La sveglia risuonó nelle mie orecchie.
Certi giorni mi chiedevo come riuscissi ad alzarmi dal letto con i miei orari allucinanti.
Un ragazzo sconosciuto alloggiava sul mio materasso. Indossava solamente dei boxer.
Dovevo essere stata davvero ubriaca la sera prima per portarmi a casa un essere del genere. Non era il mio tipo: troppo magro e pallido.
Presi i miei vestiti velocemente, mi diressi nel salone e lasciai il mio solito bigliettino: "sono andata a lavorare, il frigo è vuoto. Quando esci chiudi la porta."
Non volevo rischiare di trovarmi dei ragazzi al ritorno dal lavoro.
Mi lavai, truccati e vestii. Presi la borsa e uscii.
Entrai dentro al mio furgoncino scassato.
C'era troppo freddo ed esso non voleva proprio partire.
" Cazzo, sono già in ritardo. Parti, parti, perfavore..." iniziai a parlare con quell'inutile veicolo.
Provai per dieci minuti, ma il motore faceva solo un gran rumore: sarei dovuta andare in autobus.
Arrivai a piedi fino alla fermata, il bus che aspettavo era appena passato.
Oggi non me ne andava bene una.
Al solo pensiero del mio capo incazzato per il mio ritardo, mi veniva l'emicrania.
Attesi per un buon quarto d'ora quel maledetto mezzo.
" È in ritardo." constatai ricevendo i un'occhiataccia da parte dell'autista.
A volte ero insopportabile, proprio come il mio maledetto capo.
Arrivata al bar, corsi dentro allo sgabuzzino per mettermi il grembiule ed il cartellino con il nome.
Uscii sperando che Jace fosse rimasto nel suo ufficio tutto il tempo, e non avesse notato la mia assenza.
Mi diressi verso il primo tavolino che vidi.
"Avete ordinato?" chiesi.
"Sì, abbiamo già chiesto. Grazie." rispose la signora.
"Oh, in tal caso, buona colazione. " dissi io per poi dirigermi da un'altra parte.
Fui bloccata da qualcuno che mi afferó la spalla da dietro.
"Ester, ti voglio nel mio ufficio. Ora."
Cazzo.
"Proprio adesso? Ci sono molti clienti, non è una buona idea lasciare solo Melodie a servire ai tavoli.", cercai di trovare qualsiasi scusa che mi facesse fuggire dalla sfuriata imminente di Jace.
"Subito." rispose lui, il suo tono non voleva sentire contestazioni.
Lo seguii in silenzio, in quella stanza infernale. Lì dentro non faceva altro che sgridarmi per la mia incapacità.
Arrivati all'entrata, Jace si mise di lato per farmi passere, e infine sbatté la porta dietro di me.
"Siediti, Ester" ordinó poco gentilmente.
"Il mio nome non è Ester" ringhiai. Poteva essere potente quanto voleva, io non riuscivo a stare zitta quando qualcuno non mi rispettava. Era più forte di me: lottare per non rimanere schiacciata.
"Peccato che sia quello scritto sul cartellino posato sulla tua tetta sinistra."
Volgare, pervertito.
"Per questo vi ho chiesto di cambiarlo, Mr. Ice. Siete voi che non mi avete ascoltato."
"Io ho solo scritto ció che ho visto nella tua carta d'identità, Ester."
Avrei voluto strozzarlo con le mie stesse mani, e togliergli quel sorriso strafottente.
"Quello è il mio secondo nome. Avevo espressamente chiesto di scrivere: Amily, ovvero il mio primo nome."
"Proprio per questo ho fatto mettere: Ester. Volevo farti capire da subito chi comanda qui. Già a prima vista mi sei sembrata una che vuole decidere. Ora ne ho la conferma."
Mi faceva ribollire il sangue nelle vene, quell'uomo. Solo perché possedeva una decina di bar nei centri delle migliori città, credeva di poter dare ordini a tutti. Era un montato, egoista, pervertito.
"Io non voglio decidere proprio niente. Chiedo solo rispetto, come io ne do a voi."
"No, cara Ester, tu non mi rispetti per niente. Arrivare in ritardo è irrispettoso da parte tua, sembra quasi che tu prenda questo lavoro come un gioco". Si alzó e venne verso di me. Si piegó fino ad arrivare al mio orecchio, "questo non è un gioco, Ester. Lo capisci?" sussurró facendomi rabbrividire.
Aveva una voce tremendamente sexy. Avevo giurato di non immischiarmi in queste cose. Se solo fosse stato un ragazzo incontratato in discoteca, non ci avrei pensato due volte a scoparmelo. Ma eravamo in ambito lavorativo, e lui era un emerito stronzo, di conseguenza io non lo avrei nemmeno toccato.
"Rispondi!" tuonó lui facendomi saltare dallo spavento.
Quando era arrabbiato faceva davvero paura: rimaneva calmo per poi esplodere all'improvviso.
"S-sì" balbettai io.
Ero sempre stata una ragazza forte, non mi intimoriva nulla. Nulla tranne un Jace infuriato.
"Cos'hai piccola Ester, ti mette in imbrazzo la mia presenza? Ti fa bagnare?" sussurró nuovamente lui all'orecchio.
"De-devo tornare a servire.", tentai di andarmene.
"Resta seduta! Sono io che dico quando puoi andare." urló lui.
Il cuore mi batteva a mille, era come ritrovarsi all'inferno.
"Oggi starai fino alla chiusura." annunció.
Strabuzzai gli occhi incredula.
"Voi non potete farlo, è contro la legge farmi lavorare più di otto ore giornaliere"
"Ovviamente è vietato, ma nessuno mi vieta di licenziarti in tronco per continui ritardi. "
Stava addirittura minacciando di lasciarmi a casa.
Non poteva, avevo bisogno di questo lavoro, e lui lo sapeva perfettamente.
"Va bene, posso tornare a lavorare...? " accettai sconfortata.
"Vai, e vedi di non fare casini." disse come se fossi una stupida.
Mi alzai ed uscii dall'ufficio sbattendo la porta.
Non avrei dovuto, ma non resistevo.