2. Tre ragazzini mi sventolano in faccia i petali della Morte

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In foto: Narcissa

Stavamo correndo verso casa mia da almeno tre minuti, e sapete quanto amo correre. Giriamo l'angolo e saliamo su per le scale di casa mia, Narcissa inizia a bussare incessantemente, manca poco che lascia un buco enorme.

Sono solo le dieci di mattina, mio padre indossa una vestaglia di un verde ormai scolorito, il pigiama blu elettrico e delle ciabatte grigie con degli orsetti tutti dolci e carini. Non sono più tanto sicura che il professore Landerson mi faccia così tanta paura...

"Dobbiamo andarcene adesso" dice Narcissa, prendendomi per la mano e facendomi entrare dentro, con mio padre ancora addormentato e confuso. La mia amica continua a blaterale cose inesistenti come "Il Campo è sicuro", "come ho fatto a non rendermene conto", mentre esce fuori un rametto simile a quello che mi aveva salvato la vita poco prima.

Mio padre sembra vederci solo in quel momento, si strofina le mani con la disperazione dipinta in faccia, non si comporta così neanche quando vengo espulsa da una scuola e mandata in un altra. Inizia ad andare avanti ed indietro come un treno senza comandi e borbotta tra se, "Non possiamo fare nulla..."

"Noi dobbiamo fare qualcosa" ribatte Narcissa.

"Scusate- mi intrometto- ma di cosa stiamo parlando?"

"Il Campo è il luogo più sicuro ormai"

"Ma è proprio quello che si aspettano che noi facciamo!" risponde mio padre con uno schiocco di dita davanti ai suoi occhi.

"Ma di cos-..."

Mi sento immediatamente più debole e le palpebre si fanno più pesanti. L'ultima cosa che vedo è la tazza del caffè che mio padre aveva buttato a terra quando aveva aperto la porta. Tipico di mio padre, l'unico uomo single che non era ancora entrato nel periodo di "donna casalinga sia, spazza tutto e via".

***

Adesso: io di cose strane ne ho sempre viste e mi sono sempre capitate, anche se a volte duravano poco, sì e no qualche giorno. Ma questa mi sembra più una sorta di amnesia a tempo indeterminato dettata da un medico senza laurea.

Mi spiego: mi sono svegliata come tutte le mattine, sono scesa da mio padre con una valigia piena di vestiti ed ho detto "Quando si parte quindi?". Mi ha guardata come se non fosse già abbastanza che gli fosse capitato una figlia particolare come me, pure pazza sembrava un esagerazione.

A scuola, quando ho incontrato Narcissa e le ho parlato, è stato come se le ultime 24 ore le avessi vissute in un mondo parallelo. Lei, come anche tutte le mie compagne, mi hanno urlato in coro "Sbrigati, il professor Smith ci aspetta in palestra!"

Ragazzi, mi sono girata con una tale faccia da ebete. "E chi sarebbe?"

L'espressione per la risposta alla mia domanda era ancora più da ebete. "Il nostro professore di educazione fisica" mi risponde Narcissa, con un tono tra il preoccupato e il tranquillo. "Dall'inizio dell'anno che è qui, che domande fai?"

Non avete idea della giornata che ho passato. Chiedevo a chiunque del professor Landerson e tutti pensavano che venissi da un reparto psichiatrico chissà dove. Nessuno sapeva chi fosse e nessuno (ripeto nessuno) lo aveva mai visto. Quasi mi stavano facendo credere che me lo fossi immaginato.

Ho detto quasi.

La ciliegina sulla torta arriva quando il preside Brown attraversa il corridoio di fronte l'aula di Scienze con un passo da militare e la schiena dritta come avesse un ...dio mio, non posso dirlo!

Mi ha portato nel suo ufficio, e quando ha unito insieme le parole "espulsa" e "atti intimidatori" sono scoppiata a ridere così forte che la faccia del signor Brown è diventata così rossa che avevo paura potesse esplodere.

Narcissa è venuta subito da me chiedendomi che fosse successo. "Mi ha esplusa" rispondo semplicemente. In fondo sapevo che lei mi credeva, lei sapeva qualcosa e non voleva parlare. Lo vedevo dal modo in cui cambiava discorso ogni volta che nominavo Landerson.

Dopo un minuto di silenzio tombale mi dice: "Non ti abbattere, non è poi una grande scuola questa. Magari ne trovi una migliore"

"Magari me ne vado al Campo" dico mentre scendiamo le scale per prendere l'autobus. Narcissa passa da un rosa ad un bianco cadaverico prima ancora che possa aggiungere altro. "Non so che scuola sia, però se è buona puoi sempre provare!".

Mi risponde con troppa enfasi, è questo che la rende meno credibile di quanto non lo sia già. "Lo sai che a dire cazzate fai veramente schifo? Conoscevo un bambino che era più bravo di..."

"Sali nell'autobus con me" mi blocca, i suoi occhi sono fissi dall'altra parte della strada.

"Non salgo proprio con te, ci sciogliamo lì dentro" e mi volto a guardare il suo stesso punto.

Tre ragazzini che non possono avere più di quindici anni stanno fissando verso la nostra direzione. Anzi, stanno fissando proprio me e Narcissa. Hanno una forbice enorme su una mano, mentre nell'altra i petali di una semplicissima rosa rossa cadono magicamente per terra, come se il tempo per loro fosse più lento.

"Secondo te guardano noi?" mi chiede la ragazza.

"A meno che non siano strabici..."

Mi catapulta subito dentro il pullman, con il caldo che si muore ed i sedili in pelle che ti strappano la pelle solamente sedendotici. "Ma mi spieghi che ti prende?" le dico.

"Che cos'hai visto?", ha gli occhi sbarrati e le labbra secche, neanche se avesse visto un fantasma.

"Tre ragazzini che tagliavano delle stupidissime rose con dei stupidissimi petali che cadevano in modo strano." Mi blocco un attimo per guardarla mentre si fa il segno della croce, come faccio di solito io quando devo fare un compito di matematica. "Non erano proprio così stupidissi, vero?"

"Non erano dei petali magici o robe simili, dimmi che non lo erano" le dico mentre mi osserva con la faccia di chi sta già scegliendo i fiori per il mio funerale.

Lile O'Connors e la Mantella di AibhillDove le storie prendono vita. Scoprilo ora