Colloquio

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Capitolo 3
Dopo il pranzo con Denny pagai e guardando l'orologio per poco non gridai: ero di nuovo in ritardo! Di cinque minuti per giunta...
"Problemi?" Disse Denny.
"In realtà si, sono in ritardo di cinque minuti, dovevo essere già lì e invece non mi sono accorta dell'orario. Non sono affatto attenta, sono così.." il ragazzo mise due dita sulle mie labbra.
"Non c'è bisogno di fare così, vieni che ti do un passaggio. Siamo in moto quindi non ci sarà bisogno di aspettare che il traffico migliori." E in effetti guardando il marciapiedi di fronte a noi notai una moto verniciata in nero mozzafiato. Spalancai leggermente la bocca e subito dopo presi il suo braccio e lo trascinai dalla parte opposta della strada, nel frattempo lo sentii ghignare. Dopo due minuti ero di fronte uno dei palazzi più belli che avessi mai visto: un grattacielo tutto vetrato si ergeva davanti a me nel suo splendore. Era  davvero stupendo.
"Buona fortuna, ritardata."
Mi voltai e sorrisi.
"Grazie stupido vanitoso." Lui rise e ripartì con la sua moto. Mi voltai di nuovo verso il palazzo e mi sistemai i capelli leggermente in disordine e mi incamminai a passo svelto verso l'entrata.
"Salve, sono qui per il colloquio di lavoro." Dissi alla velocità della luce alla ragazza che c'era di fronte un bancone elegantissimo.
"Alla buon'ora. Mi segua, non so se il capo vuole ancora vederla." Disse scocciata, soffermandosi ad osservare le mie scarpe firmate che i miei mi avevano regalato a Natale dell'anno scorso. Masticando la gomma rosa e sculettando verso una porta, seguii quella sottospecie di ochetta e dopo aver preso l'ascensore in religioso silenzio, ci ritrovammo di fronte una porta di legno che all'apparenza sembrava davvero pregiato. La ragazza bussò tre volte e un uomo sulla quarantina apparve dinnanzi a me.
"Lei dev'essere la signorina..." iniziò con aria diplomatica.
"Sheryl, cioè Anderson." Dissi dandomi della stupida per la mia imbranataggine, anche se di solito non ero così.
"Sarò io a dirigere il suo colloquio... signorina." Disse squadrandomi. Boom. Adesso capivo, era Jeremy!
Annuii e lo seguii all'interno del suo ufficio: parquet senza un filo di polvere, una libreria, una grande scrivania al centro della stanza in legno, una sedia di fronte la scrivania e una pila di riviste sopra essa.
"Lo sa che è in ritardo di sette minuti e quarantacinque secondi? Se vuole essere la segretaria del capo deve essere sempre puntuale e rispettare i suoi impegni. Se ne rende conto?" Disse l'uomo sistemandosi gli occhiali.
"Mi dispiace, sono davvero mortificata. Solitamente io..."
"Il -solitamente- non esiste in questo ufficio. Ci sono delle regole che vanno rispettate sempre. Prima il dovere."
"Si... certo." Risposi imbarazzata. Decisi che era arrivato il momento di dimostrare che ero adatta a quel lavoro.
"Perché vuole far da segretaria?"
"Mi ritengo all'altezza di questo lavoro date le mie qualità, quali: pazienza, impegno, volontà, e..."
"Puntualità è anche nell'elenco?" Disse lui facendo un mezzo ghigno e mostrando i denti bianchissimi. Stavo iniziando a perdere la pazienza.
"Diamo un'occhiata al suo curriculum." Disse prendendo un foglio dalla sua scrivania.
"Nessuna esperienza di lavoro a parte portare i cani a passeggio?" Disse prendendomi in giro. Tossii due volte dato che non mi aspettavo una domanda simile.
Lui, compiaciuto, continuò:
"Mi dia un buon motivo per assumerla." Disse serio e con aria beffarda allo stesso tempo.
"Non sono qui a pregarla in ginocchio per questo stramaledetto lavoro, la scelta è del suo capo, o per meglio dire la scelta è sua Jeremy, dato che il famosissimo e prestigiosissimo capo dei capi non si degna neanche di presentarsi a un fottuto colloquio con la sottoscritta. Beh sa che le dico? Faccia come le pare!" Detto questo mi alzai infuriata prendendo la mia borsa accanto a me e solo allora lo vidi in tutta la sua magnificenza. Braccia incrociate, appoggiato allo stipite della porta con una gamba intrecciata all'altra, l'espressione di marmo, gli occhi che lanciavano fulmini e le mani che divennero bianche per quanto stava stringendo.
"Jeremy, lasciaci soli." Disse con voce roca e bassa. Jeremy si alzò e felice della situazione in cui mi ero cacciata, fece un breve inchino al capo e se ne andò. Lui mi fissò e poi scoppiò a ridere, una risata falsa e fredda.
"Mi sembrava di averle detto che persone come lei sono solo uno spreco di tempo." Disse avvicinandosi a me. Io incassai il colpo. Quell'uomo sapeva torturare senza alzare un dito. Rimasi immobile guardando la punta dei miei piedi, davvero interessanti in quel momento.
"Mi guardi." Ordinò. E li fu la fine. Mi persi in quel mare azzurro e profondo, ma freddo come il ghiaccio, uno sguardo dannatamente ipnotizzante. Mi sentii un insetto sotto quel suo sguardo.
"Se sono uno spreco di tempo perché lei è qui?" Dissi a bassa voce. Lui con la stessa espressione glaciale disse:
"Proprio perché lei è uno spreco di tempo voglio liberarmi personalmente di lei." Disse assottigliando gli occhi e avvicinandosi al mio viso per poter guardare meglio i miei occhi. Mi guardò intensamente, ma solo per un istante, e come se nulla fosse, mi sorpassò per andare alla scrivania e prendere lo stesso foglio che aveva preso Jeremy. Lo guardai infuriata. Come si permetteva di rivolgersi così?
"Un curriculum davvero penoso." Disse cercando di non ridere.
"Bene. Ormai è chiaro che lei non vuole assumermi, quindi tolgo il disturbo." Dissi sull'orlo di una crisi isterica. Afferrai bruscamente la maniglia, ma in quello stesso istante, mi sentii afferrare per un polso e lui mi fece voltare. Eravamo vicini, troppo vicini. Sentivo la sua... colonia.
"Lei non può andarsene se non lo dico io." Disse bruscamente lasciandomi il polso come se si fosse scottato.
"Bene allora parli."
"Una settimana." Disse voltandosi e prendendo un pacco di sigarette dal suo elegante pantalone nero. Ne prese una e la accese, sempre di spalle.
"Cosa?" Chiesi pensando di aver capito male.
"Le do una settimana. Adesso può anche uscire." Disse. Vidi le sue spalle larghe rilassarsi per aver rilasciato il fumo e subito dopo, forse per paura che cambiasse idea uscii dalla stanza senza aggiungere altro.
Quando scesi le scale ancora non potevo credere che mi avesse quasi assunta e avevo un sorriso da un orecchio a un altro. Quando aprii la porta mi ritrovai Denny in sella alla sua moto e prima che potesse dire una parola mi fiondai sulle sue braccia.
"Qualcuno qui ha cambiato umore..." Disse sorridendo. E in effetti il signor Jons aveva questo potere su di me... ma questo dettaglio non lo dissi.
"Mi ha quasi assunta! Mi ha dato una settimana!" Esultai stringendolo.
"Sono contento per te ritardata, adesso sali che ti porto a casa."
Io annuii e salendo in moto i miei pensieri iniziarono a galoppare: perché mi aveva assunta? Mi odiava? Perché quel suo comportamento freddo? Il suo aspetto era simile a quello di un dio? Forse. Nel frattempo ero già arrivata a casa e prima di chiudermi la porta alle spalle fissai la sua porta e mi morsi il labbro sorridendo. Poi entrai a casa.

Durante la notte, precisamente alle 02:37

Stavo facendo un sogno meraviglioso, fino a quando... "BOOM"
Mi alzai dal letto in preda al panico e strinsi le coperte calde della mia camera. Deglutii a fatica, spaventata da quel botto e mi misi a sedere guardando la mia camera nella semi-oscurità. Mi affacciai alla finestra, ma nulla di strano. Così presi la torcia del mio telefono e con la destrezza di ladro mi avviai in cucina per vedere se fosse tutto okay. Ma una volta arrivata non trovai nulla di strano...
"E se il capo stesse litigando? No impossibile sono le... le 2:45 cosa potrebbe..."
"FUORI DA CASA MIA!"
Sussultai: quella voce profonda e tremendamente virile rimbombava tra le pareti dell'ingresso, così mi accostai alla porta per sentire meglio.
"SONO TUA MOGLIE NON PUOI AVERMI TRADITA!" Urlò una donna sull'orlo delle lacrime. Il mio cuore perse tre battiti... lui era sposato? Eppure aveva solo 24 anni.
"Adesso basta." Disse lui. Ma non sentii nient'altro. Scivolai con la schiena contro la porta e una volta per terra accostai le gambe al mio petto e piansi. Non sapevo neanche io perché stessi piangendo, non sapevo perché cavolo avevo perso tre battiti prima, non sapevo perché stavo stringendo le mani a pugno. Non sapevo neanche che da lì a poco sarei caduta nella trappola dell'amore.

Fulmine a ciel sereno #WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora