q u a t t r o

142 4 0
                                    

Mercoledì
18/09/18
22:57

Erano ore che ballavano, avrò bevuto tre cocktail e qualche sciottino di vodka a non so cosa. Il petto mi andava a fuoco e la testa mi girava, ma ers una sensazione tanto spacevole quanto bella. Sarà stata anche quella pasticca che mi aveva dato Ema tra un bicchiere e l'altro. "Con questa ti divertirai mille volte di più" mi aveva detto, ed io avevo proprio bisogno di divertirmi. Ema mi prese per i fianchi, mi guardo per qualche secondo negli occhi, poi si gettò sulle mie labbra, sapeva di Marlboro, si vodka e di menta. La musica risuonava nelle mie orecchi, talmente forte che ad un certo punto pensai che fosse nella mia testa. Il sangue mi pulsava nelle labbra ad ogni piccolo movimento. Le mani, intente a stringere tra le dita i suoi morbidi ricci, formicolavano, così come le gambe. Si staccò dalle mie labbra per baciarmi la guancia, lo zigomo, la masciella, per poi scendere sul collo. Rimasi con gli occhi chiusi per godermi questo breve, magico momento. Dopo qualche secondo si staccò per avvicinarsi al mio orecchio, sfiorandolo con le labbra mente diceva «vado a bere una cosa» con un tono di voce più basso del solito a causa dell'alcol. Si allontanò ed io rimasi a ballare con Sana, che credo fosse l'unica veramente sobria in tutto il locale, e Federica, solo un po' meno ubriaca di me. Dopo una diecina di minuti non vedendolo tornare mi avvicinai al bancone. Era li seduto con una ragazza che avrà avuto la mia età. Parlavano, ridevano, lei gli accarezzava la gamba, lui le sorrideva e si mordeva il labbro guardandole il seno. Mi sfuggì una risata nel guardare quella scena. "Coglione, non cambierai mai" pensai. Con le lacrime agli occhi mi volta e feci per uscire da quel locale che d'un tratto si era fatto terribilmente stretto, opprimente, soffocante. Prima che potessi raggiungere l'ingresso qualcuno mi prese per il braccio «oh, che hai fatto?» mi chiese Giovanni guardandomi negli occhi. Mi liberai subito dalla sua presa, cercai di parlare ma le parole non mi uscivano dalla bocca. Tutto ciò che riuscì a dire prima di andarmene fu «Scusa...non...non ce la faccio...». Corsi via oltrepassando l'ucita e cercando di prendere aria. Ritornai a respirare solo dopo essermi chiusa la porta alle spalle. Mi portai le mani tra i capelli, li strinsi tra le dita e li tirai per il nervoso. Le lacrime scendevano senza conteollo.
Ero così stanca, e così incazzata. Con Ema, perché era sempre così coglione, ma soprattutto con me stessa, per essere così tremendamente stupida. Senza accorgermene, presa dalla rabbia forse, tirai un pugnio alla saracinesca di un alimenfaro accanto al locale. In un primo momento non sentì niente, poi il dolore si fece quasi lancinante. Mi mancava l'aria, era come se non salisse più su del petto, come se il fiato si attorcigliasse attorno al cuore steingendolo forte. Stavo per tirare un altro pugno, ma qualcuno mi bloccò il braccio poco prima dello scontro «Che cazzo fai?» mi disse tirandomi via verso di se. Continuai a singhiozzare, poi abbassai il viso e poggiai la tronte sul suo petto. Sembrò stupito da questo mio gesto, ma dopo qualche secondo mi portò le braccia attorno alle spalle e mi abbracciò «tranquilla, è tutto okay...tutto okay...» disse sottovoce accarezzandomi i capelli.

Mercoledì
18/09/18
23:33

Erano più di 15 minuti che stavamo seduti a terra, poggiati al muro, a guardare dritti davanti a noi. Giò, subito dopo aver chiamato mio fratello, si era messo a fumare. Non avevo voglia nemmeno di chiedergli una sigaretta. Può sembrare strano ma apprezzai molto il suo starsene seduto li accanto a me senza dire niente, senza riempirmi di domande o affermazioni che non avrei ascoltato. «Emma...» mi disse per attirare la mia attenzione, girai il viso verso di lui «Lo so che non so cazzi mia...Però me dici che è successo?» abbassai lo sguardo, poi iniziai a giocherellare nervosamente con le dita, ancora doloranti «...È...è Ema. Lui è sempre così...così Ema!» dissi lasciandomi sfuggire una risata, ma lui rimase serio a guardarmi. «non so nemmeno se stiamo insieme oppure una...una da usare quando capita...». Aprì la mano destra e notando le nocche distrutte, livide, mi lasciai sfuggire una smorfia. «Emma...non te conisco eh, però me pari una intelligente tu. E allora pe quale motivo nun l'ai ancora mandato a fanculo?» «Perché...» mi bloccai un attimo, e allora mi resi conto che non sapevo veramente dare una risposta a questa domanda. O forse la sapevo, ma non ero sicura di volerlo dire ad alta voce, ad uno sconosciuto a cui avevo bagniato la maglia di lacrime. «perché...ogni volta che cerco di allontanarlo sono terrorizzata dall'idea di riuscirci davvero...non so nemmeno se quello che ho appena detto abbia un senso...» sbuffai e mi grattai nervosamente la fronte. «per quello che pò valè...pe me nun se la merita tutta st'importanza che glie stai a dà» «sono...così stupida! Gli ho dato tutto...spero che un giorno qualcuno mi dia l'impprtanza che io do a lui...». Giovanni stava per dire qualcosa ma fu interrotto dall'arrivo improvviso di mio fratello, che parcheggiò la macchina malissimo, poi scese velocemente e ci corse incontro. «Che cazzo ha fatto quel coglione?» mi chiese lui stringendo i pugni, nonostante la sua espressione mansueta. «Nico...portami a casa...» gli dissi evitando il suo sguardo. Dopo qualche secondo di esitazione lui rilassò i muscoli prendendo un lungo respiro, poi annuì. Cercai di alzarmi ma con scarsi risultati. Giò mi prese al volo e mi sorresse. «ma quanto hai bevuto» mi chiese lui rafforzando la presa. «poco...un drink...o forse erano tre...oh, oh anche quei così nei bicchierini...» «perfetto, se siamo fortunati non ricorderai niente domani» «oh non credo proprio sai, Ema mi ha dato anche una pasticca strana. Sai cos'era?» dissi confusa. Lui serrò gli occhi e aprì la bocca. Sembrava volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole, poi rivolse lo sguardo su Giovanni «Non ci credo, l'ha anche drogata?» si portò una mano tra i capelli scimpigliandoseli. «Andiamo, se non me ne vado subito finisce che lo ammazzo stavolta». Giovanni ci accompagnò fino alla macchina, poi mi poggiò delicatamenge sul sedile. Nico entrò in auto e poco prima che Giò chiudesse lo sportello gli disse «grazie per averla aiutata, ti devo un favoro» «Ma figurate» rispose il ragazzo chiudendo lo sportello, mi sorrise e ci allontanammo.
Senza che potessi accorgermene eravamo già a casa, probabilmente mi ero addormentata rannicchiata sul sedile come era mio solito. Nico mi sorresse finché non entrammo nel nostro appartamento, poi mi fece sedere sul divano in salone, che improvvisamente mi sembrò tremendamente morbido...colpa della pasticca...chissà cos'era quella roba. «Aspetta qua, e non ti addormentare» mi disse lui andando verso il bagno. Sentii qualche rumore, poi lo vidi tornare con il kit di medicazione. «addirittura?» chiesi sorridendo. Lui mi guardò negli occhi, il suo sguardo era serio, poi però sorrise anche lui. Tirò fuori il disinfettante e lo poggiò sulle nocche. Strinsi i denti e mi sfuggì una smorfia di dolore e di istinto gli strinsi la mano. «scusa...» disse lui facendo il più delicatamente possibile «tranquillo...tutto apposto». «Vuoi dirmi che hai fatto?» disse dopo qualche secondo di silenzio. «Non lo so Nico...è stato...tutto e...sono così...cogliona» dissi l'ultima parola ridendo. «Forse un po'. Dai ti porto a letto.» Mi fece mettere un braccio attorno al suo collo per poi trascinarmi fino alla mia camera. Mi lasciò delicatamente sul letto e per un attimo ebbi le vertigini. «Se hai bisogno sai dove sono...»disse sotto voce con tono tenero. «Notte» dissi mentre chiudeva la porta. Mi misi a sedere, poggiai la schiena sulla spalliera e sbuffai portandomi le mani tra i capelli. Cercavo di calmarmi ma non sbrava funzionare. Sentivo la mia pelle andare a fuoco. Tolsi la camicia e la lanciai via, ma nemmeno così il caldo sembrava diminuire. Ero così arrabbiata e triste. Le lecrime uscirono da sole, non mi controllavo più. Mi duttai di lato sui cuscini, non curante della posizione scomodissima in cui ero. Affondai il volto in uno di essi per coprire i singhiozzi. Il cuore mi martellava nel petto, le mani e i piedi mi formicolavano. L'alcol e qualsiasi cosa mi avesse dato Ema mi stavano facendo impazzite. Strinsi forte un cuscino.
"È tutta colpa mia" pensai.
"Non mi sento affatto bene" pensai.
"Sto per vomitare" pensai.

Reciprocamente Necessari || Giovanni GarauDove le storie prendono vita. Scoprilo ora