3. Polynesia

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Alle cose che non diciamo

Mi rigiro in modo nervoso le chiavi di casa, quella che ora chiamo così, ma che è in realtà l'appartamento di Elena. Hanno un portachiavi a forma di cavalluccio marino, che lei mi ha comprato durante la nostra prima vacanza insieme, a Corfù.

Entro nella villetta a schiera gialla, superando le aiuole di fiori che la mia ragazza cura con molta dedizione, e raggiungendo la camera la trovo intenta ad impacchettare in una valigia rosa a pois tutto il suo armadio. La camera è totalmente a soqquadro, e lei non mi sente arrivare a causa del cd di Vasco Rossi a tutto volume, che quasi rischia di rompere lo stereo, oltre che i miei timpani.

Si accorge della mia presenza solo quando spengo quell'apparecchio infernale, e allora si gira di scatto saltandomi al collo e dandomi un bacio sul naso, come fa sempre quando torno a casa.

-Non mi va di andare al mare.- le dico, e quasi mi sento male. Mi appoggio al muro, sapendo di aver iniziato qualcosa che non poteva essere più evitato.

Lei mi sorride, tranquilla.

-Lo so che volevi fare qualcosa di alternativo Claudio, perciò sono andata in agenzia quando tu non c'eri ed ho cambiato la destinazione: andiamo in Polynesia! Non è fantastico?-

-E chi pagherà? Sai che non me lo posso permettere.-

- Pagherò io.- insiste lei, facendo spallucce.

-Quindi tuo padre...- rispondo. Elena non lavorava, ma non ne aveva comunque bisogno. I suoi genitori avevano una grande azienda di imballaggi e accontentavano tutto quello che chiedeva la loro unica bambina.
Io e suo padre però non ci avevamo troppo in simpatia l'un l'altro. Non guadagnavo abbastanza per mantenere intatto il tenore di vita di sua figlia, ed era vero. Per lei avrebbe sempre preferito Andrea, figlio di un importante avvocato amico di famiglia che era appena tornato da un dottorato a Boston.
Io invece l'università non l'avevo fatta, non ero portato per lo studio. Il mio sogno era fare il cantate, sapevo suonare la chitarra e facevo già delle serate in alcuni locali, ma era solo il mio secondo lavoro, o il mio divertente hobby, come amava chiamarlo il papà di Elena.
Per lui, e per tutti, io ero il postino.

-Non mi va- ripeto. -Ti rendi conto che stiamo insieme da un anno e già facciamo le cose tanto per fare? Fantastichi su una futura famiglia solo per non stare zitta e placare il silenzio che non sai gestire. Non mi chiedi mai niente, non sai quello che penso, e magari non te ne importa neanche. Beh io te lo dico lo stesso cosa penso. Di tutti i tuoi amici me ne importa una sega! Chissenefrega se il Franci e la Cami sono andati alla Bahamas per tre settimane, se il Riki mangia solo riso integrale e latte di soia! E della tua famiglia invece eh?? Non gli dici mai niente, ma sai quanto mi avviliscono, mi trattano come un pezzente! Sembra che sto con te solo perché sei ricca così posso andare in Polynesia senza sborsare un centesimo, ma io manco ci voglio andare a fa sto viaggio tanto per fare, per salvare le apparenze di una relazione arrivata a un punto di non ritorno, dove non ci amiamo e non ci odiamo neanche! Vaffanculo!-

-Che hai detto amore?-

Alba Chiara in sottofondo mi riporta alla realtà.

-No niente, canticchiavo sai.. vado a fare le valigie.-

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