Lettera n3

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Caro Anonimo,

stamattina mi sono svegliata e mi sono resa conto di non aver imbucato la scorsa lettera. Era sotto il mio letto, merda.
Domani sarà il mio compleanno, e sono felicissima. Adoro le feste, e voglio che questa sia speciale, visto che farò diciassette anni. Ho chiesto ai miei genitori se potessi usare il giardino questa sera, in modo tale da aspettare con i miei amici la mezzanotte, e per loro va bene. Oggi pomeriggio andrò a comprare qualche striscione o palloncino da Tiger, così risparmio.
<Mamma, Papà, esco> urlai.
<Mia cara> disse avvicinandosi mia madre <per stasera noi non ci saremo, così avrai tutto il tempo di stare da sola con i tuoi amici>.
<Va bene> risposi, anche se era una giustificazione strana detta da mia madre. Sarà.

Arrivata fuori dal viale di casa, mi resi conto di essermi dimenticata la borsa, e avendo avuto solo tre  euro e una gomma in tasca decisi di tornare indietro. Avrei tanto voluto non averlo mai fatto. Aprii la porta, e notai che mia madre era andata in bagno, così salii le scale, presi le mie cose e scesi di nuovo giù. Stavo per uscire quando notai che mia madre aveva lasciato il computer acceso nelle Email, e come non potevo darci un occhiata. Ecco, vedi Anonimo, mamma aveva prenotato una stanza doppia in un hotel per quella sera, e fin qui nulla di male, finché non mi ricordai che il mercoledì mio padre fa il turno notturno a lavoro.
È stato tutto così immediato, non ho potuto far nulla.
Mentre prendevo il telefono per scattare una foto mia madre uscii dal bagno, e sentii le scale cigolare.
Scattai la foto.
<Amore, sei lì?> domandò.
<Ehm, si, mi ero dimenticata la borsa, pensavo di averla lasciata... qui. In salotto. Eh già. Ora vado... ehm si ciao>.

Girato il viale mi sedetti per terra. Cosa avevo appena visto? Alzai gli occhi al cielo, e scusa se smetto di parlarti di come stavo, ma per riassumerlo in una parola era uno schifo.
Mi chiusi in un bar fino alle 19.30, senza aver fatto nulla per tre ore e mezza. Ero arrivata a metà libro di "The algebra of happiness", perlomeno. Mi ero decisa ad andare da Mattia, e parlarne con lui, nonostante abitasse a quarantacinque minuti da casa mia.
Pagai il mio milkshake e mi sedetti sul pullman.

Arrivata, bussai più volte, ma nessuno mi apriva. "Forse non è a casa" pensai. Ma dove sarebbe potuto stare Mattia alle otto e un quarto di sera? Mattia, uscire? No, impossibile. Presi la chiave che conserva sotto il tappeto e aprii la porta. Non potevo credere alle mie orecchie: Mattia non era solo, per niente, anzi, aveva una compagnia alquanto urlante. Nel suo letto. Scoppiai a ridere, pensavo fosse successo veramente qualcosa di tragico. Con la faccia paonazza per le risate bussai la porta di camera sua, ma sfortunatamente (o fortunatamente?) la mia attenzione cadde sulla borsa che era stata lanciata sul pavimento. Non trattenevo più le risate.
<Ok, vabene, ti aspetto giù> urlai a Mattia, che uscì dalla stanza in mutande con la faccia bianca.
<Chiamare? Mandare un Email?>
<E il divertimento dove stava?> mentii. <Alle 23 a casa mia, e porta anche quella tipa se ti va>.
<Lucrezia> disse a bassa voce, quasi vergognandosi.
<Come?> risi <Che nome carino>.
<Va via di qui> mi rispose ridendo.

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