2;Parole
Seduto su questa piccola altalena, rigorosamente troppo piccola per me, riporto alla mia mente il giorno in cui ti incontrai per la prima volta, in questo freddo parco poco lontano dal mio lurido paesino, in una sera di primavera, un po' fresca, ma nemmeno troppo.
Ricordo quel giorno come se mi fosse stato disegnato nella testa, ogni minimo dettaglio, brivido e sensazione.
Ricordo la rabbia che provavo, nei confronti di me stesso, dei miei genitori, di chiunque potesse avere un minimo potere sulla psiche della mia persona.
Ero così stanco, sveglio dalle quattro del mattino, con gli occhi contornati da occhiaie scure, che mai mi rappresentarono meglio, e immerso nei libri, affranto, sicuro di fallire in quello stupido test, tanto stupido da essere usufruito come mia carta d'identità, che mia madre avrebbe felicemente sfoggiato nel caso di un successo.
E se non accadesse? Mi chiedevo.
Se non riuscissi a passarlo? Continuavo invano a domandare a me stesso.
Sarebbe stata un'ennesima delusione per mia madre e per mio padre, per me stesso, per non averli resi fieri, e avrei perso credibilità agli occhi di tutti.
Se solo avessi saputo all'ora che di me alle persone poco importava, forse avrei vissuto un'adolescenza più serena, o forse no.
In ogni caso, l'importante è averlo capito, grazie al tuo aiuto.
Ricordo limpidamente le sensazioni cupe e malinconiche che mi aflissero, più del solito, quel pomeriggio, nel quale decisi, andando contro me stesso e la mia figura di ragazzo perfetto, di scappare di casa, anche solo per poche ore, che in quel momento avevano intenzione di essere giorni.
La tristezza di quando aprii il mio armadio bianco, nella mia stanza bianca, bianca come me, privo di significato.
La tristezza di quando mi accorsi che l'unico tipo di abbigliamento presente fosse quello scolastico, con il quale riempii il mio piccolo zainetto in pelle. Ah, se solo avessi potuto liberarmi della mia pochezza ai tempi.
Prima di saltare giù dall'ampia finestra della mia stanza al secondo piano, mi guardai cauto alle spalle, scrutando ogni dettaglio di quella stanza.
Il letto perfettamente rimboccato, senza pieghe, la scrivania ornata di libri impilati alla perfezione, e gli orsetti gommosi, offerti da mia madre, divisi in gruppo in base al loro colore, che non sarebbe mai variato, nemmeno al contatto con la mia ruvida lingua, per il semplice fatto che non li avrei mangiati, né ora e né mai, troppo spaventato dalla loro quantità di zucchero e dalla possibilità che avevano di rendere la circonferenza dei miei fianchi di settantacinque centimetri esatti più larga, di settantacinque centimetri virgola uno, magari.
Dopo inadeguati complimenti saltai giù, l'aria fresca mi pervase, così come la sensazione di libertà mai provata fino a quel giorno.
Corsi, corsi via velocemente, senza paura, senza timore di consumare le suole sporche delle mie vecchie converse nere, senza meta, senza pensieri, che, mi tempestavano la testa, anche se, ahimè, per quanto bella e ricercata fosse, quella deliziosa sensazione mi lasciò presto.
Appena poggiai il mio sedere sull'erba un po' umida di quel parchetto a me ancora sconosciuto, le emozioni negative mi investirono senza un pizzico di amara pietà, e le mie lacrime ne furono la schiacciante prova.
Qualche bambino che dondolava su e giù sull'altalena o che scivolava divertito sullo scivolo in metallo accanto all'albero di limoni, mi guardava con sguardo intristito, e io, per quanto fossi un bastardo egoista, non riuscivo a non porgergli un leggero sorriso, cercando di consolare il suo docile animo.
La notte non impiegò molto a farsi viva, e tanto meno la solitudine che prese le redini del parco, che sarebbe stato vuoto se non per me che come un matto giravo in tondo, pieno di rabbia e pressione infondata, o forse repressa, chi lo sa.
E sarebbe stato vuoto se non per te, che spavaldo e coraggioso, mentre camminavo, appunto, come un matto e piangevo in silenzio, mi poggiasti la mano calda e delicata, seppur ruvida, sulla spalla destra.
Sussultai, terrorizzato, e per poco, a causa della mia vista sfuocata, non inciampai in un rametto distante appena un paio di centimetri dalla punta dei miei piedi, quasi impossibile da intravedere nell'erba.
"Namjoon, non so cosa diavolo possa esserti accaduto quest'oggi, ma per l'amor del cielo, smettila di danneggiare le aiuole con i tuoi stupidi passi arrabbiati.
Siediti e parla, piuttosto." Mi dicesti.
Se solo avessi saputo chi eri, non mi sarei voltato con uno sguardo pieno di cattiveria, a me sconosciuta, e non mi sarei sottratto al tuo tocco.
Al contrario, mi sarei gettato nelle tue braccia, che sono state, e per sempre saranno, l'unico luogo in cui sto bene.
Ti chiesi cosa volessi da me, come fosse possibile sentire il mio nome uscire come poesia dalle sottili e morbide labbra tue, di cui mai dimenticherò il sapore zuccherino.
Con un sorriso beffardo "è scritto sulla targhetta in metallo del tuo zaino, idiota" mi rispondesti, e posso assicurarti che mai più, o quasi, mi sentii così stupido e disattento nella mia vita.
"ora, mio caro, se ti va di accomodarti e magari deliziarmi della conoscenza della storia che si trova dietro le tue lacrime, ne sarei estremamente grato, e forse, addirittura capace di aiutarti!"
Ah, Taehyung, Taehyung, Taehyung, amore mio più grande.
Non sai quanta voglia, dopo quel tono presuntuoso, mi venne di prenderti a botte, e di inginocchiarmi e di ringraziarti per il futile interesse.
Ma sappiamo tutti quanto estrema la mia debolezza sia, e quindi non feci altro che star zitto, le mie labbra carnose incollate, probabilmente dalle lacrime salate, e accomodarmi, come tu mi suggeristi, sul prato.
Che, ora che ci penso, si sarà rovinato comunque con il nostro peso corporeo.
"allora?" mi incitasti, "cos'è così importante da rubarti così tanta energia?"
"Sono stanco", confessai stufo.
"di?"
"tutto.
Gli esami mi stressano, la mia poca autostima mi pesa, ho paura di deludere i miei genitori e me stesso.
Credo di aver avuto un semplice crollo a causa della troppa pressione.
Non ne posso più." ti dissi, sentendomi un po' più leggero dopo essermi liberato con te.
"Namjoon, mi stai davvero dicendo che il tuo problema di oggi sono le parole che gli altri utilizzeranno per parlare di te? Sei patetico." Ti guardai scosso, senza parole, a tratti arrabbiato.
Perché mi stavi screditando? Lo capii solo dopo.
"senti, l'unica cosa che posso dirti è che l'esperienza ti insegnerà che è inutile stare male per gli altri.
L'unica persona a cui dovresti dar peso sei tu.
In ogni caso, devo andare" mi voltai verso di te, "tieni, se hai bisogno, chiamami" dicesti mentre mi tirasti la mano, per poi scrivere un numero cellulare su di essa.
Senza indugiare ti alzasti, mi guardasti e poi andasti via, con un sorrisetto stampato in volto.
Decisi di tornare a casa.
E, mentre a passi lenti mi allontanavo dal parchetto, mi resi conto che avevi ragione.
Le uniche parole importanti di quel giorno si sono rivelate essere le tue.Potete trovare la playlist ononima di insécurité su Spotify, sul profilo di Smokxab.
Le canzoni verranno aggiunte Man mano con i capitoli rispettivi.