Londra, Settembre 1683
- SKY -
Io non avevo intenzione di uccidere nessuno.
Il mio istinto era stato solo quello di difendermi, prima che fosse davvero troppo tardi.
Quando quelle luride mani erano scivolate violente e invadenti sul mio corpo, non ho capito più nulla, se non un'unica sensazione: PANICO.
Era stato un errore non chiudere la porta della mia camera a chiave, sapendo che quel vecchio conte, che mi guardava maligno e lascivo da tutta la sera, anche mentre cenavamo, era in circolazione in casa mia, ospite di mio padre.
Io lo avevo preso da tavola quel coltello e me lo ero infilato tra le pieghe del vestito, ma nella mia mente sarebbe servito a tutt'altro scopo, cioè a tagliare le lenzuola e formare una corda con la quale gettarmi dalla finestra della mia camera, quella notte.
Invece il destino, coerentemente con quanto di osceno aveva fatto per me fino ad ora, aveva in serbo ben altro: la tortura di sapere di aver rubato una vita, per quanto infima potesse essere.
Tremavo.
Me ne accorsi perché cominciai a vedere tutto sfocato e sentivo un ticchettio di denti che battevano e un lamento sordo in lontananza e mi resi conto che questi rumori provenivano da me. Mi ammutolì, mi misi seduta sul letto, chiusi gli occhi, respirai profondamente per qualche minuto credo, mi passai una mano sul volto, mi diedi un pizzicotto.
Era tutto vero purtroppo.
Lanciai il coltello per terra, vicino al corpo esangue del mio anziano (poteva essere mio nonno, per quel che ne so) e grosso assalitore, nonché deceduto futuro marito, come se quel gesto servisse a scagionarmi, come se la mia mano avesse vita propria.
Fu in quel momento, nel silenzio e nel buio della mia camera, col sangue gelato nelle vene, che realizzai ciò che avevo appena fatto, che non si poteva tornare indietro, che un destino ben più crudele mi aspettava e presi definitivamente quella decisione: da quel giorno non sarei più stata Sky Marie De La Croix, figlia del tredicesimo Duca d'Auberville.
Non lo ero mai stata fino in fondo nel mio cuore.
Sapevo di essere solo una pedina nelle mani di mio padre, un tiranno che aveva costretto me e mia madre alla miseria e al terrore quotidiano se solo lo si cercava di avvicinare, un padre che aveva sperperato tutti i nostri beni sui tavoli da gioco e che adesso mi vendeva, come se fossi stata una merce all'asta, al miglior offerente, venuto a farmi visita in camera mia, stanotte, con lo scopo di valutare il valore della mercanzia che acquistava, magari con la benedizione di quello scellerato di mio padre.
Ecco perché, avendo saputo tutto ciò circa una settimana prima, avevo organizzato la mia fuga.
No. Non sarei stata plagiata, punita e sottomessa ancora una volta, non avrei ceduto di nuovo la mia vita nelle mani di qualcuno che mi avrebbe solo sfruttata per il proprio piacere.
Sarei stata quello che ero da sempre: semplicemente Sky.
Sky senza una casa adesso. Senza via di scampo per il terribile peccato appena commesso. Sky senza una famiglia alla quale chiedere aiuto, perché mia madre altro non era diventata che una succube e una nullità, a furia di sentirselo ripetere ogni giorno da suo marito, quasi non avesse più un cervello pensante o sentimenti, se non astio e pena verso se stessa. Quasi io non esistessi più o, meglio, non fossi mai esistita per lei.
Non versai neanche una lacrima.
Mi voltai, e completai quello che avevo appena escogitato poco prima: mi calai dalla finestra con le lenzuola, come previsto, portando con me solo un sacco con le monete che avevo rubato a mio padre a poco a poco nel corso degli ultimi giorni, vestita da mozzo di stalla grazie agli abiti procurati dal mio fidato stalliere Jean, che non aveva fatto nemmeno domande per la mia bizzarra richiesta di una settimana prima.
Presi il coltello incriminato da terra, vicino a quel vecchio corpo senza vita e vederlo fermo, con tutto quel sangue sparso sul tappeto, mi fece venire un conato di vomito, che cercai di ricacciare indietro. Ci mancava solo questa! Misi il coltello dentro la sacca col denaro.
Indossai un mantello nero, unico sfizio che mi ero concessa, dato che soffrivo molto il freddo. Alzai il cappuccio fino a coprirmi il volto. La discesa non era stata molto difficile, la mia camera non si trovava così in alto come pensavo.
Mi voltai, alzai lo sguardo e lo puntai sulla finestra aperta della mia camera, poi guardai il palazzo, ora dormiente e silenzioso, che era stato la mia prigione per tutti i 19 anni della mia vita.
Lo detestavo. Detestavo persino la servitù, così assoggettata da mio padre da agire solo ubbidendo ai suoi ordini, senza umanità, lasciando una bambina morta di fame per due giorni solo perché non aveva fatto una riverenza perfetta all'ingresso del padre, o al freddo del camino spento per oltre una settimana, per risparmiare sulla legna e potere spendere di più in alcolici scadenti, prostitute e gioco d'azzardo. Impedendo a quella bambina di vedere la madre per giorni, o una tata o una qualunque anima vivente in quel palazzo, per renderla forte e autonoma come il figlio maschio che non aveva potuto avere da quella disgraziata della moglie.
Sola, come lo ero anche adesso che ero diventata adulta e scappavo da quei ricordi così meschini. Solo Jean, amante dei cavalli quanto me, nutriva quello che avrei definito dell'affetto paterno nei miei riguardi, e cercava sempre di darmi una mano, finendo a volte per essere severamente punito.
Raccolsi il sacchetto col denaro che mi era scivolato per terra, me lo legai con un nastro attorno alla vita, saldamente. Nel farlo mi resi conto di aver commesso un madornale errore: nella foga e nello stordimento per quello che era accaduto col vecchio morto, avevo dimenticato di fasciare le mie forme per apparire come un qualunque giovane di strada e non come la ragazza che ero. Speravo che nessuno mi avrebbe scoperto, per quella notte non volevo essere costretta a uccidere più nessuno, diamine! Avevo già fatto il pieno di emozioni negative. Avrei dovuto provvedere prima di imbarcarmi al porto.
Mi voltai in preda all'agitazione e "Addio" fu tutto quello che mormorai.
E con l'immagine di quel vecchio maiale che cercava di assalirmi ed io che lo accoltellavo alla spalla, scomparì correndo fra gli alberi, in cerca del porto, con la sola luce debole della luna a rischiararmi il cammino. Non avevo voluto andare a cavallo, ma a piedi, per passare più inosservata una volta giunta a destinazione.
Dovevo lasciare Londra, o Londra mi avrebbe giudicata e condannata per quello che ormai ero: un'assassina e una fuggitiva.
"Che Dio mi aiuti".
YOU ARE READING
A diamond in the Sky
Historische RomaneTra la Londra degli ultimi anni del Seicento e i paradisiaci Caraibi, tra soprusi, pirati, violenza, amori e continue sorprese, Sky si ritrova travolta da un turbine di avventure ed emozioni, che la porteranno a conoscere il vero amore, ma anche il...