Sospese siano le leggi
oggi, oggi, ancora oggi.
Sol per lei, sol per me,
finché rinasca speme...
Il giorno che si era svegliata nel mondo ghiacciato, aveva stabilito che stava ancora sognando.
Se i sogni sono segnali dell'inconscio, quello scomparire di ogni attività umana, quella solitudine assoluta, quel gelo che aveva trasformato la città in una località tipo del Canada, sprofondata in una neve che nessuno spalava...
Beh, forse l'inconscio voleva dirle qualcosa della desolazione interiore che l'affliggeva. Trasferitasi da poco, ancora estranea all'ambiente, certo viveva una crisi che si riverberava nell'incubo.
Un incubo molto vivido: provava freddo, sete, fame...
Prese a nutrirsi con cibi in scatola, per bere c'era la neve, per il freddo... coerentemente coll'assoluto cristallizzarsi di ogni cosa, anche i sistemi di riscaldamento, i timer, tutto risultava inattivo.
Charlotte si coprì con tutti gli indumenti più pesanti e attese di svegliarsi. Sognò di dormire, poi di tornare vigile. Di mangiare, di bere, di usare il bagno. Di riaddormentarsi e di risvegliarsi.
Continuò finché l'esasperazione si fece disperazione.
Decise di tentare qualcosa.
Se veramente era preda di una ossessione, originata dal malessere del trasferimento, poteva forse migliorare simulando di tornare a casa?
Sempre che potesse chiamarsi casa l'istituto. Cresciuta in un orfanotrofio, non aveva legami familiari; e poteva considerare amiche ben poche persone.
Evidentemente tutto quello aveva sconvolto il suo equilibrio mentale e le faceva immaginare di vivere come in un horror, in un catastrofico film di fantascienza.
Provò a lasciare la città.
Non disponendo d'alcun mezzo funzionante non andò lontano. Dieci chilometri fuori l'abitato il freddo era ancora più intenso, e non s'era portata dietro neppure cibo. Quando la notte prese a calare si rifugiò in una villetta.
Non che temesse alcun animale, ogni vivente sembrava bandito dal suo incubo. Ma il gelo notturno era insopportabile.
In quella casetta rustica trovò un camino e altre scatolette. Decise che sarebbe ripartita meglio equipaggiata.
Progettava questo la mattina successiva quando, da dietro i vetri, vide una sagoma arrancare.
Tra la neve alta, lento, chino come lei il giorno prima, qualcuno percorreva il viale che usciva dalla città.
Si precipitò fuori urlando con tutto il fiato, la sagoma s'immobilizzò e si voltò lentamente.
Negli ultimi passi di corsa la coscienza le sussurrò che quell'incontro poteva riservarle sgradevoli sorprese. Che in quella solitudine nessuno l'avrebbe soccorsa, se chi stava girandosi si fosse rivelato pericoloso.
La persona incappucciata finì di voltarsi. Si fissarono in silenzio.
"Charlotte! Temevo di non trovarti in tempo". Aveva voce morbida, quieta, un volto ovale un po' sfiorito. Charlotte valutò l'altezza e la corporatura media della donna, l'aspetto anonimo, esclusi gli occhi grandi d'un colore verde quasi trasparente.
"In tempo per cosa, come sai il mio nome?"
Quella rabbrividì sotto una raffica di vento.
"Possiamo spostarci al riparo?"
Chiusa la porta della villetta, la donna si sedette di schianto, come improvvisamente priva di forze. Charlotte si preoccupò.
"Hai bisogno di qualcosa, mangiare, bere?"
L'altra sorrise a stento.
"No, grazie, ora ho tutto ciò che mi è necessario"
"Come sai il mio nome?" tornò a chiedere Charlotte.
"Come ti sei spiegata questo mondo senza gente?", le chiese invece di rispondere.
"Penso di essere imprigionata in un incubo. Forse soffro di allucinazioni. Forse sono impazzita", elencò le possibilità che vedeva probabili.
"Perché dovresti essere pazza?"
Charlotte si sedette di fronte alla donna.
"Sono cresciuta in orfanotrofio. Mi è mancata una famiglia. Si sa che certi vuoti possono rendere la gente strana".
La donna chinò il viso.
"Se ti dicessi che la responsabile sono io?"
"In che senso?"
"Esistono esseri capaci di distorcere le leggi della natura, almeno per poco..."
Charlotte alzò gli occhi al cielo.
"Assurdo! Cioè cosa saresti, un angelo, una strega?"
La donna sospirò.
"Ho usato tutto il mio potere per portarti fuori del tempo. Per questo nessun altro vivente è qui. Dovevo parlarti, ma non eri all'istituto. Lì ho trovato il nuovo indirizzo ma, con tutte le forze spese per l'incantesimo, ad arrivare ho impiegato troppo, non c'eri più. Mi sono trascinata via, senza direzione, sperando nell'impossibile. E che sia successo, l'impossibile, è un segnale forte".
Intanto, in Charlotte si stava facendo strada una gran rabbia. Dicevano di lei che avesse una sola bellezza, due splendidi occhi verde acqua, proprio come quelli della donna che quel suo stupido inconscio le faceva incontrare.
Il desiderio di conoscere la madre che l'aveva abbandonata era sempre stato bruciante... così, eccola accontentata, nel sogno-incubo!
"Chi saresti", chiese improvvisamente giudicandolo prevedibile: "mia madre?"
L'altra esitò.
"Non... posso attardarmi in racconti. Tornerai nel tempo a momenti. C'era urgenza d'avvertirti perché ho scoperto che stanno maturando dei poteri, anche in te. Ho sperato che fossi sfuggita, spesso salta una generazione..."
Charlotte batté le palpebre. "Di cosa diamine stai parlando?"
"Come me hai poteri psichici. Presto ti accorgerai di essere telepate. Forse svilupperai anche poteri di premonizione. Un'arma perfetta, per ogni superpotenza. Ci cercano, alcuni di noi si sono fatti 'comprare' e cacciano i loro simili. Tu sei rimasta al sicuro finora ma..."
Charlotte avvampò.
"Stai confermando, seriamente, che saresti mia madre?"
Alla donna salirono le lacrime.
"Uccisero la mia, di madre, perché non voleva collaborare. Hanno dato la caccia a me, tutta la vita. Ho sperato di evitarti tutto questo; magari tu eri nata 'normale'. Ti ho lasciata perché non ti trovassero con me, perché non dovessi vivere perennemente in fuga... ma nell'ultima premonizione ho visto che anche tu sei dei nostri. Lo avresti scoperto tra poco, da sola. Dovevo avvisarti, perché non ti trovassero impreparata".
"Tutto questo è ancora più assurdo dell'incubo di..."
Charlotte si interruppe mentre tutto le ondeggiava intorno. Batté le palpebre, era a casa. A letto, in pigiama. Sentì i versi dei passeri sul balcone, avvertì il tepore dei riscaldamenti. Si alzò correndo, e tutto era esattamente come doveva. La strada, i passanti, la sua utilitaria con l'arbre magique.
Vedi? Un sogno, null'altro che un sogno...
Sotto la porta d'ingresso, nel richiuderla, notò infilata una busta. Senza destinatario né mittente.
Bruciala appena finito di leggere. Ora che sai, posso raccontarti...
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Il cappellaio racconta
Short StoryPiccoli racconti, ciascuno mille parole, sulle tracce della Libreria del Cappellaio Matto.