Capitolo 1

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Era il mio ultimo giorno in quell'inferno. Il primo in cui sarei stata libera di andare dove volevo, perché non sarei più stata segregata in quella stupida casa dove tutti mi odiavano. Mia madre, o forse dovrei dire la mia tutrice, Madeleine Bennet, era un vero mostro. Mi aveva presa in affido quando avevo 3 anni e con me altri 5 bambini, ma ci trattava come se fossimo stati dei rifiuti umani e non aveva la minima considerazione di noi; ci ha raccattati quando eravamo piccoli e ci costringeva a lavorare per lei in cambio di cibo e un tetto.
Da quello che mi hanno raccontato sono stata portata in orfanotrofio quando avevo solo due mesi dai miei genitori. Credo l'abbiano fatto per disperazione, tre dei ragazzi che vivevano con me sono orfani, gli altri sono stati affidati agli assistenti sociali perché con genitori tossici o alcolizzati, non ricordo. Io, anche se uguale a tutti gli altri ragazzi, con gli stessi problemi e le stesse disgrazie, non ero molto amata in quella casa; perché? Il mio carattere. Ora vi chiederete cos'avesse il mio carattere che non andava, bè facevo a botte praticamente per ogni cosa, per ogni motivo possibile. Avrei voluto non essere così ma la rabbia accumulata ogni giorno in questo posto orribile era inimmaginabile e questo era l'unico modo che trovai per allentare leggermente la tensione. Non mi piaceva prendere a pugni la gente ma la rabbia era talmente tanta che alla fine esplodevo.

- Annabeth. Avanti è ora di andare - mi informò Madeleine, finalmente non avrei più sentito quel tono di voce autoritario da "io sono il capo supremo del mondo"

- si arrivo! - misi gli ultimi vestiti nella mia valigia e la chiusi per poi prenderla dal manico e trasportarla con un po di fatica per il peso. Ci dirigemmo verso l'atrio. La mia fortuna fu che, strano a dirsi, feci amicizia con una ragazza al liceo che aveva il padre che doveva affittare un piccolo appartamento, cercai lavoro il prima possibile e lo trovai qualche settimana dopo. In men che non si dica avevo una casa e un lavoro.

- grazie - dissi educatamente, lei fece un cenno con la testa e se ne andò senza dire una parola. Feci un sorriso smagliante, finalmente stavo per andarmene da quella topaia.

Uscii dalla porta principale e respirai profondamente l'aria ancora fredda dell'inverno. Guardai il cellulare per controllare la via della mia nuova abitazione che per mia fortuna era il più lontano possibile da lì. Speravo che la paga del mio nuovo lavoro fosse stata abbastanza da poter pagare l'affitto dato che a Londra erano veramente esagerati. Andai a piedi fino alla fermata dell'autobus e aspettai un tempo che mi sembrò infinito. Dieci milioni di domande mi frullavano per la testa, ma ero anche eccitata all'idea di avere una vita nuova. Intanto ero arrivata sotto il palazzo in cui avrei abitato. "Calmati Annabeth, andrà tutto bene". Feci un respiro profondo ed entrai nell'edificio. Presi l'ascensore e premetti il tasto con il numero 7. Arrivata nel pianerottolo controllai il foglietto, appartamento numero 43, premetti il campanello e aspettai, una ragazza alta e dai capelli neri mi venne ad aprire

- si? - chiese sorridendo mentre riagganciava al telefono.

- ehm... Io sono Annabeth - dissi imbarazzata, lei fece un sorriso smagliante

- vieni, entra, ti stavamo aspettando, io sono Emma la sorella di Alexis - quasi mi stupii di questa accoglienza, non ci ero abituata, non conoscevo molto Alexis, soprattutto non sapevo avesse una sorella.

- grazie - risposi, lei mi fece entrate e mi ritrovai davanti il signor Prior, il padre, era un signore sulla cinquantina grassoccio e con un paio di baffoni

- ciao Annabeth è un piacere rivederti,  spero ti troverai bene in questa casa, mi spiace non averti avvertito ma sorge un problema - "oh no eccoci, era troppo bello per essere vero, adesso non avrò una casa e dovrò tornare in quel buco schifoso" notando il mio stato di agitazione mi mise una mano sulla spalla

- non preoccuparti non è una cosa grave, mia figlia Emma lavorerà nei paraggi e non avendo un mezzo di trasporto ha voluto vivere qui ma le ho già detto che la casa era stata affittata - guardò la figlia di sottecchi. Emma mise le mani avanti e cerco di giustificarsi

- andiamo papà lo sai che non sono una cima nella guida e che da casa nostra non passa nemmeno un autobus che mi porti lontanamente vicino a questa zona. E poi non penso che per Annabeth sia un problema - "porca miseria di nuovo qualcuno con cui vivere, perché tutte a me", cercai la mia espressione migliore

- certo, non ho nessun problema a condividere la casa con qualcuno - "ho un problema enorme a condividere la casa con qualcuno"

- vedi? Adesso siamo come sorelle - "ti prego no" mise il suo braccio intorno al mio collo, cosa per lei abbastanza facile perché era molto più alta di me. Il signor Prior fece un respiro profondo, mi guardo negli occhi come se fossi sua figlia

- se ti dà problemi o fastidi dimmelo - e fece per andarsene, ma alla porta si fermò si girò a guardarci e mi disse - per qualsiasi cosa sappi che non sei sola - queste parole mi scaldarono il cuore. Gli sorrisi, lui ci fece un cenno e si chiuse la porta alle spalle.

- Allora Annabeth, parlami un po di te - sapevo che conosceva già tutto della mia storia perché ne parlai con Alexis prima che mi proponesse l'appartamento ma feci comunque la mia parte e annuii con il viso paonazzo perché non ero molto abituata a tutte quelle attenzioni e ci sedemmo sul divano. Raccontai la mia storia senza soffermarmi sui particolari.
- che lavoro hai detto di aver trovato? - chiese
- caffetteria Daily's - risposi. Notai un cambiamento nel volto di Emma, divento pallida e cominciò a balbettare

- ha-ai d-detto D-daily's? - io annuii. "Cosa c'è di tanto strano?"

Beyond life - oltre la vita ci sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora