Capitolo 4

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Circa tre anni prima...
Come ogni mattina, mi alzai per andare a prendere l'autobus diretto per la scuola. Mia madre mi svegliò per prepararmi in tempo. Nell'ultimo periodo c'erano parecchie discussioni tra noi due. Non riuscivamo a capirci su molte cose. Per esempio lei quando tornava dal lavoro era stanca e voleva solo riposarsi mentre io sentivo la mancanza della figura materna. Cercavo di farglielo capire, ma mia mamma era troppo cocciuta. Quella mattina ebbi l'ennesima discussione con lei...
<<Dave oggi farò tardi quindi cerca di arrangiarti per pranzo e cena.>>
<<Ormai tu fai sempre tardi. Ti rendi conto? Riusciamo a vederci solo mezz'ora la mattina.>>
<<Qualcuno dovrà pur lavorare per andare avanti e mantenerti negli studi. Vuoi vedermi più spesso? Lascia la scuola e vieni a lavorare così non dovrò spaccarmi la schiena.>>
<<Mamma sai che ho bisogno del diploma per trovare un buon lavoro...>>
<<ALLORA SMETTILA DI LAMENTARTI. NON SEI PIU' UN MOCCIOSO DI CINQUE ANNI. CRESCI UN PO' E PENSA ALLE COSE IMPORTANTI DELLA VITA.>>
<<Ti rendi conto di quello che dici? Passo più tempo a scuola con i professori che con te. Mi dici sempre di pensare alle cose importanti della vita: la famiglia è importante nella vita. Se papà fosse vivo ti direbbe la stessa cosa...>>
<<Papà è morto Dave, lo sai. Non tirare sempre fuori quest'argomento. Sai bene che faccio il possibile per rendere la tua vita abbastanza normale rispetto agli altri ragazzi, ma tu pretendi e pretendi sempre di più. Cerca di capire i sacrifici che faccio ogni giorno.>>
<<E tu mamma dovresti capire il mio stato d'animo. Se papà fosse qui sapreb...>>
Non riuscii a finire la frase che mi arrivò uno schiaffo da parte sua. Il silenzio cadde dopo quel gesto. Un attimo di attesa e poi prese fiato dicendomi: <<Scusami>>.
Cercò di accarezzarmi, ma mi opposi. Accecato dall'ira, uscii per andare a prendere l'autobus sbattendo la porta. L'intero giorno fui tormentato da quel gesto. Spesso cercavo delle risposte guardando il cielo e invocando l'aiuto di papà e dei nonni. Non riuscivo a capire il perché del suo cambiamento. Tutto è successo da quando i nonni morirono. Lei andò nel panico e cercò di darsi da fare per reagire alla situazione creatasi. D'altro canto io ero solo un bambino e avevo paura di esternare quello che sentivo a mia madre. Solo con il tempo riuscii a dire quello che pensavo veramente, ma purtroppo, i miei buoni propositi non erano apprezzati da lei. Cercavo sempre una soluzione per farla calmare e poter mettere una pietra sopra ai nostri litigi continui. Speravo che in un modo o nell'altro, sarei riuscito nel mio intento. Più ci provavo e più la situazione andava di male in peggio. Stavamo arrivando a un punto di non ritorno...
Quel giorno sarebbe stato uno di quelli che non avrei mai dimenticato. Il cielo era di un grigio tenebroso, un colore insolito per una giornata di fine aprile. Percepivo una strana sensazione, come se mi sentissi in colpa per le cose che avevo detto quella stessa mattina. Di solito non parlavo molto con i miei compagni o con i professori. La giornata stava passando nella solita monotonia. Nella terza ora di quell'infernale mercoledì, stavo seguendo la lezione del professor Vincenzo Pettinetti. La matematica non mi è mai dispiaciuta, ma non posso dire di averla amata alla follia. D'altro canto, il prof. Pettinetti era un tipo tosto e di quelli vecchio stampo. A volte sembrava che la sua sensibilità fosse pari a zero. Era severo e a volte anche un po' "scomodo" per i miei gusti. Quando prendeva di mira un ragazzo, non lo lasciava mai in pace. Purtroppo per mia sfortuna, quel professore aveva preso di mira proprio il sottoscritto.
In quell'ora seccante di matematica, la professoressa Torre stava facendo potenziamento d'italiano con qualche mio compagno di classe. Già all'epoca, si era dimostrata una professoressa molto disponibile con tutti noi. Non era assolutamente paragonabile ai livelli del prof. Pettinetti. Spesso, sapendo del mio passato travagliato, mi portava in una stanza per aiutarmi, anche solo tramite delle semplici conversazioni. Può sembrare strano, ma finalmente avevo trovato qualcuno con cui potermi confidare durante l'assenza di mia madre. Nonostante la sua grande disponibilità, quel giorno non era nella nostra classe. Eravamo soli a subirci la solita lezione noiosa, smorzata dalle grida acute di quel professore che dava l'idea di essere uno scienziato pazzo.
Mentre seguivo la lezione, mi arrivò una chiamata al mio cellulare da parte di mia madre. Sapeva benissimo che quando ero a scuola non potevo risponderle. Senza farmi vedere dal professore, le mandai un messaggio per dirle che non potevo parlare. Da lei non arrivò alcuna risponda. Non ci feci più caso e la questione finì lì. Dopo soli dieci minuti, arrivò un altro messaggio che mi lasciò senza fiato:
<<Signor Dave Spencer, sono un carabiniere. Appena vedrà questo messaggio mi contatti. Ho bisogno di parlare con lei urgentemente di sua madre.>>
Non riuscivo a capire come facesse un carabiniere ad avere il cellulare di mia madre. Preso dal timore, diedi la conferma con un altro sms. Speravo che mi rispondesse via messaggi. Non potevo usare il telefono durante la lezione. Non m'importava della nota in sé, ma di tutta la scenata che avrebbe fatto il prof. Pettinetti.
Un quarto d'ora dopo la mia conferma, arrivò una chiamata dallo stesso telefono. Stavolta senza indugiare oltre risposi, fregandomene di tutto il resto.
<<Pronto?>>
<<E' lei il signor Dave Spencer?>>
<<Sì, mi dica.>>
In quel momento, il professor Pettinetti si accorse che stavo usando il telefono. Iniziò a sbraitarmi contro:
<<SPENSER POSI SUBITO QUEL TELEFONO. LE RICORDO CHE E' IN UN ISTITUTO SCOLASTICO E DEVE RISPETTARE DELLE REGOLE...>>
In quel momento, le sue parole erano l'ultima delle mie preoccupazioni. Continuai ad ascoltare le parole dell'agente.
<<Devo parlarle di sua madre. So che si trova a scuola, ma una notizia del genere credo voglia saperla subito. Durante lo svolgimento del lavoro, è caduta sbattendo con la testa. Non c'è stato più nulla da fare. Mi spiace e condoglianze per la sua perdita...>>
Non riuscivo a crederci. Non potevo crederci. Rimasi in silenzio per un paio di secondi mentre il prof. Pettinetti continuava a gridare contro di me. In preda alla rabbia improvvisa e all'insistente domanda dell'agente: <<Signor Spencer è ancora lì?>>, presi a inveire contro quel professore insensibile:
<<NON SONO MICA SORDO! STO PARLENDO CON UN CARABINIERE. STIA ZITTO E SI FACCIA GLI AFFARI SUOI ALMENO PER UNA VOLTA. LEI E' UN UOMO SPREGIEVOLE E INSENSIBILE...>>
Una volta messo a tacere quell'uomo cocciuto, continuai la mia conversazione con il carabiniere uscendo dall'aula. La professoressa Torre sentendo le nostre grida accese, stava venendo in casse. Vedendomi uscire mi chiese delle spiegazioni, ma la ignorai. Non era mia intenzione farlo, ma al momento avevo altro di cui occuparmi. Una volta che finii di parlare al telefono, mi abbandonai alla solitudine andando in bagno. Dovevo pensare e mantenere la calma al momento. Avevo già avuto troppi colpi di testa per quella giornata. Bisognava mantenere i nervi saldi e affrontare un problema alla volta.
Mi sciacquai la faccia e mi diressi dal preside per avere un permesso di uscita anticipata. Avevo compiuto da poco diciotto anni, perciò potevo farlo da solo. In quel caso dovevo farlo da solo. Non avevo più nessuno che potesse venirmi a prendere. Una volta arrivato in presidenza trovai la prof. Torre che mi cercava disperatamente. Quando mi vide, volle a tutti i costi delle spiegazioni...
<<Dave che cos'è successo? Il professor Pettinetti è furibondo per le tue sfuriate. Sai che il telefono non si può usare durante la lezione.>>
<<Non stavo parlando con un mio amico. Era un carabiniere per avvisarmi della morte di mia madre. Secondo voi cosa dovevo fare? Stare zitto e far squillare il telefono? Ci sono cose più importanti di una semplice lezione di matematica.>>
Lei addolorata mi diede le condoglianze. Era una notizia del tutto inaspettata. Era una delle uniche persone che sapeva del mio passato. Sapere che l'ultimo pilastro della famiglia se n'era andato così, non era facile da accettare.
<<Ci dispiace per la tua perdita Dave. Non ti preoccupare per quello che è successo. Tutto si sistemerà.>>
<<Non m'importa se verrò punito per il mio comportamento. La morte di mia madre va ben oltre delle semplici regole esercitate per altro da un'idiota che non sa cosa significa il dolore e la sofferenza. Ora prenderò le mie cose e mi occuperò di quello che serve per il suo funerale. Uscirò da qui con o senza permesso. Sono arrivato ad un punto di non ritorno e ho rotto il mio blocco di timidezza che ho avuto sino a questo momento.>>
<<Vai Dave e non ti preoccupare. Qui ci penseremo noi.>>
Presi zaino e giacca e mi diressi all'uscita. Uscendo incontrai quel nanerottolo del professor Pettinetti. Per i pensieri che avevo neanche risposi alle sue provocazioni, ma le sue parole mi rimasero molto impresse:
<<Non pensare che sia finita qui moccioso. Prima o poi faremo i conti noi due. Ricordati che non è una minaccia, ma una promessa!>>
In fretta e furia, andai sul posto di lavoro, fregandomene delle sue parole. Volevo vederla e volevo sapere com'era successo quel tragico incidente. Non riuscivo ancora a credere che fossi rimasto senza una famiglia biologica. Arrivato lì, la trovai avvolta in un telo bianco per portarla in obitorio. Nella stessa stanza trovai l'agente con cui avevo parlato al telefono. Quando ero giunto in quella fabbrica di scarpe, il lavoro della polizia e dei medici era già terminato. "Si era trattato di un incidente, di una svista", mi dicevano. Non volevo crederci, ma non c'erano segni di lotta o di spinta. "E' stata sfortunata... Povera donna... Consoglianze...", non riuscivano a dirmi altro...
Mentre firmavo dei documenti e parlavano sul rapporto che avevo con lei, la portarono in obitorio per sistemarla. Solo allora l'agenzia funebre l'avrebbe portata a casa per un giorno in vista della veglia. Non avevo intenzione di lasciarla un solo minuto. Mi sentivo in colpa per le discussioni che avevamo. La rimproveravo sempre quando era proprio lei a provvedere per il mio futuro. Forse era colpa mia: magari era caduta per una distrazione dovuta alle mie parole. Magari era sovrappensiero a causa mia. Magari era triste perché l'avevo ferita. Avevo una confusione tale da non sapere cosa fare o cosa pensare. Riuscivo solo a piangermi addosso e ad affermare che la colpa di quel tragico incidente fosse solo mia...
Appena tornato a casa insieme alla salma e rimasto solo, chiamai l'unica persona che riusciva a capirmi bene, l'unica amica che mi era stata sempre vicino nel corso degli anni...
<<Pronto?>>
<<Alessia?>>
<<Dave come stai?>>
<<Insomma...>>
<<Che succede?>>
<<Potresti venire a casa mia per favore? Ho bisogno di un'amica in questo momento...>>
<<Mi sto preoccupando. Sto arrivando. Il tempo che mio fratello mi accompagni con la macchina.>>
Una volta avvisata, mi sedetti vicino a lei e non tolsi lo sguardo dal suo volto pallido e innocente. Tutto era mutato. Ero impulsivo invece del ragazzo timido di sempre. Ormai eravamo giunti in un punto dove ero rimasto solo e dovevo stringere i denti per far valere i miei diritti. Non temevo più la reazione di chi mi stava davanti. In quell'episodio sarei tramutato dal semplice ragazzo a un teppista spaventosamente freddo...
Nel giro di mezz'ora, Alessia e James arrivarono a casa mia. Trovando gente fuori e dentro casa, non sapevano minimamente cosa stesse accadendo. Entrarono dentro e trovarono me mentre fissavo la salma di mia madre. Appena realizzarono cosa stava accadendo, Alessia scoppiò a piangere mentre James la strinse forte. A quel punto entrambi si avvicinarono. Alessia ed io eravamo molto legati. James lo conoscevo poco e niente, ma sapevo che era una brava persona. Lei era l'unica amica su cui potessi contare senza esitazione. Ogni tanto l'avevo invitata a casa mia per cena e aveva avuto modo di conoscere mia madre. La trattavo come una sorellina, viziandola e rendendola speciale. Era una di casa e mia madre apprezzava molto la sua presenza. Adesso, vedendo mia madre in una bara, le si spezzò il cuore...
<<Non doveva finire così zia Barbara. Ti volevo bene come se fossi stata una seconda mamma...>>
Riuscii solo a dire: <<E' colpa mia Ale... E' solo colpa mia...>>
<<Dave che dici? La colpa non è tua. Devi stare solo tranquillo. Tu sei una roccia. Supererai anche questa come hai fatto sempre.>>
<<Ale stavolta è diverso. Non so se riuscirò ad andare avanti...>>
<<Ce la farai ed io ti aiuterò a farlo. Ricordati: un'amicizia è per sempre.>>
Nonostante la grande folla che venne a salutarla a casa per l'ultima volta, quella sera rimanemmo solo in due in quella casa desolata. Solo Alessia ed io eravamo affianco al corpo senza vita di mia madre. Eravamo gli unici legati a quella donna. Non potevamo lasciarla sola in quella circostanza. Cercai di mandarla a casa, ma lei non volle sentire ragioni. Voleva restare perché glielo doveva. Verso mezzanotte, James venne a casa nostra per portarci qualcosa da mangiare. Fu proprio in quella situazione che lo conobbi per la prima volta.
<<Grazie James per quello che fai.>>
<<Figurati! Al mio posto avresti fatto lo stesso. Mi spiace per la tua perdita, ma dico sempre che bisogna andare avanti soprattutto per loro. Solo così possiamo divenire più forti di prima.>>
<<Hai ragione, ma non è facile.>>
<<Se fosse tutto così semplice, non conosceremmo tante cose di questa vita. Abbi fede in quello che ti sto dicendo. Ne ho viste tante per poter affermare queste cose.>>
Non sapevo di cosa si occupasse il fratello di Alessia per parlare in questo modo. Non lo conoscevo bene e non ero il tipo che faceva troppe domande, soprattutto il quel momento. Il dolore mi tormentava. Mi sentivo responsabile per la sua morte e forse questa sensazione non se ne sarebbe mai andata. Mi chiedevo spesso: Come avrei fatto ad andare avanti? Con quali soldi avrei potuto fronteggiare le spese? Avrei dovuto lasciare la scuola per trovarmi un lavoro? Non riuscivo a immaginare la mia vita con un lavoretto sottopagato. Avevo ambizioni per il futuro e volevo raggiungere una condizione economica adagiata, quella che non ho potuto mai avere nella mia vita.
Il mattino seguente, ci ritrovammo in quella casa solo noi tre. Eravamo stremati dopo aver passato l'intera nottata a fare la veglia. Ci stavamo preparando per uno dei giorni più lunghi ed esasperanti che avevamo mai vissuto. Il funerale si sarebbe svolto verso le quattro del pomeriggio. Prima ci sarebbe stata la messa e dopo il corteo finale. Era presente molta gente per l'occasione. Molti di loro neanche li conoscevo o non li ricordavo. Ricordo solo che erano presenti tutti i miei professori tranne il professor Pettinetti e tutta la mia classe. Quel giorno sarebbe stato uno spartiacque. In quel giorno si sarebbe sprigionata la mia parte oscura, quella parte che mi portò dopo anni a essere quello che sono attualmente: un uomo pieno di crisi nervose...

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