(2). Orgoglio latente

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«Jorge...?», lo richiamò trepidante, dopo aver trascorso più di venti, buoni minuti sommersi nell'angustiante silenzio dentro il quale si erano rintanati: chi per terrore, chi per turpitudine. «Potresti parlarmi, perfavore?», lo sollecitò, supplicante, tormentandosi con acceso folgore le dita smilze ed ossute, ermeticamente intrecciate all'altezza del suo grembo.

Avanzò timidamente di un passo, scalpitante, per il solo terrore di essere in procinto di sganciare una bomba che, ancor prima di esplodere, avrebbe inevitabilmente causato tragiche conseguenze.

Jorge le aveva rivolto le ampie spalle nude, i muscoli accentuati della schiena robusta e delle braccia possenti incredibilmente contratti, così forte da vibrare sotto il peso della sua stessa rabbia. «Que quieres que te dica?», domandò, scorbutico come mai lo era stato nei suoi confronti, irritato ed apatico, passandosi nervosamente una mano tra i capelli sudati.

Era stato capace di rimanere più di venti minuti a fissare, immobile, la sottile parete dinnanzi a lui, invece che voltarsi e trovare il coraggio di parlare con qualcuno delle sue paure.

No, non era da Jorge Lorenzo.
Lui era troppo orgoglioso, per pensare anche solo per un secondo di tirar fuori le sue emozioni, menchemeno con una donna. La sua donna. Quella che desiderava nel suo futuro immaginato, la sola che voleva al suo fianco. Lui era un uomo, impavido, privo di emozioni... gli uomini non piangono, così gli era stata insegnato, e così doveva essere.

Ecco che ricominciava l'eterna lotta nella quale Jorge Lorenzo cercava tanto disperatamente di arrivare primo.

«Non so... qualunque cosa...» provò a convincerlo Giulia, tribolante, strofinando con veemenza le mani piccole, per non cedere al terrore di utilizzare le parole sbagliate. Ma comunque, con Jorge in quello stato, a poco serviva sforzarsi tanto per tentare di trovare le parole giuste.

Aveva ragione lui, sempre e comunque.

Il ragazzo si voltò di scatto, ruotando il corpo provato verso di lei: i suoi occhi cupi, distanti, improvvisamente rabbuiati e privi di luce, così freddi ed inerti da farle gelare letteralmente il sangue nelle vene; i denti digrinati, i pugni serrati fortissimo, tanto da sbiancare le nocche ... dove diavolo era andato, il suo Jorge? Quello dolce, tenero ed affettuoso? Era forse sparito, nel momento esatto in cui lo aveva lasciato andare alla sua competizione? Accidenti, chissà se poteva anche solo sentirla, quando era in quello stato.

«Y porqué?», le domandò, irresoluto e passivo, mentre si avvicinava a lei con un'inquietante lentezza. La giovane indietreggiò istintivamente di un passo, quasi senza pensarci; quel gesto ridicolo la spiazzò a tal punto da farle dimenticare a cosa mai stesse pensando. «Vuoi ridere di me anche tu?», l'accusò, acido, quasi sbuffando una mezza risata di puro disprezzo, scrutandola dall'alto, gelido, abulico, imperturbabile.

Un uomo ferito.
C'era un uomo ferito, dietro tutta quella rabbia.

Giulia sgranò gli occhi, colpita in pieno petto da quella freccia appuntita schioccata con troppa brutalità per portare il nome dell'uomo a cui aveva affidato il suo cuore. Il dolore le diede il coraggio necessario per sfidarlo e, questa volta, fu lei ad avanzare di un lungo passo, ed eliminare definitivamente la poca distanza che li separava. «Io non ho mai riso di te!», sbottò, quasi gridando, la voce incrinata dal grumo di lacrime che le stava infiammano le vie respiratorie, spingendolo con entrambe le piccole mani, fiaccamente al petto: il pilota non barcollò neanche, assorbendosi il flebile colpo come fosse stato un fioco soffio di vento; tuttavia corrucciò la fronte, colto di sorpresa da quel gesto improvviso. «Come puoi dirmi questo?», lo redaurguì, funerea, tristissima, mentre la sua voce colorata di delusione diveniva inspiegabilmente tremante.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 22, 2019 ⏰

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