Sono nata per sbaglio, l’ho sempre saputo, ma fino agli 11 anni non credevo di esser un errore GRASSO.
Poi arrivano loro, con il camice bianco, che non solo non riescono a gestire la patologia tiroidea per la quale mi reco alla clinica, ma anzi, facendomi pesare e commentando i valori, frantumano le mie certezze e quel poco che restava della mia autostima.
Non ero una bella bambina e ne ero consapevole: avevo i brufoli, l’apparecchio ai denti, non vestivo alla moda, ed ero esclusa dal gruppo classe dal quale ricevevo quotidianamente prese in giro e commenti poco carini. I ragazzini sanno essere cattivi, spesso sono insicuri, attuano la costruzione di sé attraverso la svalutazione dell’altro, ed io li odiavo perché non ero in grado di rispondere, tacevo e soffrivo in silenzio.
Arrivo con mia madre all’ospedale, ho paura, temo che mi facciano un prelievo come la settimana precedente, e mi stringo a lei cercando aiuto e protezione.
La dottoressa P. mi sorride e mi invita a spogliarmi perché mi vuole visitare. Mi levo la camicia, i pantaloni, le calze, e la guardo, ma lei mi dice che devo esser completamente nuda e io imbarazzata ubbidisco.
Mi sento violata.
Peso: 44 chili per 149 cm.
“Signorina vedo che ti piace mangiare, eh!”, afferma il dottor L. dopo avermi fatto salire su quell’oggetto che da quel momento mi è diventato nemico e foriero di problemi.
Sento le lacrime pronte a uscire, divento rossa, non riesco a guardarlo in faccia, e rispondo alle domande postemi in seguito cercando di non far trasparire il mio stato d’animo affranto.
Per i mesi successivi interrogo i miei genitori se nella nostra famiglia ci sia qualcuno grasso, faccio l’elenco dei parenti, e finisco chiedendo ciò che davvero mi interessa sapere, ossia se IO sono grassa. E mi sento puntualmente dire che non sono magra.
Nella mia testa “non sei magra” equivale a “sei obesa”, non avendo io mai concepito le vie di mezzo in tutte le loro possibili declinazioni, e vedendo quindi, ahimé, ogni cosa bianca o nera, bella o brutta, giusta o sbagliata.
E per il principio di non contraddizione non essendo magra ero grassa.
GRASSA.
Sono costretta ad andare spesso all’ospedale per le visite alla tiroide, e ogni volta prima di entrare nei vari reparti ho l’ansia che qualche camice bianco mi costringa a pesarmi, e durante il ricovero per il primo intervento - scherzo del destino - mi ritrovo nell’unica camera di degenza con fuori la bilancia, alla quale non resisto, e che crudelmente sentenzia i 47 chili.
47 schifosissimi chilogrammi.
Credo che certe cose non dovrebbero esistere e che l’uomo sia stato davvero crudele ad averle costruite: infatti, gli F24, il zyklon B e le molotov ad esempio, al pari della bilancia, sono altamente distruttivi. Costruire per distruggere. Ciò che io ho fatto con me stessa, insomma.
Dopo la licenza media, nel 2008, prometto a me stessa che cambierò, che non sarò più la sfigata che tutti conoscono, ma diventerò una bella ragazza MAGRA che si piace e piace, e per ottenere il mio obiettivo smetto di bere il latte con la scusa di esser diventata grande e di non volerlo più nel biberon ma di non gradirlo nella tazza, e a scuola butto la focaccia cercando di non farmi vedere dai miei nuovi compagni.
Restringo l’alimentazione con nonchalance, le mie compagne mi invidiano e mi dicono che darebbero un rene per aver la mia taglia di pantaloni, e io sorridendo affermo fieramente di esser magra di costituzione e di non privarmi di niente.
“Fortunata!”, commentano.
“Stefania, esci con me e il mio gruppo di amici?”
“No, mi dispiace, oggi non posso, i miei non mi possono accompagnare, e non vogliono che prenda il pullman da sola.”
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Una vita non basta
AcakQuesta è la mia vita. O meglio, un capitolo della mia vita: l'anoressia. Un mostro che per anni mi ha strappato l'anima e ha cercato di fare a brandelli il mio corpo. E per un periodo c'è anche riuscito. Ma io sono ancora qui. Un po' consumata, sfin...