Un pugno sulla bocca dello stomaco, un pugno sui denti, un pugno sul setto nasale. Han Jisung, diciotto anni, era disteso a terra, fiotti di sangue che dalle narici gli finivano sulle labbra, la vista offuscata e una mano che sbatteva sul tappetino blu sotto di lui, una voce che contava fino a dieci che gli ronzava nelle orecchie.
Aveva perso una volta ancora, sul quel ring improvvisato nelle quattro mura dell'Instant Replay. Neanche quella settimana avrebbe ricevuto un giro di drink gratis. Quando l'arbitro tirò su la mano del suo avversario dichiarandolo vincitore, Jisung chiuse gli occhi e sospirò con tutta l'esasperazione che il suo corpo poteva contenere, reprimendo una lacrima e ignorando le voci e le mani intorno a lui che lo incitavano a tirarsi su.
Dall'altro lato della stanza c'era Lee Minho, venti anni, aveva le mani troppo occupate tra bottiglie di Gin e bicchieri di vetro per potersi curare di un incontro di pugilato che finiva per concludersi sempre allo stesso modo. «È un coglione», aveva detto una volta ad uno dei concorrenti. «Continua a perdere ogni sera, non capisco perché si ostini a combattere onestamente. - poi faceva scoccare la lingua sul palato e versava il Martini nel bicchiere - questo lo offre la casa» e poi faceva un occhiolino a quel cliente, anche se non lo conosceva e consapevole che se i suoi colleghi, o peggio, il suo direttore fossero venuti a sapere che offriva drink ai clienti sarebbe stato licenziato in tronco. Minho sperava sempre di svoltarci qualcosa, fallendo pateticamente ogni volta.
Ogni volta, forse, ma non quella sera.
Le mani di quel pugile erano scivolate sotto la maglietta di Minho dopo che lo aveva fatto sdraiare sulle panche degli spogliatoi riservati ai combattenti, troppo piccole, troppo dure, troppo scomode, ma per chi ci aveva scopato almeno altre cinque volte, ci si faceva l'abitudine. Labbra languide, viscide, si posavano sul suo collo, lo leccavano e lo succhiavano come se fosse qualcosa che avevano bramato da troppo tempo. Minho chiuse gli occhi e lasciò che un sospiro lasciasse la sua bocca. Il suo sguardo non si sarebbe mai più posato sul volto del suo predatore dopo quella sera. Dentro di lui lo sapeva, quanta vergogna avrebbe dovuto provare in quel momento, ma ormai cosa ci perdeva più? Dopo che continuava a perdere quel filo di dignità che riusciva a ricucirsi addosso ma che poi lasciava farselo scucire per l'ennesima volta da delle mani che non avrebbero mai dovuto toccare il suo corpo in primo luogo.
«Ti servono» Minho era rimasto sdraiato sulla panca, il respiro pesante e con solo la maglietta indosso - l'unico indumento che non gli era stato sfilato. Alzò lo sguardo automaticamente quando una voce a lui sconosciuta gli rivolse la parola e quando si ritrovò un pacchetto di fazzoletti sul torace. «Ma non ve ne eravate andati tutti?» Disse, una nota di imbarazzo facilmente percettibile nella sua voce. «Tutti gli altri forse, io, sfortunatamente, no. Me ne sarei voluto andare, credimi, ma se fossi uscito prima di ora avrei rovinato il vostro magico momento» Si fece scappare una risata, dopo la sua frase pronunciata in tono sarcastico e dopo aver rivolto a Minho uno sguardo misto alla compassione e al disgusto. Il maggiore non rispose, si mise semplicemente seduto cercando un modo per potersi coprire al meglio, troppo pigro per poter prendere il paio di pantaloni buttati a qualche centimetro da lui.
Jisung nel frattempo si stava tamponando le ferite sul volto con un pezzo di ovatta asciutta, Minho lo osservava in silenzio. È un coglione, non sa nemmeno pulirsi una ferita come si deve, come può pretendere di saper lottare.
«Dio, lascia stare.» Minho, che nel frattempo aveva avuto la decenza di rimettersi almeno i boxer, strappo il pezzo di ovatta dalle mani di Jisung e lo bagnò con l'acqua ossigenata. «Bastava aprire questo cassetto e avresti trovato tutto l'occorrente. Come pretendi di poter disinfettare una ferita se l'ovatta è asciutta?» Jisung non rispose, si limitò a sbuffare divertito. «Non c'è nulla da ridere, io l'ho sempre detto che sei un coglione» Minho posizionò un dito sotto il mento del minore per poterglielo alzare e per poter avere una migliore visuale della ferita, più che altro per potersi regolare su quanta altra acqua ossigenata sarebbe servita per pulire quel disastro. Jisung non rispose neanche quella volta e non fece resistenza quando le dita di Minho toccarono il suo volto.
Jisung quella sera stava davvero vivendo il momento della sua vita: da quando aveva messo piede nell'Instant Replay aveva anche messo gli occhi su quel barista tanto carino che, per sua fortuna, i suoi turni di sabato sera coincidevano con gli orari dei combattimenti. Gli importava del pugilato? Poco e niente, volere del padre, per Jisung ora era diventata solo una scusa per poter vedere Minho ogni sabato sera, e ora che lo aveva mezzo nudo e sette centimetri di distanza da lui, il suo cuore non faceva altro che battere con la stessa velocità dei pugni che riceveva quelle sere solo per poterlo vedere, complessivamente, tra un colpo e un altro, una ventina di minuti. «Sei sempre così silenzioso?» Jisung scosse la testa e sorrise per l'ennesima volta, tutta quella vicinanza lo stava facendo agire come un coglione, più del solito. «In realtà sono una persona che parla molto, solo che ora il silenzio si abbina di più a tutto ciò» Minho fermò i suoi gesti ed alzò un sopracciglio, confuso dalle parole del minore. Scosse la testa divertito e riprese a fare ciò che stava facendo prima.
Jisung aveva ragione, il silenzio si incastrava perfettamente tra i loro respiri, tra le dita di Minho che continuavano a stringere quel pezzo di ovatta ormai completamente sporco di sangue, tra le parole e i baci che Jisung stava cercando di reprimere al meglio. Sì, il silenzio era tutto ciò di cui avevano bisogno in una situazione simile, in cui Minho, che per il minore non aveva provato altro se non misera compassione, stava iniziando a sentire lo stomaco agire in maniera differente dal solito, le gambe più deboli e gli occhi costantemente attratti dalle labbra di Jisung. «Che mi dici, era comoda la panchina?» Minho strinse il pezzo di ovatta nella mano e si poggiò sul lavandino, alzando le spalle. «Dipende. Vuoi provare?» Jisung sorrise, portando le mani sulle spalle del maggiore e non avendo più il timore di annullare completamente quei sette centimetri che li avevano divisi fino ad ora.
Lo stava toccando in un modo diverso dal pugile che lo aveva toccato prima, i suoi movimenti sul busto di Minho erano delicati, carichi di quell'amore che Jisung aveva represso per mesi e mesi fino a quando, finalmente, aveva avuto - e colto - la possibilità di poterlo finalmente riversare su di lui, di poterlo sfiorare e baciare con tutta la leggerezza che Jisung riuscisse ad usare, perché Minho ai suoi occhi appariva fragile e facile da rompere.
Jisung a fare il pugile era un fallito, Minho i drink non li sapeva neanche preparare poi così bene, eppure entrambi quella sera sembravano aver raggiunto una delle loro più grandi vittorie: poter amare e sentirsi amati dalla persona che meno si aspettavano ma che, anche se in silenzio, più desideravano.
𝗙𝗜𝗡.
non ho idea di cosa sia tutto ciò onestamente, sono le tre del mattino ed è un mese che cerco di buttare giù qualcosa per questa storia anche se alla fine tutti i miei sforzi si rivelano un totale fallimento. non sono soddisfatta di cosa ho scritto, onestamente so che avrei potuto fare si meglio, ma spero che questa "cosa" scritta così di getto possa comunque piacervi. ♡