Matilde fece scivolare il vestito sulle cosce, temendo improvvisamente che fosse troppo corto.
Una parte di lei – inutile negarlo – lo aveva scelto apposta; era consapevole di come quel tubino nero fasciasse alla perfezione il suo sedere magro e le sue gambe lunghe, e sperava così di esaltare la sua figura snella.
L'altra parte – quella puritana, piena di residui pseudo cattolici – invece la faceva sentire in colpa di quell'abbigliamento così azzardato.
Anche se a pensarci bene, tutto sommato, i sensi di colpa avrebbero dovuto essere per tutt'altro.
Si guardò rapidamente nello specchio dell'ascensore, sbattendo le labbra l'una contro l'altra; il rossetto rosso le donava particolarmente. Era stato lui a sceglierlo: le piaceva quando si dipingeva le labbra, e lei lo faceva volentieri. D'altronde era una delle poche cose che la faceva sentire come se avesse una qualche forma di potere, e non come se fosse pasta modellabile tra le mani dell'altro – creta, di cui poteva disporre a proprio piacimento, modellando le linee del suo corpo, la curva dei suoi fianchi, la forma dei suoi seni.
Aveva sempre un groppo in gola quando ci pensava, una sensazione di pericolosa inquietudine: ma si sforzava di ignorarla, di evitarla come se fosse peste. Di convincersi che in quel modo, sì, era felice.
Anche se nascosta.
Protetta dagli occhi del mondo.
O da quelli di una moglie invadente, e di un figlio adolescente di cui non avrebbe dovuto sapere nulla ma lei sapeva lo stesso; una forma di masochismo intrinseco l'aveva spinta a cercare il nome di Mattia Ateniesi su Facebook. Non aveva trovato risultati; Mattia aveva quasi cinquant'anni e giudicava certe cose con adulto pragmatismo. Ma suo figlio, Luca, gli assomigliava incredibilmente.
Stessi occhi, stessi capelli ricci, stesso sguardo freddo e tagliente; la copia sputata di Mattia, trent'anni più giovane.
L'ascensore si fermò al quarto piano.
Era sempre quello; sempre lo stesso hotel, sempre la stessa stanza. Camera con vista, sì, ma vicino alla stazione; il luogo perfetto per amanti e puttane.
E Matilde non sapeva più in quale categoria incasellarsi: consapevole che sì, forse era entrambe le cose. Ma era soprattutto innamorata.
Bussò alla porta, che si aprì quasi immediatamente rivelando la figura statuaria di Mattia.
Per avere quarantasei anni, Mattia era straordinariamente in forma; era alto, aveva le spalle larghe di chi nuota tutti i giorni, i capelli ancora scuri e gli occhi cerchiati appena da una leggera occhiaia che su di lui riusciva a sembrare straordinariamente sexy. Indossava il suo completo da lavoro, ma Matilde non poté fare a meno di notare che aveva già sfilato il rolex; lo faceva sempre quando uscivano insieme, perché se erano insieme il tempo non contava.
E lei, cretina, ci credeva.
Aveva tolto la cravatta e slacciato il primo bottone; e come sempre la guardava con quei suoi occhi dal taglio freddo e triste, che tuttavia sembravano accendersi ogni volta che si posavano in quelli più caldi di Matilde.
Lei si sentì sciogliere, mentre piano piano sorrideva.
« Ciao. » sfiatò appena, passandosi una mano sul collo.
Mattia sorrise.
Quella era la cosa peggiore di tutte; i sorrisi di Mattia – quelli veri – erano così belli e rari che quando lo faceva era impossibile non rimanere abbagliati. Era luce, intensa e calda, di quelle che scivolano dentro e accendono anche te.
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La parola sempre.
General Fiction« Io e te saremo amici per sempre, vero? » Era una domanda stranamente sentimentale. In un altro momento, Ettore lo avrebbe preso in giro e gli avrebbe dato della femminuccia, chiedendosi perché tanto ingenuo candore. Ma in quel pomeriggio di Maggio...