Capitolo 1 - Porpora - Seconda Parte

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«Adesso ti mostrerai a me?»

Senza esitare mosse un passo nella stanza: aveva i capelli mossi, castani come i miei, gli occhi scuri, la forma del viso un po' squadrata con una lieve barba e un fisico normale, asciutto, nulla di eccezionale. Le mie amiche avrebbero detto che era "un bel tipo", mentre a me era bastata la voce per renderlo attraente.

Mi spostai verso la toeletta e posai borsa e zaino accanto al mobile, poi sfilai il cappotto lasciandolo sulla panchetta e mi guardai nello specchio centrale. Non avevo un bell'aspetto: i capelli lunghi – un tempo lisci – con l'umidità si erano gonfiati, gli occhi azzurri rendevano il viso più smorto del solito e gli abiti che avevo indosso erano stretti, mostrando quei chili di troppo che non volevano schiodarmi dalla taglia "44".

A conti fatti, fra i due chi era messo peggio ero io.

Mi voltai sentendo un rumore di passi e vidi l'uomo avanzare verso lo scrittoio, aprire il piccolo baule e sbirciarne l'interno. «Pensi sia il caso di presentarci?» chiesi. Iniziavo ad avvertire la tensione per quella decisione e avevo bisogno di interromperla con qualche futile chiacchiera.

«Davide» rispose senza rivolgermi uno sguardo.

«Francesca» mormorai a disagio.

All'improvviso sentii la necessità di sapere qualcosa su di lui, tanto per non avere un rapporto con un completo sconosciuto, ma la sua voce non aveva alcun tipo d'inflessione e non riuscivo a capire se fosse del posto o un passante bloccato dalla pioggia.

Lo vidi richiudere il baule e voltare il capo verso di me. «Io sono un Dominatore e qui dentro c'è qualcosa d'interessante, ma possiamo anche non utilizzare nulla, purché tu ti attenga al tuo ruolo. Siamo intesi?» disse autoritario.

Mi lasciai sfuggire una risata isterica. «Tutte quelle belle parole per poi tirar fuori tanta arroganza» affermai avvicinandomi. «E se volessi essere io la Dominatrice?» aggiunsi, fermandomi a un passo da lui e fissando gli occhi nei suoi.

Con Elia avevamo provato alcuni giochi erotici, ma non mi era mai piaciuto comandare e lui era negato per farlo.

Davide restò in silenzio, poi sorrise. «Ho compreso subito il tuo bel caratterino, ma se vuoi davvero dimenticare dovrai lasciarti andare. Mettere da parte la volontà e farti trasportare dal piacere che saprò donarti. Puoi farlo?» Sentirlo parlare con tanta nonchalance di un discorso così imbarazzante mi scaldò il viso.

Tuttavia, aveva ragione lui. Ero lì per smettere di pensare ed era quello che avrei fatto.

«Spero che lì dentro ci sia un preservativo» dissi decisa, muovendo il capo verso il baule.

Davide sorrise ancora. «Ce ne sono quanti ne vuoi» rispose malizioso, riaprendolo. «C'è qualcosa che devo sapere?»

Mi spostai verso il divano, vicino al letto. «Sono sana come un pesce, se è questo che intendi. E tu?»

«Lo stesso. Cosa sei disposta a provare?» chiese alle spalle.

«Niente di estremo. Posso permetterti di legarmi, ma non voglio nulla di strano dentro e fuori di me» precisai, sfilando la maglia e restando in reggiseno.

«Ho capito, ma non mi sembra di averti detto di spogliarti» disse e mi voltai a guardarlo, osservandolo estrarre dal baule due paia di manette.

«Non hai specificato l'inizio del gioco» ridacchiai saccente, slacciando il bottone del jeans e tirando giù la zip.

Sbuffò divertito. «Il gioco è iniziato appena hai chiuso la porta. Perciò, levati le scarpe e spostati davanti al letto. Resta in piedi, non fare altro» comandò. Quel tono autoritario mi concesse un brivido, ma non per la pioggia presa.

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