Shakespeare e la strega

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"Non parli seriamente!"

"Invece ho deciso".

"Ma per favore! Tu prendi una laurea e..."

Pa', fermiamoci qua. Non ho intenzione di intavolare un inutile litigio. Mi sono sentito in obbligo di informarti, ma non rinuncerò ai miei progetti solo perché non li condividi. Sono scelte pulite, se non le ritieni adeguate al tuo status sociale non so che farci.

Questo è quello che avrebbe voluto dire, calmo e sintetico.

Invece avevano discusso, alzato la voce e sbattuto pugni sul tavolo. Infine era uscito tirandosi dietro la porta, colla faccia rossa e gli occhi lucidi.

"Mi spiace", si doleva Daria.

"Tu non c'entri, sono stato io il debole, finora, a farmi manovrare", rispondeva Matteo.

In realtà c'entrava, eccome, quella ragazza dalle mani callose, colle unghie cortissime e addosso perennemente jeans. Vedendola lavorare aveva ritrovato in sé una passione che credeva dimenticata, svanita nel diventare adulto, dispersa dal vento dell'università e degli esami. S'era sempre interessato di piante, a scuola studiando biologia, chimica, fisica, ogni nozione attinente catturava la sua attenzione.

S'aggiungeva a questo un amore per i parchi, per i giardini, per l'eleganza di certe coltivazioni pensili che faceva inorgoglire sua madre. Un ragazzino col gusto del bello, diceva.

Ma naturalmente, sul concludersi degli studi liceali non s'era neppure considerata un attimo, quell'inclinazione. Figlio di un avvocato di grido, titolare d'uno studio affermato, non c'era stato da discutere.

Poi, s'era trovato a Monza. Strana combinazione, proprio nei giorni d'un concorso floreale tra i più famosi del mondo e del tutto sconosciuto alle persone della strada. Aveva curiosato con gli amici, il complesso della Villa Reale ospitava un roseto magnifico, con espositori da ogni nazione.

Daria era lì, giovanissima e intimidita, con la sua creatura. Matteo non sapeva nulla di rose, e si fece notare per una gaffe clamorosa. Commentò in modo poco lusinghiero su certe roselline dalla corolla povera di petali, dall'aria, egli disse, 'spampanata'.

Visibilmente risentita, Daria tenne al gruppetto, fermo davanti al suo stand, una breve lezione sulle varietà innumerevoli esistenti, moderne e antiche, invitandoli a notare come quei suoi fiori emanassero una fragranza che le rose moderne avevano perso, in favore di colori e dimensioni più appariscenti.

"Il profumo che Shakespeare associò a questo fiore, è quello che la mia varietà custodisce. Portate rispetto a una signora rosa, d'antica nobiltà", concluse l'arringa.

Matteo si sentì un ragazzetto incompetente. Scoperto che la fluoricultrice veniva dalla sua città, prese ad aggirarsi attorno al vivaio.

Più si mostrava interessato ai fiori, più Daria, scettica e prevenuta, lo teneva alla larga.

Finché era accaduta la disgrazia. I rosai s'erano coperte di afidi. Inutilmente tra i ceppi pullulavano cespugli di lavanda. L'infestazione era massiccia e Daria, con pazienza assurda, ripuliva le piante foglia per foglia.

"Perché non usare un prodotto specifico?" aveva chiesto sorpreso Matteo.

"Sai che cosa contengono quelle robacce? Non vi ricorrerò mai. Il mondo va a rotoli perché si usano senza criterio veleni di ogni tipo".

Matteo aveva taciuto, incerto se specificare che sembrava poco pratico epurare la serra schiacciando migliaia di afidi uno a uno.

"Comunque stasera andrò a raccogliere l'ortica", aveva aggiunto la ragazza.

"L'ortica?"

"L'ortica. La bollirò con un barattolo di zampe di ragno, occhi di topo e diversi altri ingredienti. Decanterà per tre notti, poi nebulizzerò e gli afidi si smaterializzeranno".

Matteo s'era chiesto che razza di umorismo possedesse, quella tipa.

"Vuoi aiutarmi? Devo raccoglierne molta".

Fu così che si trovò ai piedi d'una collina, con la luna piena, a raccogliere ortica.

Che Daria poi pesò per aggiungere acqua in proporzione.

"Tu... non la farai bollire veramente... giusto?"

Daria rise di cuore. Quel ragazzo dall'aria elegante, rigido e impettito come avesse ingoiato un bastone, che parlava come un libro stampato, l'aveva preso decisamente in antipatia, all'inizio.

Ma aveva continuato a farsi vivo, con le scuse più fasulle. Aveva pensato le facesse il filo, finché non s'era resa conto che in realtà s'era innamorato di altro; delle sue rose, per la precisione, affascinato dai loro colori e profumi. Così, Daria aveva smorzato la sua ostilità, e ora si divertiva a prenderlo bonariamente in giro.

"Prendimi quel barattolo, per favore, devo aggiungere le zampe di ragno".

Matteo aveva scosso la testa.

"Va bene, visto che l'idea ti ripugna finirò da sola più tardi".

"Daria, vuoi spiegarmi..?"

"E sia. Visto che sei venuto in campagna ad aiutarmi, ti invito nella mia spelonca. Attento a non pestare la coda al mio aiutante", aveva detto additando il gattone nero come la notte che li aveva accolti.

Poi aveva ordinato una pizza takeaway e avevano cenato.

"L'ortica macerando rilascia nell'acqua un sentore che disgusta i parassiti. Gli afidi abbandonano le piante ed è un trattamento naturale che non nuoce a nessuno, tranne agli sprovveduti che raccolgono l'ortica senza tutelarsi bene le mani", aveva commentato Daria a vederlo grattarsi i polsi irritati, dove i guanti non l'avevano protetto.

"Ma perché raccoglierla di notte?" le aveva chiesto.

"Perché di giorno lavoro, e oggi la luna lo consentiva. Credevi avesse un valore rituale?"

Matteo arrossì e Daria rise ancora, divertita. Aveva una bella risata, argentina.

Il giorno dopo, gli insegnò come innestare.

Fu così che un po' per volta Matteo tornò a sentire quella passione che l'attirava verso le piante, che lo faceva sentire sereno, che lo spingeva ad alzarsi presto al mattino e che l'incantava davanti al miracolo della fioritura.

"Potete tutti pensare che sono pazzo, ma chiudo la laurea nel cassetto e cambio strada. Ho appena accettato un lavoro diverso" aveva detto all'avvocato padre.

"Un lavoro... lo chiami lavoro... uno zappaterra, uno col fango sotto le unghie e la puzza di sterco addosso!"

"Pa'... vado a fare il giardiniere! E quando tornerò a casa farò la doccia e mi taglierò le unghie, prima di venire a pranzo la domenica. Sempre che mi invitiate ancora, tu e la mamma".

E la porta se l'era sbattuta alle spalle.

"Mi dispiace Matteo", mormorò Daria.

"Non è colpa tua", le rispose.

Non è colpa tua, pensò guardandola, se mi hai fatto innamorare, piccola strega delle rose.

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