Era solo un gioiello

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Sometimes it rains inside my head

All the words run dry

Walls are breathing hands are reaching up

To touch my thigh

No they don't have to take you away

(Medicine, Time Baby III)

Nel petto dell'altero dio degli inganni non c'era mai stato spazio per il rimpianto: la tragedia era racchiusa proprio lì, nella sicurezza di aver detto ogni parola, compiuto qualsiasi azione, non assecondando una furia esplosiva come il suo intemperante fratello, ma raccogliendo una serie di ragionamenti lucidi e spietati, forse esasperati da analisi troppo crudeli ed egoiste, ma mai rinnegati. L'ira di Loki si era rivelata implacabile, dannosa e affilata come una bufera di neve.

L'aveva persa poco prima che Odino annunciasse di voler indicare il suo successore, preferendo Thor a lui. Scelta inaccettabile, ingiusta, miope, sciocca, che Loki aveva subìto con lo sgomento e il rancore di chi si vede fatto un torto. Così era nata l'immagine del mancato re che ora lo guardava torvo nel riflesso di uno specchio, del dio degli inganni costretto a obbedire agli ordini di un Titano Folle che vagheggiava di alterare il naturale caos da cui nasceva ogni cosa invocando un ordine utopico e sbagliato.

L'aveva persa.

E aveva fatto di tutto perché ciò avvenisse.

La sua esistenza era migliore, adesso? Aveva tutto ciò che desiderava, che bramava, che gli spettava? No, non ancora e non solo perché la soddisfazione non era nella sua natura.

Si chiuse nella sua elegante cuccetta, riempì un calice con del vino pregiato, ma che nulla aveva del sapore dolciastro e avvolgente del miglior idromele di Asgard bevuto nei corni intarsiati. Poi, si tolse le parti metalliche della corazza che gli proteggevano le spalle e gli avambracci, si sfilò la bandoliera appesantita dai molti pugnali nascosti al suo interno. Con le labbra che ancora sapevano di vino, si lasciò cadere sulle coperte e chiuse gli occhi.

Lei ne aveva un paio simili, quasi uguali.

Orecchini pendenti, ma abbelliti con degli smeraldi.

Lo assalì il ricordo di una sera lontana in cui lui e Thor si erano seduti a bere fuori dalla grande sala dei banchetti; avevano trafugato una delle botti di pregiatissima birra che Odino teneva nelle sue cantine e si erano messi a punzecchiarsi, come al loro solito.

"La piccola Sigyn ogni tanto ti fissa con insistenza, fratello. Credo che troveresti il suo letto accogliente," aveva detto a un tratto il primo figlio di Odino, osservando pigramente la figura sottile della ragazza che si allontanava svelta, dopo aver ceduto all'impulso di gettare un'occhiata nella loro direzione. Scuotendo la testa, Loki Laufeyson aveva risposto che Sigyn era la dea della fedeltà, oltre che una strega piuttosto abile con pozioni e intrugli vari; c'era il pericolo concreto che lo avvelenasse al primo litigio. Risposta faceta, detta con tono divertito, pronunciata mentre seguiva con troppa attenzione la cascata bionda che ormai era quasi sparita dalla sua vista, soffermandosi sulla vita flessuosa esaltata dall'abito aderente e scuro, senza rivelare che aveva ancora l'odore di lei addosso, il sapore dei suoi baci sulle labbra. Si era appartato con Sigyn qualche ora prima, in fretta, approfittando di una sala nascosta nella vicina biblioteca. L'aveva avuta senza riuscire nemmeno a spogliarla del tutto – non c'era tempo per slacciare ogni nastro del suo corsetto e liberare la pelle candida e morbida, perché il bisogno di entrare in lei e sentirla ansimare sotto di sé andava soddisfatto in quel momento, con urgenza.

Gli orecchini glieli regalò più tardi, quella stessa notte, quando la raggiunse in un letto che sì, era davvero caldo e accogliente. Lei arrossì, vedendo il pegno. Lo indossò sulla pelle nuda, coperta solamente da un lenzuolo candido.

Era solo un gioiello - Come un vizio assurdoWhere stories live. Discover now