Quando Jisung si era svegliato quel giorno, aveva sentito un peso sullo stomaco. Questo era dato dalla muta consapevolezza dell'arrivo dell'autunno. Era il ventun settembre, anche quell'anno, di nuovo sarebbe ricominciato il ciclo infinito di delusioni. Forse aveva qualcuno, quell'anno però, nella quale porre quello che del suo cuore rimaneva in autunno e inverno. Chenle era un po' come il riparo vitale, per gli animali che andavano in letargo. Ma per Jisung nemmeno quell'anno ci sarebbe stato un riparo. Nemmeno quell'anno ci sarebbe stato un ramo di riparo per piogge lunghe otto mesi. E questo lo capì immediatamente. Il cielo fuori era grigio, piatto, scultoreo, come un quadro medioevale. L'aria era forte e prepotente, pungente e tagliente, aghi sembrava colpissero il viso di Jisung. E le persone erano come il cielo, vuote e monotone. Chenle non c'era. Jisung non aveva visto un puntino giallo in mezzo a quelle persone. Ed era tutto così nero in quel momento, che il sogno vissuto fino a poco tempo fa, sembrava essersi dissolto, per andarsi a trasformare in un incubo. E tutto gli sembrava così tanto un quadro di Flussi in quel momento. E quando era tornato a casa, nulla, oltre il silenzio l'aveva accompagnato nell'entrare. Ora sembrava tutto così vuoto e insensato. E Chenle non c'era più, non si era fatto sentire. Jisung quel giorno aveva controllato il telefono fino alla fine, fino a quando non si era reso conto che avrebbe potuto addormentarsi sullo schermo. E aveva chiuso gli occhi con l'amarezza nelle iridi dolci. E così aveva passato l'inverno solo, solo sotto a temporali di sofferenze, dolori e lacrime. Solo davanti a viali di sogni infranti, nella quale gli alberi erano stati privati della loro vitalità, nella quale il loro unico amore era a terra, marrone come l'anima generale, secco come il cuore di Jisung. La primavera successiva il miraggio di Chenle, camminava al fianco di Jisung.
Fine
