Capitolo 6 - Maggio

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  Era già passata una settimana da quando Clarke si era trasferita da Raven, aveva provato a ricontattare Lexa, ma le aveva bloccato il numero di telefono e al suo appartamento non rispondeva nessuno alla porta. Le aveva sbattuto il telefono in faccia anche quando aveva provato a chiamarla dalla clinica. Non le era rimasto che il lavoro per cercare di distrarsi, ma inutilmente. Lei era sempre nei suoi pensieri.

Ci si era messo anche Leo. Dall'interno della sua gabbia la fissava con sdegno, sembrava che la giudicasse per tutto quello che aveva fatto. Da quando Lexa aveva finito il tirocinio quel gatto era diventato intrattabile, non si lasciava somministrare le terapie e a causa di quello le sue condizioni si stavano aggravando. Clarke aveva tentato di infilare la mano all'interno della gabbia, ma la palla di pelo l'aveva graffiata soffiando.

"Certo che per avere un piede nella fossa ne hai di energie" lo guardò storto mentre si tamponava la mano con una garza. "Cerchiamo di collaborare, lei manca anche a me, ma non tornerà. Quindi lasciami fare il mio lavoro, così potrai tornare a casa"
"Ora tenti l'approccio psicologico?" la prese in giro Linda, appoggiata alla porta d'ingresso.

"Da quanto sei lì?" le chiese un po' infastidita dalla sua presenza.

"Abbastanza per sentire che siete in pena in due" le sorrise, stranamente non la stava prendendo in giro.

"Non sono in pena" sbuffò nervosamente.

"Clarke, ti conosco dall'università e non ti ho mai vista parlare dei tuoi problemi con nessuno, figuriamoci a un gatto"si affiancò e le sorrise "E puoi evitare di fingere, qui lo sanno tutti"

"Cosa?"

"Non siete state molto discrete, vi hanno sentite nello spogliatoio. Non eravate le ultime" ridacchiò divertita. "Mi hanno detto di farti i complimenti" non riuscì a trattenersi dal rincarare la dose.

Clarke diventò rossa dall'imbarazzo. "Da quanto?" sussurrò.

"Dal vostro ritorno dal corso. E poi le guardavi il culo in continuazione" la guardò divertita, alzando un sopracciglio. "Come fa ad averlo così perfetto? Che invidia. Glielo guardavo anch'io, ti capisco" le sorrise con complicità, quello era il gesto più affettuoso che aveva visto da parte sua in anni di conoscenza.

Clarke scoppiò a ridere e scosse la testa "Confermo, è davvero perfetto"

"E ora che hai intenzione di fare con Nylah?" chiese con tono tranquillo, sembrava sinceramente interessata.

"Ha scoperto tutto" si lasciò scappare un sospiro profondo, colpevole.

Leo continuava a fissarla con il suo sguardo pieno di rancore, mentre a Linda non sfuggì un particolare: le sue mani.

"Da quanto non ti tremano più?"

Il tecnico di laboratorio si lasciò sfuggire un sorriso triste "Dal corso"

"Magari è ora di dirlo a Woods" le fece un secondo sorriso prima di avvicinarsi a Leo, ricevendo un soffio come benvenuto. "Questo stronzetto si è giocato anche la carta del ritorno a casa. Ha chiamato la figlia della proprietaria, pare che la signora sia finita in una casa di cura e che lei non possa tenerlo. Pagherà tutte le cure finché sarà necessario, ma poi dovremo portarlo al gattile". Allungò un dito verso la gabbia e il gatto tentò di graffiarla. "Iniziavo ad affezionarmi. Ci vediamo dopo, torno alle visite"

Uscì com'era entrata, in silenzio. Linda era cinica e senza tatto, ma in quelle poche parole le aveva fatto il riassunto di ciò che contava veramente.

Lexa. Nylah. La sua carriera.

Clarke e Leo si fissarono negli occhi per qualche istante, sembravano soppesarsi a vicenda.

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Lexa era tornata a casa dei suoi. Dopo un'incursione a sorpresa di Clarke al suo appartamento, aveva pensato di evitarla il più possibile. Non era pronta per trovarsela di fronte.

Perché non glielo aveva detto? Perché le aveva dato tante speranze?

Dopo quella notte passata insieme sembrava diversa. Glielo leggeva in faccia che l'amava, aveva sempre avuto una cura speciale per lei, ma quella sera era tutto perfetto. L'aveva vista cambiare nel tempo, si era resa conto di piccole sfumature che l'avevano fatta sperare. Non le parlava mai di Nylah e nemmeno del resto della sua vita. Si era semplicemente gustata la sua presenza, vivendosi ogni attimo con spontaneità. La faceva sentire a casa, l'avrebbe aspettata. Doveva solo ammettere a voce alta quello che le leggeva negli occhi.

E in quel momento le venne il dubbio di essersi inventata tutto. Si chiese se davvero avrebbe messo in discussione la sua vita per lei, la sua ragazza e la carriera nella clinica. Come l'avrebbe presa suo padre? Avrebbe spazzato via tutto per lei? Lo avrebbe fatto davvero? Lexa ne valeva davvero la pena?

E lei? Cosa era pronta a fare per Clarke?

Non avevano mai parlato di un futuro, esistevano in una bolla temporale presente, ma fuori da quel momento non erano nulla. Quel pensiero la ferì, lei aveva parlato di sé e dei suoi sogni, ma si rese conto di non sapere nulla di intimo di Clarke.

Aveva davvero senso dare una possibilità a un fantasma?

Sapeva che c'era qualcosa di speciale in quegli occhi azzurri, qualcosa di veramente importante. Lo poteva vedere dai suoi gesti, ma per quanto stesse bene con lei, si sentiva tradita dai suoi costanti silenzi. Non poteva pretendere grandi cose in pochi mesi di conoscenza, ma doveva ammettere che mancavano le basi. Basi che aveva con un'altra, basi di anni che avrebbero portato a un matrimonio. Basi di dialogo e solo lei sapeva quanto le mancava parlare e scherzare con lei.

Non aveva mai riso così tanto con qualcuno. Riusciva a farla ridere in continuazione.
Le mancava e faceva male da morire.

E con quello spirito aprì la lettera dello zoo di Portland: la sua domanda per il tirocinio era stata accettata. La frequentazione al corso di citologia l'aveva resa un elemento importante per lo staff dello zoo e le avevano offerto un tirocinio di sei mesi a partire da giugno.

Clarke aveva ragione e le aveva regalato un biglietto di sola andata verso i suoi sogni, sulla costa opposta del paese.

La vita sa prenderti in giro in modi infiniti.

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