Berlino è un cesso di città. L'hadetto Sgarbi e, adesso, Claudio si è convinto. Succhia un po' diClub Mate tiepido. Fissa il vuoto cosmico che si espande dalle partidello Zeiss-Großplanetarium in un martedì pomeriggio di ottobre. Cerca di ricordare come sia finito lì: in quel parco inutile, suquella panchetta gelida, con un drink raccapricciante e il naso che inizia a gocciolare. Dovrebbe pensare come tornare indietro: glidirebbe uno più furbo. Ma indietro dove? Si chiede lui. Indietro di due ore.
Lise ha la frangetta nera e gli occhiazzurri della Sassonia. Una troia: gli direbbe il Pappone. È stata lei a farsi avanti. "Oggi pomeriggio", gli fa. "Oggipomeriggio", continua. "Oggi pomeriggio, mi piacerebbe sperimentare con te. Vorrei conoscere la tua fotografia. Facciamo un giro. Scopriamo, filmiamo, ricerchiamo, creiamo. Ci contaminiamo". "Contaminarsi" dev'essere suonato un po' come il preludio a unapassione ardente almeno quanto bilaterale. Fatto sta che Claudio ci è andato dentro con tutti e due i piedi. Fatto sta che le suggerisce di incontrarsi dalle parti di Prenzlauer Alle per le 14:00. Fatto sta che le accenna pure di un plausibile ritardo artistico con l'ambizionedi vestirsi di fascino.
Come vuole Max Pezzali, il ragazzo esce dal suo monolocale in cartongesso tre quarti d'ora prima dell'appuntamento. La reflex appesa al collo gli sbatte sull'immensa giacca a vento mentre corre per la tromba delle scale, mentre si fa inghiottire dal buco della U-Bahn, mentre infila una dopo l'altra le stazioni della linea due. È tutto preso da un fermento che fa ruttare aria malsana. Pensa alla probabile notte alcolica che lo attende. Immagina le lampadine a intermittenza della stanza di Lise. Si lascia andare a un quadretto rosa che non potrebbe essere più utopico. Si risveglia dalla catarsi solo quando le porte si chiudono sulla sua fermata. Poco male: pensa. C'è tempo per fare un pezzo a piedi: si convince. Col cazzo: lo ammonirebbe il suo mentore.
La stazione di Pankow è una struttura che aveva del grottesco già ai primi del Novecento. Niente paragoni con la strada infinita che riporta verso l'anello – un esempio di spietatezza urbanistica che dovrebbe accendere almeno un campanello d'allarme ai più inesperti avventurieri. Claudio infila un passo dietro l'altro lasciandosi guidare dallo smartphone. Ha rinunciato a chiedere informazioni fin dal terzo giorno d'esilio. Troppo premurosi i berlinesi per non avere sensi di colpa. Si lancia con tutta la buona volontà verso la meta che lampeggia in fondo allo schermo. Quaranta minuti di passeggiata: gli racconta il navigatore. La tecnologia è sempre pessimista.
Dopo trecento metri ha giù rubato ventisette secondi alla tabella di marcia. Si sente potente come un'esploratore artico e ancora abbastanza fresco sotto le ascelle. Passa il primo cafè, un fiorista, diversi esempi di bauhaus basso-proletarie, altri due cafè. Gli suonano dalla pista ciclabile. Sfiora la collisione con un bimbo diligentemente munito di caschetto. Salta sul marciapiedi a testa bassa. Urta un'anziana con le borse della spesa. Si rimette in equilibrio e fila ancora dritto per la sua strada. Trentanove minuti: si raccomanda il secondo pilota.
Claudio butta il cuore oltre l'ostacolo e inizia una leggera ma costante corsetta in direzione sudest. Infila un paio di vie interne sicuro di sé mentre Google Maps cerca di stare dietro alla sua esuberanza. Il cellulare rielabora e ricalcola, si impegna, si sforza, dà fondo a tutte le risorse. Venticique minuti: gli annuncia al primo squillo di batteria. Il ragazzo si compiace delle sue intuizioni. Cambia di nuovo percorso e accelera pieno di stima verso sé stesso. Stretto nel pugno, il computer di bordo inizia a impazzire. Suona, parla, implora, squilla, farfuglia, si deprime, incespica, muore. Alla fine, muore. Fanculo: pensa Carlo. Fanculo a te: lo sgriderebbe il Pappone. Fermo al rosso di un semaforo, il ragazzo prende fiato. Ce l'ha fatta: pensa solenne con le mani sulle ginocchia. Ci siamo: esclama mentre rialza lo sguardoverso l'incrocio.
Davanti a lui, ottantacinque strade fra le più vaste d'Europa vanno a diramarsi in tutte le dimensioni. Un numero infinito di tragitti lo scaraventa dentro un vortice di opzioni equamente credibili. La confusione si fa largo, mischia le carte, disorienta, abbatte gli stimoli. Claudio resta rigido sul marciapiedi. Scorre con lo sguardo fra i neon. S'impalla sull'insegna di un 'Kiosk' fino a che le gambe non decidono di fare per conto loro, lentamente e inesorabili.
Il ragazzo ha strisciato i piedi per unpaio d'ore. Non sapeva bene dove stesse andando. Se l'è scordato. Si è speso per un Club Mate e ora siede su una panchetta nel culo verde di Prenzlauer Berg. Il cielo è una lastra di alluminio, il vento gli punge gli occhi, è solo. Si rivede nell'idiozia tonda del planetario. Berlino è un cesso di città.
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Berlino è un cesso di città
HumorBerlino è un cesso di città. L'ha detto Sgarbi e, adesso, Claudio si è convinto. Succhia un po' di Club Mate tiepido. Fissa il vuoto cosmico che si espande dalle parti dello Zeiss-Großplanetarium in un martedì pomeriggio di ottobre. Cerca di ricorda...