2. Chitarra e Do, Re, Mi odia!

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Ero seduta sullo sgabello a contemplare le variate tipologie di drinks che il barista preparava, mi osservava con aria rallegrata mentre mi serviva il tè che aveva preparato esclusivamente per me. Lo ringraziai con un sorriso lieve, che razza di persona non ringrazia un qualcosa fatto unicamente per lei?

Il lounge bar era ben arredato, era dotato di una particolare eleganza, le sedie erano dei pezzi antichi degli anni ottanta, non c'era confusione e ciò mi rendeva molto felice. Non amavo l'ammasso di persone. L'aria profumava di limone e di altri frutti citrici. Era un luogo abbastanza torbido, un'unica luce illuminava il palco, era un posto adatto alle persone che si sentivano sole ed avevano bisogno di trovare un pizzico di tranquillità.

Mi ero fiondata in mezzo alla poca gente del locale per capire meglio che genere di persone potevo incontrare. Signore solitarie, anziani che scambiavano idee politiche, un gruppo di giovani seguaci di tutte le forme di cultura alternativa, ma la mia attenzione fu richiamata da un uomo nei suoi settanta che sedeva di lato al palcoscenico. Senz'alcuna difficoltà, mi sedetti non molto lontana da lui, sembrava triste, sfogliava una rivista mentre "svapava" dalla sua sigaretta elettronica, non dava molta importanza alle pagine di quel ammucchio di carta, i suoi occhi erano privi di vita.

Alzò la testa con lentezza non appena una chitarra acustica iniziò ad invadere le sue orecchie. La musica mi arrivò un paio di secondi dopo, ero molto impegnata a studiare i suoi movimenti, le sue espressioni, i suoi occhi malinconici. Mi ricordava mio nonno, un uomo che aveva sempre aiutato tutti anche quando il suo corpo si stava spegnendo.

L'angelo era lì, con la chitarra in mano, e mi stava fissando, attirando tutta la mia attenzione. La sua vicinanza mi frastornava, avevo una immensa voglia di dirgliene quattro, ma la sua voce invase il mio corpo, stava cantando "Fields of gold", una canzone originale composta da Sting, uno dei miei cantanti preferiti. L'avevo beccato a guardarmi più di una volta e la cosa non mi dispiaceva, sebbene sentivo di odiarlo. Osservavo come si muoveva, le sue mani che dolcemente strimpellavano le corde della sua Ibanez, si muovevano con decisione ed esperienza.

Mi ero avvicinata di nuovo al bar, prendendo questa volta, un Sex on the beach. Notavo come i suoi occhi mi cercavano ogni volta che mi allontanavo per ordinare un altro drink, sicuramente per giudicarmi con lo sguardo o perché voleva farmi sentire a disagio, e di conseguenza, farmene andare. Per sua sfortuna, volevo rimanere a godermi la serata. Non avevo nient'altro da fare, anche se ero consapevole di dovermi svegliare presto la mattina dopo per l'incontro con il proprietario della libreria. Non volevo di certo dargliela vinta. Quel ragazzo mi stava sfidando.

Avevo tirato fuori il telefono per distrarmi mentre la sua prossima canzone era una versione acustica di un nuovo artista che conoscevo benissimo, s'intitolava "Moonlight". Le parole di quel testo uscivano dalla sua bocca con molta sensualità, le sue dita si muovevano rapidamente sulle corde e cominciò a lanciarmi sguardi fugaci, voleva farmi capire qualcosa, quel qualcosa che non comprendevo. Tanta era la mia rabbia che dovevo assolutamente uscire dal locale per fumarmi un'altra sigaretta.

Sentivo come se la terra non fosse posizionata sotto i miei piedi, le luci che fuoriuscivano dal locale offuscavano i miei occhi, mi sedetti su una sedia di legno che si trovava vicino la porta d'ingresso e lasciai il bicchiere pieno del drink su un tavolo che suppongo appartenesse alla sedia, o la sedia al tavolo? Ero definitivamente brilla. Come sarei tornata a casa? Non di certo volando, non di certo correndo come una pazza per strada, e sicuramente, non con la macchina. Sarei rimasta seduta finché i miei sensi non riaffiorassero. È vero che volevo rimanere, ma una parte di me diceva di andarmene, quella che non voleva incontrare quel bastardo.

Andai incontro a ciò che sembrava essere la mia macchina quando una mano soffice si posò sulla mia spalla e mi fece girare lentamente. Era il signore sulla settantina che sedeva di fianco al palcoscenico. Un sorriso nobile si disegnò sulle sue labbra ormai quasi invisibili. Era un uomo bassotto, con i capelli solo sui lati, portava un bastone con il manico color d'oro, ed era vestito in modo raffinato.

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