Cap. 5 - Regola numero uno

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Mi trascinarono fuori nel vero senso della parola. Ero completamente in stato confusionale, come un sacco d'immondizia che striscia sull'asfalto. Avevo gli occhi lucidi e persi, come un capretto alla vista della mannaia.

- Le signorine in carcere durano poco - disse il poliziotto alla guida dell'auto, incrociando i miei occhi umidi dallo specchietto.

Non avevo la giusta lucidità per rispondere, ma le sue parole di scherno mi permisero di tornare in me. Arrivammo in caserma, scortati come i peggiori criminali, anche se io non avevo ancora capito cosa stesse succedendo. Mi portarono in una piccola stanza, dove diedi le generalità e presero le impronte. Cercai di fare domande, ma venni zittito più di una volta. Passai l'ora seguente da solo, cercando di pensare all'intera situazione.

Quando ormai ero pronto a gridare come un pazzo, aprì la porta della stanza il capitano della stazione. Venne fermato sull'uscio da un uomo sulla sessantina, pochi capelli, dall'eleganza dozzinale e una colonia nauseante.

- Devo conferire col mio cliente - s'inserì quest'ultimo.

- Chi è lei? Che modi sono questi? - urlò il capitano.

La veemenza del capitano mi fece desistere dall'intervenire per dire finalmente la mia.

- Ruggero Liberati. Rappresento il ragazzo e devo immediatamente conferire con lui - l'avvocato ribatté con determinazione.

Il capitano mi guardò dritto negli occhi con sguardo sorpreso, poi uscì dalla stanza borbottando.

- Avvocato Liberati, molto piacere.

- Un nome, una garanzia - dissi io, stringendo la sua mano gelida, grinzosa e sottile.

- Conosco la sua situazione, e le propongo la via più semplice. Non complichiamo le cose.

- Sarebbe a dire? - domandai confuso.

- Ammetta di conoscere i signori e che era li consapevolmente. Dovrebbe tornare a casa subito, o al massimo entro domani.

- Sta scherzando?

- Si fidi. Firmi questa dichiarazione standard. Domani ci rideremo su, è tutto un malinteso - promise sarcastico.

- Avvocato, io non so neanche perché sono qui. NON HO FATTO NULLA! - sbraitai, dando un pugno sul tavolo. Alternavo momenti di rabbia alla sensazione di impotenza più totale.

L'avvocato sobbalzò per lo spavento, poi tornò a leggere le carte della denuncia, prendendo tempo. Paura e incertezza mi avevano dato nuovo vigore.

- Senta, parlandoci in tutta franchezza ...

- Sarebbe ora - sottolineai rabbioso.

- L'accusa di truffa non è grave, e dimostrare la sua presunta - alzò il sopracciglio - innocenza ... Richiederà settimane, nelle quali verrà recluso presso una struttura per detenzione cautelativa. Se invece mi firma questo foglio sarà tutto più semplice.

- Avvocato- presi un bel respiro - V.A.F.F.A.N.C.U.L.O. - Mi premurai di scandire.

Scattai in piedi e mi diressi alla porta.

- C'è nessuno qua, aprite!

Appena la porta si aprì, quel serpente di Liberati sgusciò via imbarazzato. Attesi un'altra mezz'ora abbondante, prima che mi permettessero di chiamare un vero avvocato, quello che aiutò me e mia madre in alcune questioni qualche mese prima. Il capitano tentò un approccio amichevole, mi sorrise. Questa volta però ero io a non voler parlare con nessuno prima dell'arrivo del mio legale. Il capitano sorrise ancora e lasciò la stanza annuendo. Erano le due del mattino quando l'avvocato entrò nella stanza, della quale avevo ormai esaminato ogni centimetro.

- Scusi l'ora - dissi subito.

- Figurati.

Lo vidi poggiare la borsa di pelle sul tavolo, quindi tirò fuori un foglio da una cartellina.

- Firma qui, così ti lasciano andare.

Lo guardai sospettoso, mi aspettavo la stessa cantilena dell'altro avvocato.

- Io non centro niente con gli altri due - precisai.

- Lo so, ma hai capito che ti stavano truffando?

- Si ... - risposi con un filo di voce. A quel punto realizzai la situazione - me ne sono reso conto quando ero li - aggiunsi per non fare la figura del pollo.

- I miei soldi? L'assegno? - chiesi preoccupato.

- Tranquillo, adesso sistemiamo tutto insieme al capitano.

Capii più tardi che l'avvocato Liberati voleva tirarmi in mezzo, cercando di addossarmi parte della colpa per alleggerire le accuse dei suoi clienti, o chissà cosa. Quei due erano seguiti da tempo dalle autorità, per varie truffe, ed aspettavano l'ennesimo colpo per beccarli sul fatto dopo mesi di ricerche in cui sembravano spariti nel nulla. Parlai finalmente con il capitano, che mi diede un buffetto per rincuorarmi.

- Lo avevo capito subito che non centravi niente con questa storia. Hai proprio la faccia del bravo ragazzo - strizzò l'occhio - vai a casa adesso, riposati.

Non potevano scegliere un altro? Proprio a me doveva capitare questa situazione? Pazzesco!

Quel giorno imparai la prima regola del business. Non fidarti di nessuno.

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