ci eravamo amati troppo poco
per quello di cui avevamo bisogno.
ci sarebbero servite settimane
per colmare il vuoto di tre mesi di pianti
di poesie mai scritte
di telefonate stanche
con voci rotte
e di una vibrazione come buongiorno
e una canzone come compagnia
sempre la stessa.
non mi bastava la voce dei beatles
per colmare la tua assenza
non mi sarebbe bastata nemmeno la tua
mentre mi parlavi da dentro il mio telefono
e mi dicevi ce la facciamo, ce la faremo
e mi dicevi sopravviveremo, quando sapevi che non sarebbe successo, e lo sapevamo entrambi
come sappiamo che ora siamo un miracolo
ma il nastrino rosso che ci legava è diventato fil di ferro adesso, dovrebbe funzionare meglio ora.
non riconosco i posti dove siamo stati insieme, le caffetterie mi sembrano solo caffetterie e le strade solo strade. no cameriere, non voglio la sua stupida cioccolata calda, non con questi sconosciuti intorno a me per berla. non mi basta solo la prima metà di una cioccolata calda.
ora bevo il caffè, che è più amaro o troppo dolce, troppo veloce e quando si svuota la tazzina, dopo non succede niente.
per queste strade cerco la tua macchina ma se tu non ci sei lei non c'è, come un animale che aspetta pazientemente il ritorno del suo padrone per uscire di casa. la pizza non è buona , non riesco mai a finirla, mi fa venire da vomitare. sono ingrassata di due chili e tu continui ad essere convinto che io debba mangiare. credo ancora nella morale e nelle buone azioni, nel chiedere lo scontrino solo per conservarlo e nell'attraversare sulle strisce solo per pensare alla tua faccia così infastidita. ti odio e mi odio, per continuare così, chi mai ci ha convinto a farlo? noi due certo, ma due settimane fa eravamo troppo bambini per capire cosa significasse. voglio meno dei tuoi ce la faremo e più dei tuoi non possiamo farcela e meno ti amo e più biglietti dei treni. non mi serve una buonanotte e un buongiorno, no, no, se non usi tutto quel tempo per scrivermi quei messaggi puoi studiare per il compitino e venire a roma con me. vorrei baciarti davanti alla statua di giulio cesare in via dei condotti e osservarti mentre fai deduzioni su qualche chiesa antica o qualche passante. mi fermerei con te in una stradina, per baciarti contro i muri che i chilometri ci hanno costruito, per distruggere le strade di carta pesta di tutti i nostri 'possiamo incontrarci' e crearne qualcuna più solida, come un biglietto con su scritto vibo pizzo e pisa, non importa in che ordine. devi comprarne più di tre all'anno, non sono abbastanza. e io non voglio andare a new york ma a siracusa con te e guardare la lisistrata seduti dove duemilacinquecento anni fa al posto nostro la stava guardando qualcun altro. non starbucks, ma quel baretto al centro di pisa che fa la cioccolata che costa un occhio, quella che fa la cioccolata più buona del mondo. oppure puoi portarmi a mangiare un gelato. possiamo scappare a firenze, per te rinuncerei al sogno di trovarmi di fronte al van gogh che ho ammirato e riprodotto per anni, per sostituirlo con un quadro di botticelli che io nemmeno consideravo prima di averti conosciuto. ti porterei via, in una strada affollata, saremmo soltanto noi due. times square si sentirebbe insignificante a guardarci.
ti porterei a casa tua e chiuderei a chiave la tua stanza, per giocare a nascondino sotto le lenzuola o dietro al tuo cuore magari. giocare a nascondino con le mie lacrime
e le mie paure
e le mie incertezze
che sono le nostre.
leggerei la divina commedia, a bassa voce che tanto tu la sai già a memoria, mentre tu fingi che ti interessi una ciocca dei miei capelli che sta fuori posto. una dimensione parallela, entranea al mondo quando c'è contatto tra i nostri corpi, quando sento il calore della tua pelle premuta sulla mia, gli abbracci sicuri, roccaforte delle mie insicurezze. in una dimensione atemporale, parallela, lontana. ti attendo nella mia ogigia personale, aspettando invano il tuo ritorno, chiedendoti invano di restare. no, no. sarò la tua itaca ma dopo vent'anni, con le rughe della guerra, sono argo che ti aspetta fino a morire, sono anticlea che muore per aspettarti, sono penelope che aspetta di rivederti per non morire. con il mio terrore dei miei proci, che come serpenti che mi strisciano attorno sussurrando sibili terrificanti, mi lasciano attonita, paralizzata dalla paura. e cresce, cresce, cresce in me. la sera scucio la tela delle mie paure e dei miei dolori sapendo di doverla ricucire la mattina e a che scopo? ma la tua itaca sarà comunque qui ad aspettarti.f
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'poesie'
Poetrynon so chi tu sia, nè perché tu perda il tuo tempo qui, con me. ma sappi che dalla prima all'ultima pagina, la versione di me più nuda, ti guarda dall'altra parte, da dietro le lettere di queste poesie, che una scrittrice con poca autostima quale so...