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Amy's pov.

«Lei ha perso il bambino.»

Le parole del medico sono state queste. Ho perso il bambino, esattamente una settimana fa.
Cristo gli avrei voluto ridere in faccia in quel momento. Ho perso il bambino? No. Io ho perso ogni singola cosa. In questo fottuto periodo sto soltanto perdendo.
Le prime cose che ho perso sono state l'ottimismo e la fiducia perché tutto è iniziato da quella notte, la notte in cui mi sono sentita completamente violata.
Poi, poco dopo ho perso l'amore.
Quando ormai credevo che tutto stesse andando bene, ho perso mia madre ed ora... ora il bambino.
Che cazzo ho fatto per meritarmi tutto questo? Perché andiamo, devo davvero aver fatto imbestialire qualcuno altrimenti tutto ciò è inspiegabile.

«Simon?» faccio flebilmente, bussando alla porta della camera da letto dove da una settimana si è rinchiuso.
Non ricevendo alcuna risposta, apro la porta ed entro.
«Scusami, credo... credo di non averti sentito.» dice lui, sdraiato sul letto a pancia in su, guardando il soffitto senza alcuna espressione.
Mi siedo sul bordo del letto e cerco da qualche parte le parole giuste da dire ma forse al momento non esistono parole giuste o sbagliate, esiste solo quello che provo.
«Volevi parlarmi?» mi chiede, sedendosi accanto a me.
«Sì Simon... credo che noi... ecco, noi abbiamo entrambi bisogno di parlare.»
«So di che cosa vuoi parlarmi Amy e credimi quando ti dico che lo capisco.» mormora a voce spezzata.
«Di che stai parlando?»
Lui mi guarda negli occhi e nel suo sguardo noto... comprensione. Poi mi prende le mani e le stringe forte con le sue.
«Amy, ti ricordi come abbiamo iniziato a conoscerci?»
«Certo, in quel bar...» rispondo confusa, non capendo dove voglia andare a parare.
«Esatto. Ci siamo conosciuti in un momento orribile della vita di entrambi e parlandoci e cominciando ad uscire, io e te ci siamo fatti forza a vicenda. Poi è successo che io mi sono innamorato di te, perché insomma, è successo e basta e tu... tu probabilmente ti eri già resa conto che io provassi qualcosa per te... dannazione devo esserti sembrato un'idiota!» si interrompe, cominciando a ridere e rubando un sorriso anche a me, poi ricomincia: «Non fraintendermi, io so che anche tu provassi qualcosa per me e che lo provi tutt'ora ma Amy... non è amore.»
Le parole di Simon mi spiazzano e d'un tratto mi accorgo che buona parte del grosso peso sulle mie spalle sia sparito.
«Io... a me piaci Simon, a me piaci sul serio. Sei un ragazzo d'oro e tu... non sai quanto io mi odi per non essermi innamorata di te.»
Lo vedo sorridere amaramente alle mie parole ed una lacrima comincia a rigargli il viso, così prontamente la asciugo con il pollice.
«Devi sapere che io non ti faccio alcuna colpa. Io lo sapevo, Amy... insomma, anche quando eri con me, te lo leggevo negli occhi che con la mente fossi da tutt'altra parte e nonostante questo ho insistito e ti ho chiesto di sposarmi e tu... tu eri ancora dannatamente ferita ed io sono stato un grandissimo egoista a farti una proposta del genere. Sappi che mi dispiace, mi dispiace davvero tanto
Non gli lascio modo di dire altro che lo abbraccio, lo stringo forte a me ed inspiro il suo profumo.
Il problema è che cerchiamo tutti inutilmente di programmare tutto, le emozioni che dobbiamo provare e quelle che non vorremmo gli altri vedessero. Tutto questo perché ci hanno insegnato a fare le cose giuste al momento giusto perché seguire le regole è e sarà sempre la cosa migliore da fare. Anche se poi d'improvviso tutte le nostre certezze si sgretolano perché non sempre tutto va programmato.
«Amy tu...» comincia Simon, staccandosi dall'abbraccio e guardandomi negli occhi «Tu devi vivere. Non sopravvivere, vivere.»
Tremo a queste parole e facendomi coraggio, gli dico quello che volevo dire: «Devi sapere che... che voglio partire. Voglio andare in Francia. Il lavoro che mi hanno offerto potrebbe essere un'occasione per ricominciare da capo.» faccio tutto d'un fiato.
«Devi andare, Amy.» fa lui con un sorriso dolce.
Non mi aspettavo tutta questa comprensione da parte sua e la cosa mi sta distruggendo perché non ho mai meritato il suo amore e l'ho sempre saputo.
«Ascoltami.» sussurra, prendendomi il viso tra le sue grandi mani e accarezzandomi le guance «Ti meriti di ridere tanto quanto hai pianto. Meriti qualcuno in grado di prendersi cura di te e che non ti abbandoni. Meriti un fottuto combattente, proprio come lo sei tu. Promettimi che non ti accontenterai mai, Amy, promettimi che ti prenderai tutto ciò che vorrai perché tu te lo meriti.»
Appoggia la sua fronte contro la mia e chiude gli occhi.
«Mi dispiace tanto, Simon...»
«Promettimelo.» insiste lui.
«Te lo prometto.»
Annuisce alle mie parole e mi sorride.
«Adesso vai.»

Con un taxi sono arrivata a casa dei miei... di mio padre.
Il cuore mi batte all'impazzata. Non lo vedo dal funerale e non mi sono comportata molto bene nei suoi confronti. Stanno accadendo così tante cose che se lui mi dovesse chiudere la porta in faccia, mi esploderebbe il cuore ma forse... forse lo capirei.
Indecisa sul bussare o meno, rimango davanti alla porta di casa con la mia valigia a chiedermi se tutto questo sia giusto.
Poi però, mi decido e busso.
Aspetto qualche secondo e la porta non si apre così faccio per tornare sui miei passi quando sento una voce chiamarmi: «Amanda?»
Mi giro lentamente con gli occhi ormai lucidi e le unghie infilzate nei palmi delle mani.
«Papà?» mormoro con voce rauca.
«Che ci fai qui?» mi sussurra spaesato e con gli occhi sgranati.
«Io... ecco, mi chiedevo se potessi rimanere qui con te, sai... per un po'.» faccio guardandomi le scarpe, non riuscendo a sostenere il suo sguardo.
Quando sento due braccia forti circondarmi le spalle, alzo la testa e stringo forte mio padre, iniziando a piangere nell'incavo del suo collo.
Mi era mancato così tanto e me ne accorgo soltanto ora.
«Ti voglio bene, te ne voglio anche quando mi fai arrabbiare perché poi non riesco a non perdonarti. Puoi rimanere tutto il tempo che vuoi, bambina mia.»

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