto. Però è vero che questo con me funziona solo per matematica e fisica, e che per qualcuno può essere diverso. "No, mi spiace" risponde, mentre la riflessione si svolge in background.

"Va bene, grazie comunque!" gli dice la compagna. "Ma che hai, Jack? Sono un paio di giorni che ti vedo parecchio abbattuto".

Un paio di giorni. "Nulla di speciale in realtà, ma sai...lo sai anche te, no? È passato un po' ma è ancora dura gestirla".

"Oh Jack, lo so quanto la amavi" dice Erica, con tono condiscendente – troppo per essere sincera. "Hai provato a vederti con qualcun'altra? Magari ti riinnamori".

Non sia mai. = "No, hai ragione, forse dovrei". Ma che cazzo sto dicendo.

Molto scomoda come idea, forse posso fare di meglio. In pullman rimugina. Erica quando si china: magnetizza occhi, maledizione. Tutti si girano, insegnanti + studenti + anche altre ragazze, a volte. Quanto avrebbe voluto al primo anno percorrere quei tornanti che portano alla sua casa in bicicletta, tenendo stretto il manubrio per non cadere dal monticello su cui si sarebbe dovuto inerpicare, e chiederle di uscire. Le labbra carnose avrebbero detto di sì, e gli occhi splendidi si sarebbero stretti nel sorriso che sarebbe conseguito.

Stringe le gambe come per rimettere la schiena diritta sul sedile dell'autobus. Improvvisamente non vede l'ora di essere in casa.

Giovedì pomeriggio, sono le 13:42. Nessuno in casa almeno per ancora 28:00 minuti (previsti).

Lancia lo zaino per terra, vicino alla colonnina all'ingresso, tenta di tirare via la scarpa ma non riesce al primo tentativo.

"Niente da fare".

Scioglie normalmente le scarpe, poi le sfila. Le mette nello stanzino, entra in bagno. Facebook è una droga, dicono. Lo apre

cerca su Facebook: erica

e fra i suggeriti trova il risultato giusto.

Meccanicamente, scorre con la mano sinistra. Avanti e indietro, di qua di là – di su di giù. Oh, ci fosse una foto in cui è come nella vita reale. Sartrianamente parlando, la coscienza nullifica l'essere, caricandolo di significato. Conflitto ne scaturisce, e quindi nausea.

Cambia profilo. Chi cercare? Forse quell'altra, quella Francesca, chissà se ha Facebook poi?...no, non è Francesca. Niente. Diavolo, magari Valentina, di 3a B. Ecco, ora sì.

Si pulisce la mano, cercando di evitare il proprio sguardo nello specchio. L'acqua, sempre più profonda e oscura, scorre e lava via white stains come Crowley.

Rumore di chiave nella toppa = Carla alla porta. E io sono ancora senza pranzo.

Eccola che saluta. Lui risponde.

"Ma ci sei caduto, nel cesso?" chiede lei, probabilmente arrabbiata come al solito. La tentazione di rispondere sì è forte, e razionalmente giustificata.

"No, ma'."

"E allora perché non mi hai chiamato?"

Al solito, "l'autobus era in ritardo, sono rientrato da pochissimo".

"Con questa pioggia!" sottolinea in tono stupito. "Dovremo chiamare l'azienda di trasporti pubblici, non solo sono sempre in ritardo ma sono anche pieni di quei negri senza biglietto".

Oh cazzo.

"Fanno tanto i poveretti però ce l'hanno il telefono per chiamare a casa, eh?"

Menomale che mi hai insegnato tu a rispettare tutti indipendentemente dal colore della pelle, "già".

"Che se fossero bianchi gliela farebbero doppiamente salata la multa, sicuramente."

Eh sì, proprio.

"I documenti non se li fanno apposta!"

"Eh. Ma', devo studiare, tu non devi andare a prendere Sara piuttosto?"

"Ma c'è qualcosa che non va? Perché te ne scappi?"; vocina scema, tenta di placcarlo con un abbraccio. Non ne ho mezza voglia, lasciami andare. Alla fine deve cedere all'abbraccio, con una certa riluttanza. "Lo sai che mamma ti vuole un sacco bene?". Anche io, quando non spari cazzate.

Pagina 267 del manuale aperta. Tecnicamente dovrei studiare Pascal. Porta della camera chiusa a chiave. Da sotto TV accesa, Sara sta guardando un cartone animato alla TV.

Fa per girare pagina, ma si accorge di non avere neanche scorso la prima. Torna indietro. Prime due righe, poi lo sguardo cade sulla sua mano destra. Tira su gli occhiali, spingendoli sulla fronte, poi appoggia la palma sul volto. Riporta l'arto vicino alla scrivania e lo osserva, con tanta attenzione che lo sfondo si sfoca, e i colori asettici che derivano dalle nuvole in cielo sono pervasivi.

La TV ciancia di mostri in sottofondo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 01, 2019 ⏰

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ANGELUS NOVUSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora