Circa un anno fa...
I sei mesi dell'addestramento erano passati e non solo quelli. Un aereo ci portò sopra la zona prefissata. Non avevamo neanche il tempo per riposarci. Dovevamo raggiungere un punto d'incontro assai ambiguo a mio parere. Il mio plotone, formato da circa quarantacinque persone divise in quattro squadre, s'incamminava per arrivare alla destinazione prefissata. Il sergente Ardito era alla guida della nostra squadra e le due matricole con cui condivisi lo stesso tetto per sei mesi erano al mio fianco. Per arrivare alla nostra prima tappa c'erano due strade: una passava in mezzo a delle montagne e l'altra era un sentiero sterrato. I vertici avevano detto di andare lungo la foresta. Era un'idea folle, ma gli ordini erano ordini. Quel viaggio non era iniziato per niente bene. Avevo quel presentimento come se qualcosa dovesse accadere, come se qualcuno ci avesse mandati lì di proposito. Infatti non mi sbagliavo. Una volta entrati in quella foresta fitta, ci tesero un'imboscata. Tutte le nuove matricole non sapevano cosa fare. Erano in preda al panico. In un modo o nell'altro, li respingemmo, ma per quella scelta inusuale, perdemmo due squadre. Eravamo rimasti la metà e non era passato nemmeno un giorno dal nostro arrivo in quella terra.
Stanchi e sfiniti da quel primo scontro, arrivammo finalmente all'accampamento. Appena ci videro, rimasero sconvolti. Dovevamo essere in almeno quaranta, ma arrivammo solo in venti, tra cui un terzo di essi feriti. Quelle erano zone pericolose. In quel giorno avevo capito solo una cosa: dovevo starmene a marcire in prigione...
Passarono un paio di mesi e nonostante le difficili condizioni, mi stavo abituando a quella vita. Gli uomini che cadevano in battaglia venivano rimpiazzati o quelli che sopravvivevano erano affiancati ad altri che ormai stavano diventando veterani. Quelli che avevano la situazione migliore erano proprio i feriti. Chi perdeva una gamba o un braccio, veniva curato e rispedito a casa. Non eravamo nulla se non delle macchine da guerra siglate e numerate. L'individuo non contava nulla in quell'arida distesa desolata. Sapete, mi hanno sempre detto che ci si abitua a tutto, ma in realtà non è così. Quando un compagno cade, rimane un vuoto. Fino a quel momento non mi ero rattristato così tanto per un compagno. Forse perché non avevo avuto molta confidenza. Tutto questo cambiò con la morte di George. Mi si è distrutto il cuore quel giorno. Un uomo assai responsabile e sincero, morire per... per una mina. Un errore, una svista, un momento di sfortuna, ha portato via un padre di famiglia a una moglie che aspettava con ansia il suo ritorno e a un figlio che non potrà mai conoscere. Quello fu solo uno dei tanti episodi che mi avrebbe strappato le lacrime, ma un soldato non piange mai, soprattutto in guerra. Ripetevo sempre queste parole tra me e me. Cercavo di convincere le mie emozioni per andare avanti. Ogni volta però andava sempre peggio. Un bambino ucciso di soli sei anni per paura di farci uccidere tutti. Un bambino innocente e in cambio una medaglia. Dicono che la vita non ha prezzo. Perché allora la sua ce l'aveva? Tutte queste cose mi davano rabbia, ma era questo il mondo che la guerra portava. Caos e distruzione, tristezza e vuoto, tutto in un'unica parola. Bisognava andare avanti. L'unica cosa che mi faceva sopravvivere era la mia casa, i miei amici, la mia scuola. Quante volte ho pensato a loro. Quante volte i sensi di colpa mi hanno assalito. Quante volte avrei voluto agire in un modo, ma non l'ho fatto. Tanti rimorsi e nessun modo per rimediare ad almeno uno di essi. Tutti quegli eventi mi stavano scombussolando, ma non potevo fermarmi a riflettere. Non potevo pianificare quello che sarebbe accaduto dopo. Vivevo ogni attimo come se fosse l'ultimo della mia vita...
Il tempo scorreva lentamente. I giorni sembravano non passare mai. Non c'era un attimo di pace. Non potevo abbassare la guardia né di giorno, né di notte. Si dormiva con un occhio chiuso e uno aperto, pronti al minimo sospetto. Quella vita ci annientava psicologicamente, rendendoci instabili, pazzi e strani. Ogni giorno venivamo spinti verso mete sempre più ardue, ordini sempre più severi e condizioni di vita sempre più estreme. Alcune volte, sentivo alcuni di loro che piangevano a notte fonda. Alcuni provavano anche a togliersi la vita perché non riuscivano a resistere più in quelle condizioni. In molti tentennavano, ma non io. Ero determinato. Mancava circa un anno prima di tornare a casa. Si andava avanti, nonostante...
La disperazione era sul volto di tutti, ufficiali e matricole. Nonostante i duri colpi e le difficili condizioni, iniziavo a farmi valere, salvando spesso la vita dei miei compagni e comportandomi sempre in modo razionale. Alcuni come il sergente Ardito, apprezzavano il mio lavoro, ricredendosi sul mio conto. Altri invece come Sandro, erano invidiosi per non avere tanti elogi e tanta fiducia come quella riposta in me. Non ero il tipo che se la prendeva, ma notavo le battute o il sarcasmo da parte sua. Non m'importava più di tanto perché per me le distrazioni non erano ammesse. Volevo essere sempre vigile e fare il mio dovere al meglio. Non sempre ci riuscivo, ma almeno ci provavo. Sandro, d'altro canto, perdeva la testa e agiva in modo azzardato e impulsivo. Era spietato in alcune circostanze e spesso anche razzista. Fu proprio una di quelle volte che ha perso la testa a ferirmi e a scatenare per la prima volta quella rabbia tale da non avere più il controllo del mio corpo, della mia mente, delle mie emozioni, di me...
Eravamo in viaggio e stavamo percorrendo un sentiero che ci portava in una cittadina ridotta in macerie dal fuoco di supporto aereo. C'era giunta notizia che alcuni civili erano intrappolati in alcuni edifici e avevamo il compito di liberarli e prestare assistenza medica. Dovevamo arrivare su due fronti separati con due squadre per ogni fronte. Noi avevamo il compito di farci strada tra eventuali ribelli fino al punto d'incontro. Partimmo per andare verso nord. Dovevamo percorrere circa un paio di chilometri a piedi prima di raggiungere quella cittadina diroccata. Ovviamente, il nostro viaggio non fu tranquillo. Qualche blocco prolungò il nostro arrivò, ma niente di grave. Con calma e padronanza, respingemmo i ribelli e occupammo la cittadina. Una volta liberata la zona, ci addentrammo nelle case per vedere quanti civili ci fossero e offrire loro il nostro aiuto. Trovammo per lo più donne e bambini. Non potevamo lasciarli là. Nonostante non fossero della nostra nazionalità, restavano sempre delle persone indifese. Ci dividemmo in gruppi di quattro o cinque persone e ogni gruppo esplorò la propria casa designata. Sandro ormai era diventato il mio partner e anche in quell'occasione eravamo insieme. Entrando in quelle macerie, trovammo due donne e una bambina che avevano bisogno di aiuto. Con calma le accompagnammo fuori e prestammo loro soccorso. Mentre loro erano affidati a dei medici specializzati, sentimmo un boato improvviso proveniente da una casa vicina. Colti dal caos, ci armammo e con molta prudenza, entrammo per sapere cosa stava accadendo. Tutto era in fiamme. C'era stato solo un superstite che aveva le gambe mozzate dall'esplosione. Sandro ed io chiedemmo spiegazioni a quel compagno quasi in fin di vita.
<<Cos'è successo qui?>>, chiese Sandro sorpreso da quello che aveva appena visto. Il soldato faceva fatica a respirare, ma con calma, ci disse cos'era accaduto...
<<Una donna... noi quattro stavamo soccorrendo lei e le altre... a un tratto una di loro disse qualcosa di strano nella sua lingua e subito dopo ci fu un boato improvviso...>>
<<Va bene! Ora ti porteranno in salvo. Cerca di resistere.>>
<<Vi prego aiutatemi! Non voglio morire...>>
<<Tieni duro e tutto andrà bene.>>
Altri due soldati lo portarono subito in infermeria mentre io e Sandro rimanemmo per fare il punto della situazione.
<<Dio santo che casino...>>, commentò Sandro.
<<La guerra è anche questo. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia per nessun motivo. Dobbiamo rimanere sempre vigili...>>
Rimanemmo qualche altro minuto in quella casa per fare il punto della situazione. Trovammo i cadaveri delle donne o quel poco che era rimasto. Accertati che la zona era libera del tutto, tornammo dagli altri. Durante il ritorno, notavo che qualcosa non andava in Sandro. Sentivo che era diverso dal suo solito. Era strano, taciturno e non parlava come il solito. Pensai che si fosse impressionato da quello che aveva appena visto e non diedi peso più di tanto. Una volta tornati al punto di raduno, Sandro andò a stendere i nervi mentre io rimasi con i medici per aiutare quelle donne. Cercai di parlare con un paio di loro, ma nessuno sapeva la mia lingua. Alla fine, quando avevo perso quasi le speranze, una ragazza di circa vent'anni si avvicinò a me.
<<Grazie per averci aiutato...>>
<<Tu capisci la mia lingua?>>
<<In parte sì...>>
<<Allora ci potresti spiegare cosa sta accadendo?>>
<<Non qui. Non voglio che ci sentano...>>
Mi allontanai un po' dalla zona, rimanendo sempre abbastanza vicino all'accampamento. Era già pomeriggio e gli ufficiali avevano deciso di accamparci in quella cittadina per quella notte. Il punto era strategico e potevamo difenderci. Mentre portavo quella giovane lontana da quel clima assai negativo, il sergente Ardito notò la mia strana decisione e cercò di fermarmi.
<<Soldato Spencer, dove crede di andare? Vuole divertirsi in tempo di guerra?>>
<<Signore, questo civile potrebbe avere informazioni utili per la nostra missione. Mi lasci parlare con lei.>>
<<E va bene, ma tieni sempre alta la guardia.>>
Ci allontanammo un po', lo spazio sufficiente per poter parlare in tranquillità senza che nessuno potesse sentirci. Una volta sicuri di essere soli, quella giovane donna mi rivelò delle cose che mi fecero rabbrividire.
<<Sto parlando con una sconosciuta senza sapere se posso fidarmi o meno. Mi piacerebbe sapere il nome di chi ho davanti.>>
<<Zahraa... il mio nome è Zahraa...>>
<<Bene! Invece io mi chiamo Dave. Adesso mi potresti dire che cosa sta accadendo?>>
<<Il soldato sembra umile ma stupido.>>
<<Cosa vuoi dire?>>
<<La vostra missione è stata sabotata ancora prima di poter essere pianificata. Ci sono molte talpe nel vostro esercito. Tieni d'occhio chiunque. In guerra non ci sono amici o compagni...>>
<<Come posso fare per capirlo?>>
<<Guarda dentro di te e agisci sempre seguendo il tuo cuore. Non sei un uomo malvagio, ma molti tuoi amici lo sono e vorrebbero ucciderci subito.>>
<<Non permetterò che ti facciano del male Zahraa. Ti porterò in un posto sicuro, te lo prometto.>>
<<Non promettere mai nulla in guerra giovane uomo. Le promesse di rado vengono mantenute.>>
<<Questa sarà una di esse.>>
<<Speriamo sia vero quello che dici...>>
Accompagnata di nuovo insieme alle altre, me ne andai a dormire. Quella sera sarei stato di guardia per mezza nottata e dovevo riposare per tenere gli occhi aperti. Prima di andare a dormire però volli accertarmi su Sandro.
<<Ehi, tutto apposto?>>
<<Sì e tu? Ti sei divertito con quella ribelle?>>
<<Non mi sono divertito. Stavo facendo il mio lavoro e ottenendo informazioni.>>
<<E hai ottenuto quello che cercavi?>>
<<Forse si o forse no.>>
<<Cos'hai scoperto?>>
<<Un accampamento nascosto tra qualche miglia a ovest.>>
<<Ah bene! Domani dovrai riferirlo al sergente.>>
<<Domani lo farò. Ora vado a riposare perché mi tocca il turno di notte.>>
<<Va bene allora a domani mattina. Ah, quasi dimenticavo: quel soldato con le gambe tranciate è morto.>>
<<Cristo... che fine ignobile...>>
<<Già... non siamo tutti adatti per questo ruolo.>>
<<Hai ragione...>>
Me ne andai a dormire un po' amareggiato. Non lo conoscevo bene, ma il suo modo di porsi dopo quella bomba mi aveva colpito e mi ero promesso di portarlo in salvo. Non era colpa mia, ma sotto sotto mi sentivo in colpa. Spesso mi chiedevo quanto ancora dovevo sopportare prima di esaurire il mio limite, quanto dolore dovevo ancora vedere, quanta disperazione dovevo ancora percepire. Tutti punti interrogativi a cui non avevo un briciolo di certezza...
Un paio d'ore più tardi, verso le nove circa, mi alzai per iniziare il mio turno di pattuglia. Di solito usavo queste ore per riflettere su quello che avevo passato. Mentre camminavo guardavo le mie mani e pensavo a quanto erano macchiate dal sangue altrui. Anch'io come gli altri ero diventato un mostro. Non mi andava di essere così, ma non potevo fare altrimenti. Speravo che quell'anno passasse veloce per poter uscire da quest'inferno.
Le ore passavano e tutto sembrava tranquillo. Non restavo sempre in un unico punto, ma volevo avere una panoramica dell'intero accampamento. Giravo soprattutto intorno ai civili che avevamo salvato. Volevo portare quella donna al sicuro. Mi aveva rapito con quel suo sguardo innocente. Quella era una situazione difficile per tutti, soprattutto per loro.
Verso le tre di notte, quando stavo per concludere il mio giro di pattuglia per poi prendermi una tazza di caffè, notai che la tenda delle giovani aveva la luce accesa. Insospettito andai a controllare se la situazione fosse tranquilla, ma tutto era tranne che tranquillo. Ogni civile, donne e bambini, giacevano a terra senza vita con la gola tagliata. Subito diedi l'allarme e provai a salvare chi potevo, ma era già troppo tardi. Anche Zahraa era lì ed era ancora viva che si teneva la gola tranciata con la mano mentre faceva fatica a respirare. Subito mi precipitai da lei, cercando di fare il possibile...
<<Zahraa, tieni duro! Te la caverai...>>
<<Gio-Giovane uomo, non dovevi promettere...>>
<<Chi è stato a farti questo?>>
<<Tu-Tuo a-amico...>>
<<Chi Zahraa? CHI?>>
<<O-Occhi blu e c-capelli b-biondi...>>
Mentre volevo chiamare qualcuno per salvarla mi afferrò con la mano sporca di sangue...
<<D-Dave stai attento a quell'uomo. Lui è un tra-traditore...>>
A quel punto chiuse gli occhi e il suo capo cadde all'indietro, lasciando in me un profondo senso di colpa. Intanto arrivò gente, compreso il sergente Ardito. Una volta visto quello che era successo, tutti rimasero a bocca aperta. In me invece dimorava la disperazione e l'angoscia per essere mancato al mio dovere. "Dovevo salvarla e non l'ho fatto", ripetevo tra me e me. Preso dalla rabbia e dalla confusione, andai dritto a un albero a prenderlo a pugni. Dovevo sfogare in un modo o nell'altro quella rabbia. Avrei tanto voluto chiedere spiegazioni a Sandro, ma avevo i nervi per aria. L'avrei solo accusato senza avere delle prove certe, accrescendo la tensione all'interno dell'intero gruppo. Confuso per l'accaduto, mi mandarono a riposare e un altro prese il mio posto.
La mattina seguente mi svegliai frastornato. Sandro era già sveglio e sembrava preoccupato, ma da adesso in poi, dovevo iniziare a diffidare da quell'uomo. Si comportava come se non fosse successo nulla, come se fosse veramente innocente. D'altro canto io non dissi nulla e cercai di non destare sospetti. Mi serviva del tempo per capire se potevo ancora fidarmi o no. Nonostante i tanti pensieri che frullavano nella mia testa, mi comportai normalmente. Anche il sergente volle accertarsi sulle mie condizioni. Era chiaro che fossi troppo coinvolto dopo aver parlato con quella donna. Cercai di fingere che andasse tutto bene quando proprio da quel momento iniziò a complicarsi la situazione. Zahraa aveva ragione: in guerra non ci sono amici, né compagni...
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Mai più lo stesso...
AcciónDave, soldato di tutto rispetto, torna in patria dopo un grave infortunio. Tornato in patria riprende il percorso che non ha potuto mai completare: le scuole superiori. Una volta tornato non è più lo stesso. Distrutto per quello che ha visto, riusci...