Gli ultimi dieci secondi prima della fine dell'ultimo quarto di gioco sono sempre i più intensi. Molto spesso è un tempo troppo breve per la rimonta sulla squadra avversaria, ma tante volte in quei dieci secondi c'è in ballo tutta la partita. Soltanto dieci secondi. Pensi che la tua squadra abbia ormai perso ma poi tuo fratello fa touch - down in corsa. La folla esulta. Il tabellone segna la vittoria della Santa Monica High School. L'arbitro fischia.
Balzo in piedi tirando pugni al cielo commossa. Adele mi abbraccia, anche lei con gli occhi che luccicano, e mio fratello si sfila il casco facendoci un cenno di esultanza dal campo prima che i suoi compagni di squadra gli saltino addosso entusiasti.
Vedo la mia migliore amica diventare paonazza e cercare di nascondersi il viso tra i capelli scuri.
Ridacchio dandogli un pugno sul braccio e lei mi fa una smorfia. È sotto un treno per mio fratello da quando ci conosciamo. E ci conosciamo da dieci anni, quindi la sua cotta non è una novità né per me né per lui. Però mio fratello si è sempre dedicato al football e l'ha sempre messo prima di tutto, anche prima delle ragazze. Tanto che mio padre aveva iniziato a pensare che fosse gay. No, non lo è.
Ha semplicemente un sogno e non vuole lasciarsi distrarre da altro. A volte diventa veramente ossessivo, soprattutto il giorno prima delle partite, così a casa abbiamo imparato ad ignorarlo semplicemente. Gioca a football da quando ne ho memoria. Probabilmente ci è nato con quella palla tra le mani. È stato mio padre a trasmettergli la passione ed è stato suo coach fino ad un anno fa. Ora è felicemente in pensione o, come preferisce lui, in timeout, impegnato a convincere mio fratello minore che il football sia uno sport meraviglioso. Kevin non ne vuole proprio sapere, pensa che il caos dello stadio sia troppo lontano dall'ordine e dall'armonia del violoncello.
È un piccolo prodigio, ed era l'orgoglio della mamma che suonava il violoncello quando era incinta di lui. Ora la mamma non c'è più, ma è in ogni accordo di Kevin, è nei suoi occhi, nelle sue mani che si muovono sicure quando suona, nel movimento leggero della testa che segue il ritmo. È in tutto di lui, e non potrò mai sentirla lontana fino a quando mio fratello mi starà vicino.
Io invece sono sempre stata l'alieno di famiglia, negata in ogni attività che prevedesse muoversi e capace di tenere il ritmo allo stesso modo di una persona sorda (senza prendere in considerazione Beethoven). Insomma, con me i miei hanno gettato le speranze fin da subito lasciandomi spazio per l'unica cosa che mi faccia stare davvero bene: scrivere.
Ho sempre avuto una fervida immaginazione, da piccola era difficile tenermi a bada perché davo vita a qualsiasi cosa mi trovassi davanti inventandoci su storie di ogni genere. Poi, da quando ho imparato a scrivere, è diventato impossibile frenarmi. Ho scritto tanto di me, di quello che mi circondava, del modo in cui vedevo il mondo, ho scritto pagine su pagine senza mai riuscire a mettere un punto. Ho scritto con il cuore che batteva all'impazzata, con la mano che mi tremava, ho scritto con gli occhi offuscati dalle lacrime, ho scritto con il sorriso sulle labbra, con la rabbia che mi faceva premere la penna fino a strappare il foglio, con le idee confuse ma con la mano che sapeva esattamente come muoversi sul foglio. Ne ho strappati tanti di fogli, sempre insoddisfatta di quello che ne era venuto fuori, spesso col pensiero che fosse stupido e inutile, che fosse soltanto una perdita di tempo, ma non ho mai smesso. Era indispensabile, faceva parte di me. Il più delle volte mi faceva male, perché mi costringeva a mettermi a nudo e a fare i conti con i miei sentimenti e le mie debolezze. Ma più mi feriva e più stavo meglio. È una sensazione difficile da descrivere se non la si prova ma la scrittura è da sempre la mia ancora di salvezza.
Quando la mamma è morta mi sono chiusa nella stanza senza riuscire a mangiare o dormire, senza voler parlare con nessuno. Non riuscivo nemmeno a piangere. Era un senso di vuoto e silenzio che mi aveva spenta quasi completamente. Così ho preso il computer e ho iniziato a scrivere. Non ho mai più riletto ciò che scrissi allora. Non mi servirebbe più adesso. Ma quel giorno mi è servito tantissimo. Mi è servito a riaccendermi, a premere play, a riempire giorni di vuoto e silenzi. Improvvisamente tutti i miei pensieri hanno iniziato a fare rumore, a lottare prepotenti per trascriversi in parole, tutte le lacrime che non avevo versato si sono trasformate in versi di dolore e strazio. Era come se il foglio stesse urlando al posto mio. E quando ho chiuso quel documento mi sono sentita pronta a ricominciare.
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What if?
RomantikPer Greta sono poche le cose che contano davvero nella sua vita e crede di non aver bisogno di altro per essere felice. Estremamente razionale, non ha mai fatto una scelta senza averne analizzato attentamente ogni conseguenza, non si è mai buttata i...