La riunione

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Mancavano davvero pochi passi alla sala riunioni, una stanza di circa 25 mq, che odorava ancora di vernice fresca e di plastica da imballaggi. In fondo, avevamo scartato le sedie dalla plastica protettiva solo poche ore prima. La sala riunioni era una delle stanze che preferivo, racchiudeva la nostra essenza: era semplice, essenziale, aveva grinta. Ci avevamo lavorato tutti per creare quella stanza, e in ogni centimetro c'eravamo noi. Scegliere il colore della sala era stato più problematico.

Ogni mia proposta veniva puntualmente bocciata da quasi tutti, così alla fine ho lasciato la scelta dei colori in mano a Martina ed era stata la decisione migliore. Solo una cosa sarebbe cambiata in quella sala: una delle pareti. Il muro che dava sull'enorme stanza dove gli articolisti lavoravano, sarebbe stata sostituita da vetri. Ci piaceva l'idea di far vedere, ai nostri dipendenti e clienti, che non stavamo con le mani in mano, ma che eravamo tutti parte di un unico grande progetto. Che non lavoravamo in modo distaccato da loro, ma con loro. Avevamo passato ore interminabili a visionare locali dove stabilirci.

Ci eravamo mossi con un'idea ben precisa in testa: la sala riunioni doveva dare sul verde. Sarebbe stata la sala principale della redazione. La porta era particolare ed era una delle poche cose su cui tutti ci eravamo trovati d'accordo. Non vi stava la classica targhetta, ma un disegno. Il disegno di un caffè e l'acronimo del nome del giornale.

Dalla porta semi aperta riuscivo ad intravedere Silvia che cercava di accendere un bastoncino di vaniglia e la vedevo imprecare tra sé e sé, ogni volta che il fiammifero si spezzava nel tentativo di fare la scintilla sulla nostra scatolina intestata. Abbiamo anche le scatole di fiammiferi con il nostro nome? Perché abbiamo delle scatole di fiammiferi intestate? Qualcuno usa ancora i fiammiferi? E comunque va cambiata l'azienda, quei fiammiferi sono troppo fragili. E se cambiassimo in accendini? Non ero affatto nervosa, stavo solo sviando la mente verso pensieri futili per ridirezionare l'ansia. Mi sembrava tutto così incredibile.

In quel momento non riuscivo a trovare la forza di entrare, non mi sentivo pronta. Ero famosa per la mia faccia tosta, per le mie bravate anticonformiste, ma stavolta non era la stessa cosa. Dietro quella porta c'erano 10 persone che conoscevo ormai da anni, cinque che conoscevo da quasi quattro mesi ma che mi erano entrate nel cuore e stava arrivando lui, il nostro editore. Lui, che aveva creduto nel nostro progetto quando ormai ci vedevamo in procinto di buttarci giù dalla nave e nuotare fino alla riva, dimenticando tutti quegli anni tra tendiniti, computer surriscaldati, emicranie, litigi e pianti. Già, perché poi, quando ci si sconforta, anche immotivatamente, si dimenticano le cose belle, e ci si lascia sopraffare da quelle tremendamente brutte.

Se ci avesse dato una cattiva notizia cosa avremmo fatto? Avevamo investito tutto sulla rivista. Monica aveva lasciato il suo lavoro in laboratorio, Martina aveva addirittura chiuso con il suo ragazzo per venire fin qui, Elena, messa avanti ad un "out out" dal suo editore, aveva accantonato il libro che scriveva ormai da due anni... ognuno di noi aveva rinunciato a qualcosa per lanciarsi a capofitto in questa "cosa enorme".

Faccio un cenno silenzioso alla mia spalla di sempre, ancora lì, di fronte a me, ad aspettare che facessi i miei soliti giri mentali, chiedendole di parlare al posto mio. Con garbo ed estremo silenzio, mi mandò, per l'ennesima volta, a quel paese, ormai diventato il nostro gesto di affetto nelle occasioni importanti, mentre Daniela, attonita spettatrice dei nostri teatrini telepatici, mi guardava facendomi cenno di prendere il fascicolo che teneva tra le mani.

Maledizione, mi pareva di ricominciare tutto da capo. La sensazione era come di tornare indietro nel tempo a tanti anni prima: nel 2015, era appena passato un anno dalla chiusura della mia redazione. Nessuno psicologo, nessuno psicoterapeuta mi avrebbe più restituito la forza e la voglia di vivere dopo l'orribile episodio che aveva mandato totalmente in frantumi la mia carriera giornalistica.

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