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Gennaio. (Viola)

Del capodanno Viola ricordava solo: il freddo, la neve, il letto con l'enorme copripiumino bianco fatto all'uncinetto dalla nonna di Martina, e quella febbre che era arrivata improvvisa, l'aveva distrutta e costretta a dormire dopo solo due ore dal suo arrivo nel comense presso casa di Marti.

Il giorno seguente Marco il fratello di Martina l'aveva riaccompagnata a Milano e da lì Mattia era venuto a prenderla per condurla a casa dei genitori.
Era stata una raffeddatura di soli due giorni ma le aveva rovinato le feste di fine anno.

Al paesello vegetava in attesa di ritornare nel piccolo bilocale di via Padova; da troppo voleva anticipare il rientro e con la scusa di far trovare l'appartamento lustro, partì alla volta di Milano.

Fu un Riccardo imbronciato a presentarsi alla stazione ferroviaria di Lambrate; con le pinze Viola gli aveva estorto la confessione di quel malessere che gli imbruttiva i tratti. Aveva passato con Simone a Londra quattro giorni fantastici, non sarebbe voluto tornare e soprattutto gli spiaceva questi si fosse adattato perfettamente in terra straniera, mentre lui contava i giorni che li separavano, Simone rimpiangeva ne avesse ancora pochi da vivere sul suolo britannico.
E così Viola si ritrovò a fare i mestieri di casa sotto l'occhio attento e vigile di un Riccardo malmostoso, insofferente e petulante.
Sfinita e seccata perché questi mentre lei faceva brillare ogni superficie di casa, stava stravaccato sul suo letto a sproloquiare.
Per ben tre volte gli aveva tolto i suoi diari dalle mani; erano quaderni privati non certo scritti perché la curiosità altrui venisse soddisfatta.

Riccardo per sera si tolse il broncio e decise che avrebbero fatto l'alba perché era la giusta cura al suo tormento, nemmeno contemplò il rifiuto di Viola.

Viola aveva lasciato di proposito il cellulare a casa quella sera, Riccardo voleva che l'attenzione dell'uno fosse rivolta all'altra in maniera totale.
Per concedersi una serata di pura follia il ragazzo aveva lasciato l'auto per i mezzi, nonostante le insistenze di Viola sulla sua guida esperta: Riccardo da perfetto uomo/cavernicolo non era capace di affermare una donna al volante non fosse altro che un pericolo, nonostante questa fosse la sua cara amica Viola.
Avevano avuto un micro bisticcio; se Riccardo non voleva affidarsi alla sua guida non si sarebbero certi affidati a quella di uno sconosciuto tassista: mezzi pubblici quindi, così lui poteva bere e lei guardarlo distruggersi.

Avevano cenato in un sushi bar attardandosi volutamente, in zona corso Magenta.
Il proseguo serata invece in una discoteca particolare della vecchia Milano, ricavata in una chiesa sconsacrata piccola ma pregevole: il Gattopardo cafè disco. Essendo Riccardo fautore del culto del bello ve la trascinò.
Ballarono tutta la notte e alla chiusura, nonostante Riccardo fosse vagamente alticcio si icamminarono verso casa, a piedi, stretti nei cappotti sostenendosi a vicenda abbracciati.
Erano quasi nei pressi di casa di lei entrambi bisognosi di un letto, Viola aveva deciso Riccardo fruisse di quello di Martina, tanto la compagna sarebbe rientrata a Milano solo nel fine settimana.

La pioggia li colse a un centinaio di metri da casa e nonostante la bella nottata appena trascorsa Viola si lasciò accarezzare e aggredire dalle gocce, mentre Riccardo trovava riparo sotto la pensilina dell'autobus.

Non era più andata a correre per non far preoccupare le amiche, ma la pioggia le era mancata, nonostante fosse appena guarita sfilò la sciarpa serrata al collo, incurante cadesse a terra in una massa informe ai suoi piedi, e tese le braccia al cielo Viola, accarezzando l'acqua che le solleticava le dita, e baciava il volto.
Reclinò il capo e stette a occhi chiusi e labbra aperte, persa nei ricordi finché Riccardo non la recuperò fradicia e intontita per portarla via. Era chiusa nella sua bolla, sfinita, si era appoggiata a lui e lasciata condurre al quarto piano.

L'amore secondo Viola.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora