Nico, Every Breath You Take

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Nico uscì dal bagno frizionandosi i capelli con l'asciugamano – una vecchia maglietta dei Nirvana addosso e gli shorts anche a Gennaio.

Il bello di vivere in una casa con il pavimento riscaldato, diceva sempre quando qualcuno gli faceva notare che non era la tenuta più adatta alla stagione: non aveva mai sofferto particolarmente il freddo, anzi. Gli era sempre piaciuto l'inverno, il clima gelido, la condensa fuori dal naso ad ogni respiro; gli piaceva poter portare il parka, la sicurezza rassicurante della sciarpa attorno al collo, le sue Timberland pesanti.

E la tramontana sopra il labbro superiore di Ettore – quel leggero trattino rosso che lo faceva sembrare stranamente vulnerabile.

Infilò calzini e ciabatte, gettandosi una rapida occhiata allo specchio: aveva i capelli in disordine, e una leggera traccia di occhiaie.

Dormiva poco, ultimamente. Tra l'università, le partite e il suo lavoro non riusciva mai a riposarsi decentemente: ma aveva bisogno di tenersi impegnato. Per non pensare troppo.

Per non pensarci troppo.

« Sono tornata! »

La voce squillante di Matilde, la sua coinquilina, lo colse di sorpresa; si affacciò dalla porta della propria stanza elargendo un grosso sorriso, mentre lei entrava togliendosi gli stivali.

Era alta e magra, aveva un vestito nero che le fasciava il corpo in modo sinuoso; doveva aver preso un po' di pioggia, perché la frangetta, così come le punte dei capelli, aveva una consistenza umidiccia.

« Ciao Mati! Ordiniamo giapponese per cena? » propose subito Nico.

Dopo Ettore, Matilde era la sua persona preferita al mondo. Si erano conosciuti tre anni prima, quando lui aveva deciso finalmente di andarsene di casa e aveva cominciato a cercarsi una stanza; dopo interminabili sopralluoghi in appartamenti di studenti, di lavoratori, o semplicemente di affittuari pazzi stava per darsi per vinto quando il destino l'aveva portato ad imbattersi in lei.

Matilde era marchigiana, si era trasferita nella casa di famiglia a Roma per studiare; aveva una stanza in più e un disperato bisogno di arrotondare. Tra loro c'era stato feeling da subito – da quando mettendo piede nell'appartamento lui aveva notato il poster di Bastardi senza Gloria sopra il tavolo della cucina. Altre peculiarità le aveva scoperte con il tempo; come la sua passione per tutto ciò che riguardava il Giappone – motivo per cui si era laureata in Lingue Orientali - , la sua dedizione ai lavori di piccolo artigianato come creare gioielli o lavorare col fimo, la sua tendenza a usare quasi solo esclusivamente prodotti naturali.

Aveva una dolcezza tutta sua, nel modo di sorridere e nella luce che aveva negli occhi; nelle fossette sulle guance e nei piccoli gesti che compiva quotidianamente.

« Dai, perché no! » gli rispose lei, saltellando scalza in direzione della cucina. Era una scena che tutte le volte riempiva il cuore di Nico di tenerezza; si sentiva quasi in dovere di proteggere Matilde, così minuta che sarebbe bastato poco a spezzarla.

« Allora mi metto su just eat. Come è andata oggi? »

La seguì in cucina, ansioso di parlare. Aveva bisogno di distrarsi – di non pensare, di nuovo, all'espressione preoccupata di Ettore quand'era caduto alla partita. Ai suoi occhi azzurri, ai suoi bicipiti contratti; a quel maledetto sorriso che faceva ogni volta in cui realizzava che l'altro stava bene.

Al modo in cui, con la coda nell'occhio, l'aveva seguito tornare al suo posto in squadra. E Nico aveva tirato dritto, sentendo i suoi occhi dappertutto – la pelle piena di brividi e il desiderio di voltarsi, di correre da lui.

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