Narcissus

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Non  era nei suoi piani.
Non lo aveva programmato.
Lui aveva tanti progetti per il futuro, ne aveva talmente tanti che a volte temeva di affogare nell'immenso mare che erano le sue ambizioni; ma ogni volta, si rendeva conto di saper nuotare in quel mare. Quelle acque non lo spaventavano, lui le sapeva domare. Lui era il padrone di quelle acque, ne era il creatore. Era più potente di loro. Non gli sarebbe mai successo nulla, e lui ci credeva fermamente.
A destabilizzare tutto, fu quell'onda che incombette sul suo prima tranquillo mare. Quell'onda che lo travolse, lo stordì e, ben presto, lo fece annegare.

Lui si ritrovò a pensare al suo mare mentre camminava sulle sponde di un ruscello, in mezzo al nulla più assoluto.
Era venuto in quel luogo con i suoi amici, per girare il videoclip della loro prima vera canzone. Se lo sentiva, era l'inizio di qualcosa di grande, qualcosa che riusciva a malapena a sognare. Ma lui ce lo aveva nel sangue, era nato per fare questo. Il suo destino ormai era segnato, lui sarebbe diventato una leggenda, sarebbe diventato immortale. Ma in quel momento, mentre si aggirava nei pressi di quel piccolo corso d'acqua, si sentì per la prima volta dopo tanto tempo insignificante, proprio come quel piccolo fiume. Gli sembrò che lo guardasse, e che gli rivolgesse un invisibile sguardo di comprensione.
Lui si inginocchiò, per osservare meglio quel ruscello. Avvicinandosi, vide riflessa al suo interno l'immagine di un ragazzo. Era davvero bello, pensò. Aveva i lineamenti del viso davvero pronunciati, una mascella appuntita, degli zigomi imponenti e le guance scarne e scavate. Gli occhi color ambra, illuminati dal flebile chiarore del sole che ormai stava per tramontare, e i capelli mossi che gli cadevano morbidi sulle spalle, accarezzati debolmente dal tiepido vento di primavera.
La sua camicia leggermente aperta lasciava intravedere parte del suo petto perfettamente scolpito.
A detta sua, sembrava un Dio. Lui non resistette, sentì il bisogno di toccarlo, di sentire la sua pelle sotto le sue dita, così allungò la mano verso quel riflesso.
Quando i suoi polpastrelli toccarono la fredda acqua del fiumiciattolo, a lui parve di risvegliarsi da una specie di coma. Era come se quell'immagine perfetta lo avesse trasportato in un'altra dimensione, e la realtà fosse venuta prepotentemente a riprenderlo.
Fu in quel momento che realizzò: il ragazzo riflesso nel ruscello, era lui. Stava ammirando sé stesso. E ciò che vedeva gli piaceva più del dovuto.
Non si stava forse... innamorando?
No, impossibile. Innamorarsi di sé stessi? È ridicolo.
Eppure era così bello...
Damiano diede un'ultima occhiata al suo riflesso. Una lacrima amara gli rigò la guancia, e cadde dal suo viso fino al piccolo fiume. Smosse le acque, mescolandosi al loro interno e diventandone parte. Dopo, lui se ne andò.









Era tardi, molto tardi. Il flebile chiarore della luna attraversava debolmente la finestra di quel piccolo bagno, illuminando gli occhi d'ambra del ragazzo, e il tormento interiore che essi celavano.
Era lì da tanto, troppo. Ormai aveva perso la cognizione del tempo, e del mondo esterno.
C'erano solo lui e il suo amato, che contemplava da ore attraverso quella superficie vetrata e brutalmente sincera posta proprio sopra il lavandino.
Rimaneva lì, immobile, a fissare il suo riflesso, sperando che accadesse qualcosa. Sperando forse che l'immagine lì davanti facesse un movimento senza aspettare che lo facesse prima lui. Sperando in qualsiasi cosa che gli avrebbe fatto pensare che forse non era in quella stanza da solo, che forse la persona da lui amata era davvero una persona, che non stava davvero ammirando se stesso, che non era davvero innamorato di se stesso.
Ma alla fine non accadde, e non sarebbe accaduto mai.
Damiano allora decise di compiere il gesto al quale non sarebbe mai voluto arrivare, ma che in quel momento gli sembrava la sua unica salvezza dalla pazzia che stava per sopraffarlo e che non lo avrebbe mai più lasciato andare.

Dovette fare un piccolo sforzo per sollevare il martello che teneva in mano, portarlo davanti allo strumento che lo rendeva in grado di incontrare l'uomo che amava, e distruggerlo.
I frammenti di specchio caddero all'unisono, ma ogni rumore a lui giunse ovattato. I suoi demoni gli avevano invaso la testa, attenuando ogni forma di distrazione esterna.
Non ebbe nessun ripensamento, loro non glielo permettevano. Il loro obiettivo con lui era solo uno.
Damiano raccolse un pezzo di vetro dal pavimento. Lo strinse, fino a farsi sanguinare le dita ornate di anelli. Nel piccolo frammento di specchio erano visibili solo i suoi occhi, tanto belli quanto dannati.
Non perdette ulteriormente tempo, e compì il gesto che lo avrebbe sia salvato che rovinato.
Con lo sguardo fisso negli occhi del suo riflesso, si fece scorrere il tagliente vetro lungo la gola, stroncando la vita dell'uomo che amava.
Prima di esalare l'ultimo respiro, nel piccolo e angusto bagno risuonò la sua voce straziata:


"Se non posso averti io,
non ti avrà nessuno."

𝙨𝙞𝙡𝙚𝙣𝙘𝙚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora