Il sole filtrava dalla finestra e cominciava a riscaldare le facciate dei palazzi, facilitandomi il compito di ricordare chi, e dove fossi. Due dettagli che avrei francamente scambiato con chiunque, eccetto moribondi e carcerati.
Mi trovavo in quel letto dalle lenzuola rosse a scacchi, ormai rosa. Quasi sempre le stesse da 20 anni a questa parte, profumavano di fresco, un odore che strideva con le pareti mangiate dall'umidità, me compreso. Buttai un braccio verso il comodino alla ricerca di una mezza cima, lasciata li dalla sera prima. Il caldo era già insopportabile. Maledetto Agosto. Ciò nonostante, un brivido di freddo mi pervase nel poggiare il posacenere sul petto. Rimasi sdraiato avvolto dalla fragranza e guadagnai altri cinque minuti per ricomporre le idee. Passai in cucina per un caffè talmente freddo da sembrare annacquato, quindi buttati la faccia sotto l'acqua gelata.
Scesi in strada che erano appena le otto, quel giorno lavoravo presso un negozio sotto casa che realizzava mobili e accessori, anche se la produzione era in una falegnameria appena fuori città. Per lo più consegnare tavolini da salotto, a quanto mi fecero capire per giustificare la paga da terzo mondo.
"Buongiorno" esordì timidamente entrando nell'ampio magazzino sul retro del negozio, ravvivato dalla luce che entrava dalla porta principale, più che dalle finestre alte e strette poste sul fondo.
"Sei il ragazzo nuovo?" chiese il proprietario alzando un importante e ribelle sopracciglio, dopo avermi squadrato.
"Si, Tommaso"
"Buongiorno. Oggi è una bella giornata, preparati!" mi rispose con una smorfia che mi parve un ghigno nascosto dai baffi ingialliti e la barba bianca e folta.
Imparai qualche ora più tardi che la sua giornata buona, significava un mazzo tanto per me e gli altri tre operai tracagnotti, intenti a controllare la lista dei vari componenti da caricare sul camion. Altro che tavolini, qui si parlava di arredare una casa intera. Iniziamo bene - pensai sconsolato, mentre seguivo il caposquadra dal pantalone blu da officina e una maglietta grigia dalle maniche tirate su, tanto da lasciar intravedere un leone disegnato veramente male, sicuramente non aiutato dal braccio grasso e flaccido su cui era stata tatuato, almeno vent'anni fa. Lo seguì verso il fondo del magazzino dove ci aspettavano un centinaio di scatole, di ogni taglia e peso, da caricare sul camion prima di partire per la consegna.
Ero già stanco, il caldo rendeva tutto difficile, anche fare quei venti minuti tra semafori rossi e auto con mamme alla guida, bambini con occhiali da sole e sedili pieni di borse e canotti. Arrivati sul posto, a coppie, iniziammo a scaricare scatoloni, componenti ed elettrodomestici caricati poco prima. Fortunatamente l'appartamento della consegna era un primo piano con una rampa di scale. Nella fase di montaggio esordì usando le viti sbagliate su un paio di pensili della cucina - Poooorca miseria! - C'erano decine di bustine piene di viti in una scatola, che un occhio esperto avrebbe sicuramente riconosciuto, ma io ne presi una senza pensarci troppo invece che chiedere e fare la figura del novellino. Mi beccai un'occhiata e una smorfia di disappunto dal titolare che, solo a guardarlo metteva soggezione. Marcello, uno degli operai, mi fece segno di tenere la bocca chiusa visto che i proprietari erano in giro per casa, così continuai con quello seguente. Presi qualche istante in più per scegliere le nuove viti, poi guardai Marcello che mi stava osservando, e strizzò l'occhio per rassicurarmi. La giornata proseguì senza troppi drammi, grazie alla misericordia degli altri operai che mi presero in simpatia, affidandomi incarichi meno importanti. Erano quasi le sette quando mi incamminai sfinito verso casa, e visto che terminammo tutto in un giorno solo, piuttosto che in due previsti ad inizio mattinata, mi beccai un extra per un totale di settanta euro.
Se guadagnassi così tutti i giorni ... ma anche solo un terzo per iniziare ... - Peccato che in due mesi lavoravo in media due settimane e, manco a dirlo, una opposta all'altra.
Non mi lamentavo, ma sentivo una strana sensazione che cominciava a corrodermi dentro, ogni giorno di più. Sempre di più. Soprattutto a fine giornata, quando pensavo a tutta la fatica fatta, senza poter spendere due soldi per togliermi qualche sfizio. Guadagnavo poco e, quasi tutto, serviva a pagare l'affitto, le bollette o riparare qualcosa di rotto. Cose sicuramente più importanti di un paio di scarpe nuove o una serata in discoteca. Nel frattempo gettando un passo dietro l'altro mi ritrovai, senza neanche rendermene conto nell'androne del mio palazzo. Affrontati con equilibrio precario la dozzina di gradini che mi separava dal meritato riposo, e cercavo di infilare la chiave nella serratura quando la porta si aprì davanti a me.
"Bentornato" mia madre mi accolse con un sorriso abbondante, nonostante i suoi occhi rivelassero la stanchezza della giornata, tra il lavoro in fabbrica e quel poco che sarebbe riuscita a fare in casa prima di cenare e crollare davanti alla tv.
Le risposi con un sorriso sottile, innaturale. Mi odiavo per questo.
"Com'è andata la giornata?" mi chiese, mentre mi lasciavo cadere sul divano.
"Stanco, ma tutto ok" risposi quasi tra me e me.
"Adesso riposati, io finisco di preparare la cena"
"Vado a fare la doccia."
L'acqua tiepida riscaldata dal sole durante il giorno nel serbatoio sul tetto, mi servì a sciogliere i muscoli indolenziti e scacciare l'appuntamento fisso con i cattivi pensieri di fine giornata. Da qualche tempo però continuavo a ripetermi:
Sopravvivere non è abbastanza.
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BUSINESS - La Fame
Ficción GeneralVoglia di riscatto di un ragazzo cresciuto in una famiglia molto modesta. A volte il denaro può costare più caro di ciò che può comprare.